Traduzione dell’articolo di David Agren e Tom Phillips pubblicato sul Guardian con il titolo “‘Amlo’: the veteran leftwinger who could be Mexico’s next president” (7 maggio 2018).
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Sono passati più di tre decenni da quando Teresa Jaber si intrufolò in un incontro politico clandestino in questa soffocante città del sud-est per ascoltare l’uomo che sarebbe poi diventato famoso come “Amlo” parlare di rivoluzione.
“Ricordo che diceva: ‘Il paese non può continuare a essere la proprietà personale di quattro o cinque persone’”, racconta Jaber, ricordando quell’incontro segreto nel 1987, dopo il quale la donna si unì subito alla causa.
Prima di mandare in giro i suoi seguaci a diffondere il verbo, Jaber ricorda che Amlo offrì un’ultima previsione quella notte: “Diventerò presidente del Messico”, disse loro.
Trentun anni dopo sembra che avesse ragione.
Il Messico eleggerà il suo nuovo presidente il prossimo primo luglio e Amlo – o Andrés Manuel López Obrador, questo il suo nome integrale – è in pole position.
I sondaggi danno al sessantaquattrenne dai capelli grigi – la cui coalizione porta il nome Insieme faremo la storia – un importante vantaggio sul suo rivale Ricardo Anaya, un avvocato trentanovenne a capo di una coalizione di destra-sinistra.
José Antonio Meade, il candidato del Partito Rivoluzionario Istituzionale, attualmente al governo, è dato al terzo posto.
In campagna elettorale, Amlo, che è amico di Jeremy Corbyn e della sua moglie messicana, Laura Álvarez, ha promesso di riprendere il controllo dell’industria petrolifera, pensare a un’amnistia per coloro coinvolti nella devastante guerra tra bande e di sfidare le “mafie” del paese.
L’ultima promessa ha trovato un supporto diffuso in una nazione sdegnata e demoralizzata dagli incredibili scandali legati alla corruzione che ne coinvolgono la classe dirigente.
“López Obrador è l’unica opzione”, dice Margarita García Rodriguez, casalinga e madre di tre bambini, durante un comizio di Amlo in uno dei sobborghi industriali che circondano la capitale del Messico. “Se lui non ci può aiutare, allora nessun altro può farlo. L’intero sistema collasserà”. […]
La prospettiva di sei anni di presidenza Amlo fa inorridire i suoi molti detrattori e nemici, che lo dipingono come un “despota stile Hugo Chávez” e un “messia tropicale” le cui politiche antiquate distruggerebbero l’economia messicana. […]
“Se l’orrore in cui viviamo è quello che vogliono darci in futuro, il passato è preferibile”, ha detto Amlo durante un recente comizio. […]
La storia di Amlo inizia a Tepetitán, nello stato di Tabasco, dove nacque nel novembre 1953, il primo di sette figli. Oggi, fuori da una delle tante case in cui ha vissuto da bambino, si trova un busto del figlio più famoso della città, accanto a una targa che lo chiama “Il volto della speranza”, “El rostro de la Esperanza”.
Soprannominato “El Peje”, da pejelagarto, un energico pesce locale, Amlo passò i primi anni della sua vita a giocare a baseball e a occuparsi del negozio di vestiti di suo padre assieme al fratello José Ramón, che in seguito morì dopo essersi sparato per sbaglio con un revolver.
Diventò politicamente attivo alla fine degli anni ’70, quando si spostò a Nacajuca, un’area a nord della capitale di Tabasco, Villahermosa, che è la patria del popolo indigeno Chontal Maya, per lavorare come rappresentante locale del National Indigenous Institute.
“López Obrador ricoprì quel ruolo come se fosse stato il suo destino, con uno spirito missionario”, scrive José Agustín Ortiz Pinchetti in una lusinghiera nuova biografia del suo amico, chiamata “Amlo: con i piedi per terra”. “Andò a vivere in una capanna come quelle in cui vivevano le famiglie indigene”.
Pinchetti ricorda che durante i sei anni che Amlo passò in quella regione impoverita, lui e la sua famiglia dormivano su delle amache e sopportavano “temperature africane di più di 40°” con soltanto un ventilatore. Quella fu un’esperienza che accese un “fuoco interno” nel giovane tabasqueño e lo rese determinato a vedere un Messico governato per i molti e non per i pochi.
Questo gli fece guadagnare anche un seguito numeroso. “Qualsiasi cosa lui dica, gli crediamo. Qualsiasi cosa lui dica, la porta a termine. È un uomo di parola”, dice Glenda Jasso Aquino, una donna Chontal Maya […]. “È più di un uomo. Diventerà presidente per aiutare il suo popolo, la terra, la campagna”.
Jasso ricorda che Amlo si scontrò con l’industria petrolifera statale, la Pemex, organizzando accampamenti di protesta fuori dai suoi uffici per costringerla a pagare i risarcimenti alle comunità indigene e ai campesinos che si erano ritrovati con i terreni inquinati. “Amlo è l’unica persona che alzò la voce”, dice.
Da Tabasco, il percorso politico di Amlo lo ha portato fino alla capitale nazionale. Nel 2000 è stato eletto sindaco di Città del Messico, con la promessa di “mettere al primo posto i poveri, per il benessere di tutti”.
La sua amministrazione si è rivelata popolare […] Ha agevolato le tariffe della metropolitana, dato una retribuzione ai cittadini più anziani e alle madri single e costruito superstrade elevate. Gli avversari hanno condannato questi progetti come populisti, per poi copiarli subito in altre parti del paese. […]
Mentre era impegnato a trasformare la capitale del Messico, Amlo iniziò anche ad adocchiare il premio politico più grosso: la presidenza. Perse di poco al suo primo tentivo, nel 2006, […] e nel 2012 fu sconfitto di nuovo.
Da allora, Amlo ha cercato di proiettare un’immagine più moderata – deludendo alcuni discepoli di lungo corso come Jaber, adesso avvocatessa, che aveva sperato in un leader più radicale. […]
Rivoluzionario o no, adesso che si avvicina il giorno delle elezioni, molti analisti sono convinti che Amlo sia in una posizione inespugnabile, anche se uno dei sondaggi più recenti ha mostrato che il suo rivale principale ha guadagnato terreno. […]
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Foto: twitter @lopezobrador_ (Jeremy Corbyn e Andrés Manuel López Obrador, detto Amlo)