Danimarca, i Socialdemocratici più a sinistra su economia e a destra su immigrazione
Nelle elezioni di mercoledì 5 giugno, i Socialdemocratici danesi sono arrivati primi con il 25,9% dei voti. Nonostante il “red block” abbia ottenuto 91 dei 179 seggi del Folketing (il Parlamento danese), contro i 75 del “blue block” rivale, Mette Frederiksen, la leader dei socialdemocratici, ha dichiarato che intende formare un governo di minoranza con il supporto ad hoc da parte dei vari partiti.
Formare una coalizione potrebbe, inoltre, risultare difficile, visto che gli altri partiti di sinistra in buona parte non appoggiano le politiche socialdemocratiche sull’immigrazione. Frederiksen ha anche rifiutato la proposta del leader del partito liberale, e primo ministro uscente, Lars Løkke Rasmussen, arrivato secondo con il 23%, di formare una grande coalizione (i due partiti, infatti, insieme avrebbero la maggioranza nel Folketing).
La campagna elettorale dei socialdemocratici è stata dominata da tre temi: le questioni ambientali e climatiche, la difesa dello Stato sociale (promettendo d’invertire il trend di tagli degli ultimi anni su istruzione, sanità e sociale) e un approccio duro all’immigrazione.
Come scrive Jon Henley sul Guardian: «A lungo un punto di riferimento, il modello sociale nordico è stato messo sempre più alla prova negli ultimi anni a causa dell’invecchiamento della popolazione. In Danimarca, le riforme hanno portato a una crescita economica sopra la media UE, ma i successivi tagli alla spesa hanno portato a una situazione in cui più persone pagano per servizi che prima erano gratuiti. I socialdemocratici finlandesi, ad aprile, hanno vinto per un soffio le elezioni promettendo di alzare le tasse per aumentare la spesa sociale, mentre quelli svedesi l’anno scorso sono rimasti al potere promettendo riforme al welfare».
Per quanto rimanga un paese relativamente egalitario, più di due decenni (in cui si sono alternati Liberali e Socialdemocratici al governo) di riforme neoliberiste hanno eroso il “modello nordico” e, negli ultimi anni, la Danimarca ha assistito a uno degli aumenti delle disuguaglianze più netti fra i paesi OCSE. Questa situazione è peggiorata dopo la crisi, con una serie di tagli draconiani a istruzione, sanità, welfare. Nell’ultimo decennio, i tagli alla sanità hanno portato alla chiusura di un quarto degli ospedali pubblici; inoltre, un recente sondaggio ha rivelato che più la metà dei danesi è convinta che i servizi offerti dalla sanità pubblica non siano di qualità, cosa che ha spinto più di un terzo a farsi un’assicurazione sanitaria privata (nel 2003 era il 4% ad averla). Altri tagli hanno portato alla chiusura di circa un quinto delle scuole pubbliche, mentre la spesa sociale procapite è diminuita di un quarto.
Frederiksen ha promesso di aumentare la spesa pubblica e sociale dello 0,8% ogni anno, facendo pagare di più ai ricchi e alle aziende con tasse più alte e, in parte, tornando indietro sulla riforma che permette a chi ha lavorato per quarant’anni di andare in pensione prima.
Quando è diventata la nuova leader dei Socialdemocratici, nel 2015, dopo una sconfitta alle elezioni, Frederiksen ha promesso che avrebbe portato il partito lontano dal neoliberismo della Terza Via per riavvicinarlo a una forma più classica di socialdemocrazia. Sotto di lei il partito è stato nettamente rimodellato: portato più a sinistra economicamente e a destra sull’immigrazione. Nella sua biografia afferma: «Per me, sta diventando sempre più chiaro che il prezzo della globalizzazione sregolata, dell’immigrazione di massa e della libertà di movimento viene pagato dalle classi più basse».
L’anno passato, il governo uscente di centro-destra ha approvato le leggi più dure sull’immigrazione della storia del paese – in buona parte proposte dal Partito Popolare Danese, di estrema destra. Invece di fare un’opposizione dura, Frederiksen ha supportato buona parte di queste politiche. Le misure includevano il divieto d’indossare burka e niqab in pubblico e l’autorizzazione per la polizia al sequestro dei beni dei rifugiati per recuperare i soldi che lo Stato “spende per loro”. In aggiunta, i Socialdemocratici si sono astenuti (piuttosto che votare contro) durante altre votazioni, come quella sul piano per trasferire i richiedenti asilo che infrangono la legge su un’isola utilizzata per fare ricerche su malattie animali contagiose. A febbraio, poi, hanno appoggiato quello che il Partito Popolare Danese ha definito un “mutamento del paradigma”, ossia una spinta per rendere i rimpatri e non l’integrazione l’obiettivo delle politiche migratorie.
Inoltre, sotto la leadership di Frederiksen, i Socialdemocratici hanno richiesto un tetto per i “migranti non occidentali” e che i migranti fossero costretti a lavorare 37 ore alla settimana in cambio dei sussidi. Frederiksen ha, inoltre, preso contatti con il Partito Popolare Danese, facendo una serie di interviste congiunte con il suo leader, Kristian Thulesen Dahl, e discutendo la possibilità di cooperare con loro, una volta al governo.
I Socialdemocratici sono convinti che questa nuova strategia possa aiutarli a riconnettersi con i sostenitori delusi che si sono rivolti al Partito Popolare Danese. «I danesi stanno rispondendo bene ai Socialdemocratici», ha dichiarato Frederiksen, che rifiuta di accettare le critiche per la sua posizione sull’immigrazione. «Gli elettori che ci hanno abbandonato negli ultimi anni, che pensavano che le nostre politiche sull’immigrazione fossero sbagliate, sono tornati». «Mi rendo conto – ha scritto nella sua biografia – che cambiare la posizione del partito sarebbe stata dura, ma sapevo che dovevo farlo. Solitamente, cercherei un compromesso. Ma non sulle politiche migratorie».
Tuttavia, la linea dura sull’immigrazione dei Socialdemocratici sembra essere costata loro il supporto di quegli elettori contrari alla nuova posizione. Come risultato, molti si sono spostati a sinistra: verso il Partito Popolare Socialista e il Partito Social-Liberale, alleati dei Socialdemocratici.
Al contempo, il sostegno al Partito Popolare Danese è sceso dal 20% nel 2015 al 9%. Non solo perché i partiti tradizionali hanno abbracciato le sue politiche, ma anche perché sulla scena politica nazionale si sono affacciati due partiti ancora più a destra. Il più estremo dei due è Stram Kurs, che chiede esplicitamente l’espulsione di tutti i musulmani e dei cittadini che non sono nati in Danimarca. Il suo leader, Rasmus Paludan, è diventato noto al grande pubblico per avere bruciato il Corano. L’altro partito, Nye Borgerlige, è stato creato da ex-conservatori di punta e cerca di catturare il voto degli elettori più ricchi combinando una posizione estremista sull’immigrazione con politiche neoliberiste altrettanto estremiste, che puntano a distruggere le fondamenta dello Stato sociale.
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Fonti:
Mette Frederiksen: the anti-immigration left leader set to win power in Denmark
Richard Orange, The Guardian
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Denmark’s centre-left set to win election with anti-immigration shift
Jon Henley, The Guardian
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Centre-left Social Democrats victorious in Denmark elections
Jon Henley, The Guardian
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Danish Social Democrats win national election
Charlie Duxbury, Politico.eu
https://www.politico.eu/article/denmarks-social-democrats-on-course-to-win-election
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Denmark election: Social Democrats win as PM admits defeat
BBC News
https://www.bbc.com/news/world-europe-48535939
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Selling out our values
Rune Møller Stahl, Jacobin Magazine
https://www.jacobinmag.com/2019/06/denmark-elections-social-democrats-immigration
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The rules of the game; understanding the Danish political system
Your Danish Life
The rules of the game; understanding the Danish political system
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Foto: Mette Frederiksen, leader dei Socialdemocratici danesi | AP Photo / Rene Schutze/Polfoto