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Def 2019, quando la realtà prevale sui sogni

Il Documento di Economia e Finanza 2019 vede la realtà prevalere sui sogni. Dalle previsioni roboanti di un + 1,5% di crescita, siamo arrivati a un risicato, ancora ottimistico, +0,1%. La crescita è rimandata. Il deficit 2019 torna al 2,4% del PIL, con promessa di riduzione all’1,5% nel 2022. L’imbarazzo del Ministro dell’Economia, Giovanni Tria è testimoniato dalla abolizione, per la prima volta, della tradizionale conferenza stampa sul DEF, sostituita da un breve comunicato.

Intanto, una cosa è certa: a legislazione vigente, l’aumento Iva scatterà il 1 gennaio 2020. Sono ben 23 miliardi in più di spesa: 382 euro per italiano, bimbi compresi. Spetterà al governo mettere nuove tasse o tagliare servizi per evitarlo. È scritto nel DEF, lo ha confermato il ministro Tria, lo certifica Banca d’Italia, affermando che senza questo aumento il deficit del prossimo anno salirebbe almeno al 3,4%.
Insomma, il ‘Contratto del cambiamento’ si è rivelato un flop e, anche al MEF, si inizia a prendere coscienza dell’enorme distanza tra i desideri e la triste realtà, fatta di una recessione “tecnica” destinata a diventare conclamata. C’entra, in piccola parte, il calo marginale della crescita complessiva mondiale (che comunque il Fondo monetario internazionale prevede al 3,3%); c’entrano, soprattutto, le azioni a effetto recessivo del Governo sull’economia e il rialzo del costo del debito pubblico, conseguente alla “guerra” contro l’Europa e contro i nostri principali partner. Il “Contratto” ha obiettivi incompatibili con la situazione economica e dei conti pubblici; il risultato è ora certificato.
I tecnici del MEF spiegano nel Documento (ancora in bozza) cosa è mutato tra il DEF del 2018 e l’attuale; si legge ad esempio: “Negli anni successivi … avrà un ruolo crescente (nella mancata crescita ndr) il più elevato livello dello spread sui titoli di Stato”.

Si prende finalmente atto che uno spread alto taglia la crescita. Lo aveva vanamente detto lo stesso Tria nell’autunno scorso, quando dichiarava in sostanza: “Che senso ha aumentare di 10 miliardi la spesa a debito, se poi ne devo pagare 15 di maggiori interessi?”. Ricordiamo tutti le dichiarazioni indignate di Di Maio e Salvini, quando la Banca d’Italia e le istituzioni internazionali, indicavano il deterioramento della congiuntura economica. Nel DEF se ne prende atto; torna la prudenza e, per il 2019, si prevede una crescita tra lo 0,1% e lo 0,2% pur con due misure (lo “Sblocca cantieri” e il “Decreto crescita” ancora non approvati) e una riduzione dell’occupazione (e questo sarebbe l’anno bellissimo del Presidente Conte).
Il guaio è che la spesa a debito, finirà col peggiorare la crescita tendenziale. Infatti, solo nel 2022 si vedrebbe una piccola crescita a +0,9%. Dalla lettura del documento emerge una contraddizione tra le cifre e le parole piene di ottimismo. Vedremo che diranno a Bruxelles quando riceveranno il testo.

Una parte del DEF è dedicata all’impatto del reddito di cittadinanza (RdC) e di quota 100. Ebbene, dalle stime, provenienti dal Ministero dello sviluppo, retto da Luigi Di Maio, il RdC indurrebbe nel 2019 un aumento aggiuntivo dei consumi dello 0,5%, che accelererebbe allo +0,7% nel 2022. Una previsione basata su una propensione al consumo del 100% e sull’idea che così si troverà lavoro da subito a tanta gente. Il RdC, inoltre, farebbe crescere il PIL nel 2019 di uno 0,2%, che nel 2022 salirebbe allo 0,5%, con moltiplicatori addirittura sopra l’unità nel 2020 e nel 2021.
Quota 100, invece, nel 2019-2020 ridurrebbe la forza lavoro di 0,1% e di 0,3% ogni anno sino al 2022: un assurdo per un paese con la partecipazione al lavoro tra le più basse d’Europa.
Assieme, Quota 100 e RdC, non faranno calare la disoccupazione: i tecnici del MEF calcolano un impatto negativo, per quest’anno e il prossimo (-0,2%).
2,7 milioni sarebbero i beneficiari del RdC (metà dei potenziali “poveri”) ma, dalle domande pervenute, saranno molti di meno.
Quota 100 produrrebbe 290 mila nuovi pensionamenti quest’anno e 327 mila nel prossimo, con una maggiore spesa di 3,8 miliardi nel 2019, e 7,9 nel 2020. Il calo degli occupati ridurrà le forze di lavoro, che il Governo prevede tornino a crescere dal 2021 (quando forse governeranno altri).
Come detto, nulla si dice su come disinnescare gli aumenti IVA, ma si parla di una “flat tax a più aliquote”, da introdurre con la “crescita” (cioè mai) e col taglio delle agevolazioni fiscali a cittadini ed imprese: insomma, una ulteriore presa in giro degli italiani. Flat tax significa aliquota unica per tutti i redditi, mentre la flat tax a più aliquote, un ossimoro, la abbiamo già: è a cinque aliquote che nelle promesse governative, si vorrebbero ridurre a tre.

In conclusione: l’economia italiana è in recessione; il Governo ne ha preso atto riducendo le previsioni di crescita, ma intende perseguire con le sue manovre in deficit; la Commissione europea e i nostri partner difficilmente saranno d’accordo. Ne seguiranno polemiche e tensioni sui mercati.
Il rischio di una nuova crisi finanziaria è più vicino.
Molti commentatori non hanno capito, o più probabilmente, fingono di non capire i rischi delle politiche espansive senza senso del Governo. Ne cito due per tutti. Il primo, Peter Gomez ha dichiarato: “Questo Governo sta facendo quello che ha promesso”, aggiungendo: “Magari lo Stato fallirà, ma intanto le cose promesse le stanno facendo”. La seconda, Lucia Annunziata, nella intervista di domenica al ministro Tria: “Per le politiche del lavoro e le politiche delle pensioni, la Ragioneria … ha stimato già un aumento della spesa di 95 miliardi in 3 anni. In 3 anni, insomma, non è una cifra enorme”; non è enorme il 5,6% del PIL?
Insomma, è sconcertante in questo paese che tanti opinion leader abbiano conoscenze di base così modeste sul funzionamento dell’economia.

Foto in evidenza: Giovanni Tria, Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Matteo Salvini

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