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Diane Abbott: il Labour può vincere la battaglia sull’immigrazione, da sinistra

Traduzione parziale dell’intervista di Lewis Bassett a Diane Abbott pubblicata su Jacobin Magazine con il titolo “Socialists Can Lead and Change Opinions” (8 marzo 2018).

Diane Abbott è uno dei politici di sinistra di maggiore spicco in Gran Bretagna. Da sempre un’attivista socialista, è diventata la prima donna nera a essere eletta alla House of Commons dopo aver conquistato il seggio di Hackney North and Stoke Newington nel 1983. Negli anni successivi, ha criticato da sinistra i vari leader laburisti mentre il partito andava sempre più a destra durante gli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, opponendosi apertamente alla guerra in Iraq sotto Tony Blair.

Nel 2010 si è candidata, senza successo, a leader del Labour, per poi unirsi al gabinetto ombra del partito per la prima volta sotto Ed Miliband, con un programma sulla Sanità pubblica che l’ha vista impegnata in difese appassionate del diritto all’aborto, proprio quando il governo Tory lo voleva limitare. Ma è stato nel 2015 che Diane Abbott è davvero ascesa al potere nel Labour. Fra le prime sostenitrici di Jeremy Corbyn, è infatti stata fondamentale nel suo team di parlamentari, prima ricoprendo la posizione di segretaria ombra di Stato per lo Sviluppo Internazionale, passando poi alla Sanità e, nel 2016, al ruolo di segretaria ombra agli Affari Interni, la terza posizione per importanza nel gabinetto ombra.

Nel suo ruolo come segretaria agli Affari Interni, Diane Abbott è stata una delle voci più importanti del Labour sul tema dell’immigrazione. Ha recentemente fatto una serie di discorsi con lo scopo di tracciare la visione del partito per una politica migratoria progressista dopo la Brexit. Per alcuni britannici di sinistra sposati alla libertà di movimento fornita dall’appartenenza all’UE, proposte positive sulla questione dell’immigrazione dopo la Brexit sono viste come un paradosso. Ma Abbott è più fiduciosa. Una vita passata a impegnarsi nella lotta politica l’ha aiutata ha plasmare la propria convinzione che il Labour può vincere la battaglia progressista sull’immigrazione. […]

[…] Come descriverebbe la sua posizione politica e fino a che punto questa si allinea con quella del Labour di Jeremy Corbyn?

Ho incontrato Jeremy per la prima volta più di trent’anni fa. Era consigliere ad Haringey e io ero consigliera a Westminster e facevamo entrambi parte di quella che è chiamata la sinistra londinese del Labour. Quindi abbiamo le stesse posizioni per quanto riguarda la politica. Jeremy è sempre stato interessato alle questioni di politica estera e a quelle riguardanti la giustizia sociale, e lo stesso io. Le posizioni della sinistra londinese non erano solo politiche di sinistra nel senso sindacale, ma anche in relazione alle questioni razziali, di genere e LGBT.

C’è ovviamente una tradizione nella sinistra Labour che è legata ai sindacati e poi c’è quella del consiglio della Grande Londra, legata ai movimenti e alle politiche dell’identità…

Non mi piace l’espressione politiche dell’identità. Non mi ci rivedo. Penso sia un’espressione denigratoria. Quello che ho fatto per più di trent’anni è stato combattere il razzismo e l’ingiustizia sociale.

La sinistra del partito laburista affonda le proprie radici nelle organizzazioni sindacali. Le politiche sindacali riguardano la giustizia, la difesa dei lavoratori e delle lavoratrici, lottare per le comunità. E quello è tutto un filone di lunga data nel movimento laburista che risale a Keir Hardie. Ma c’è anche un filone più piccolo della sinistra, sia dentro che fuori dal partito, che si è occupato del razzismo e di questioni internazionali. Jeremy attinge da entrambi.

[…]

Ho seguito il suo discorso sulle politiche migratorie […]: ha detto che il sistema ha fallito perché manca di umanità, che occorre smetterla di spaccare le famiglie e abbandonare obiettivi numerici senza senso. Crede che tutti nel Labour la pensino come lei?

Penso che sia importante contribuire a plasmare il dibattito. Lo penso davvero. Penso che come partito non dovremmo essere spaventati dall’immigrazione e che è possibile collocare politiche progressiste sull’immigrazione fermamente fra i nostri valori di partito socialista. In verità non è mai stato l’interesse del lavoro organizzato entrare in conflitto con le questioni razziali e di genere. Karl Marx lo disse chiaramente ai socialisti britannici nell’era vittoriana, nel 1870, scrivendo del razzismo anti-irlandese della classe operaia. Quello che disse era vero allora ed è vero adesso.

Ci sono ancora persone nel Labour che non condividono questa posizione, di certo ci sono parlamentari che subito dopo le elezioni generali hanno detto che il Labour dovrebbe avere una posizione “più dura” sull’immigrazione e che ha un problema con la “classe operaia bianca”.

[…] È una cosa va avanti da tempo, ma è particolarmente fastidiosa se viene non solo dalla sinistra, ma soprattutto da persone che sono fedeli sostenitrici del New Labour e che, mentre il New Labour faceva una serie di cose che alienavano il partito dalla classe operaia bianca, non avevano nulla da ridire. Non cerchino di darmi lezioni sugli immigrati che abbassano i salari, se quando Tony Blair era primo ministro non hanno lottato per i diritti e le libertà sindacali. Non sono interessata a quello che hanno da dirmi perché, se erano tanto preoccupati per i salari della classe operaia bianca che crollavano, avrebbero dovuto sollevare il problema quando Tony Blair non è riuscito a ripristinare i diritti e le libertà sindacali. Questa è la mia posizione sull’argomento.

Quindi, sì, penso che andare a destra sull’immigrazione sia un tema, ma penso che sia sbagliato e tutto ciò che dico come segretaria ombra agli Affari Interni è basato su questo presupposto. […]

Spesso le persone con posizioni anti-immigrazione sono assolutamente convinte di non poter cambiare le opinioni delle persone. […]

[…] Le persone parlano del progetto Corbyn come se fosse Londra-centrico, metropolitano e così via, ma una delle cose che caratterizza le persone come me, Jeremy e John McDonnell è che noi, nella Londra degli anni ’80, abbiamo lottato per cambiare le posizioni della classe operaia bianca sulla razza e sui diritti LGBT. Il fatto che Londra nel complesso sia più di sinistra su questi temi rispetto al resto del paese non è un caso, ma deriva proprio dalle nostre lotte degli anni ’80, dentro il partito e nella società. […] John, Jeremy e io siamo fermamente convinti che puoi guidare e cambiare le opinioni, perché lo abbiamo visto accadere. Abbiamo visto un primo ministro conservatore far passare i matrimoni omosessuali. Adesso queste sono tutte politiche mainstream – i diritti omosessuali, i diritti abortivi, l’anti-razzismo. Sono tutte cose mainstream che nessun politico metterebbe mai in discussione, se non con un linguaggio molto cauto. Quindi non diamo per scontate le posizioni della classe operaia, ma siamo convinti che il nostro ruolo sia di offrire una guida.

Al contempo, è significativo che lei abbia detto che a volte, sull’argomento, lei e Corbyn siete una minoranza di due persone nel Labour parlamentare. Pensate che ci siano stati dei compromessi nella posizione del Labour sull’immigrazione?

[…] Dobbiamo avere una posizione coerente sull’immigrazione e deve essere in linea con i valori del Labour e che parli di ciò che è positivo per l’economia e ciò che è positivo per la società, e che non si limiti ad assecondare i miti sull’immigrazione. È un mercato del lavoro sregolato che sta abbassando i salari, sono i sindacati indeboliti e, principalmente, sono gli stessi datori di lavoro – non i singoli polacchi o lituani.

L’altra cosa che il Labour sta dicendo è che la libertà di movimento finirà con la Brexit perché questa è la realtà istituzionale.

Certo. Sono sincera sul fatto che la libertà di movimento viene meno quando esci dal mercato unico, perché è così che funziona. Abbiamo la libertà di movimento perché facciamo parte del mercato unico, è uno dei quattro pilastri, ma se usciamo dal mercato unico questa viene meno. La sfida per noi è dire con quale tipo di sistema di immigrazione abbiamo intenzione di sostituirla.

[…]

C’è un ruolo per i movimenti in tutto questo e, se sì, quale?

Sì, c’è un ruolo per i movimenti. Quando ho incontrato Jeremy per la prima volta, era un sindacalista e un consigliere comunale, ha fatto quello finché non è diventato parlamentare. Jeremy è molto radicato nel sindacato e nella nozione della classe operaia organizzata, ma i movimenti hanno giocato un ruolo enorme nella sua vittoria per la leadership. E credo che possano giocarlo nuovamente per un governo a guida Corbyn, in termini di mobilitare le persone, di diffondere quello che dice, soprattutto online. E, sa, sono una persona ottimista. Sono ottimista per quanto riguarda il progetto Corbyn ed è per questo che sono qui.

Foto in evidenza: Diane Abbot (Getty)

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