Istat 2016 Poverta

Dopo la Caritas, l’Istat: peggiorano le condizioni di vita degli italiani. Occorre una “nuova proposta”

Circa due settimane fa la Caritas aveva pubblicato “Futuro anteriore” (1), che era il “Rapporto 2017 su povertà giovanili ed esclusione sociale in Italia”, dal quale risultavano dati che non è eccessivo definire drammatici, secondo i quali gli italiani “a rischio o in situazione di povertà ed esclusione sociale” che, nel 2010, erano 14.891.000 e che l’Italia dovrebbe ridurre a 12.557.000 entro il 2020 (secondo la “Strategia Europa 2020”), alla fine del 2015 erano 17.469.000, segnando un aumento, assoluto e relativo, addirittura superiore a quello registrato nell’intera UE.

E’ stato pubblicato oggi 6 Dicembre il Rapporto Istat, relativo all’anno 2016, avente per oggetto “CONDIZIONI DI VITA, REDDITO E CARICO FISCALE DELLE FAMIGLIE” (2), i cui dati confermano – né poteva essere diversamente – la gravità di quanto già il Rapporto Caritas aveva denunciato. Nella pagina di apertura, quella in certo modo riassuntiva di quanto viene più analiticamente esposto in quelle successive, si legge infatti che «Nel 2016 si stima che il 30,0% delle persone residenti in Italia sia a rischio di povertà o esclusione sociale, registrando un peggioramento rispetto all’anno precedente quando tale quota era pari al 28,7% [NOTA: era il 28,3% nel 2014]. Aumentano sia l’’incidenza di individui a rischio di povertà (20,6%, dal 19,9%) sia la quota di quanti vivono in famiglie gravemente deprivate (12,1% da 11,5%), così come quella delle persone che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa (12,8%, da 11,7%). Il Mezzogiorno resta l’area territoriale più esposta al rischio di povertà o esclusione sociale (46,9%, in lieve crescita dal 46,4% del 2015). Il rischio è minore, sebbene in aumento, nel Nord-ovest (21,0% da 18,5%) e nel Nord-est (17,1% da 15,9%). Nel Centro un quarto della popolazione (25,1%) permane in tale condizione. Le famiglie con cinque o più componenti si confermano le più esposte al rischio di povertà o esclusione sociale (43,7% come nel 2015), ma è per quelle con uno o due componenti che questo indicatore peggiora (per le prime sale al 34,9% dal 31,6%, per le seconde al 25,2% dal 22,4%)». Non sono certo dati “trionfali”, tutt’altro che da esibire per chi ne è responsabile.

E’ importante anche osservare che (pag. 4) «A livello europeo, nel 2016 l’’indicatore sintetico di rischio di povertà o esclusione sociale diminuisce da 23,8% a 23,5%…» ed inoltre che «Una delle misure principali utilizzate nel contesto europeo per valutare la disuguaglianza tra i redditi degli individui è l’’indice di Gini che in Italia è pari a 0,331, sopra la media europea di 0,307» (una differenza molto notevole, un netto svantaggio per l’Italia).

Chi vuole può addentrarsi in una lettura sistematica del Rapporto, che descrive con molti indicatori diversi le condizioni di vita degli italiani e l’evoluzione che esse hanno subito negli ultimi anni. Si può vedere, detto qui molto sinteticamente, che solo in pochi casi gli indicatori rivelano un miglioramento delle condizioni, che restano comunque sempre inferiori a quanto è stato registrato negli altri Paesi dell’UE. Questo dimostra da un lato che la “spinta propulsiva” non è stata tanto interna quanto dovuta al contesto generale dell’economia, in particolare di quella europea (“con la marea alta, tutte le barche si alzano“: poi c’è chi è capace di prendere il largo e chi no); dall’altro, appunto, che chi ha avuto in mano le leve della politica – sociale, economica, industriale – non ha saputo sfruttare abbastanza le condizioni favorevoli che lo scenario complessivo offriva, come invece hanno fatto altri Paesi: e questo, oltre ad arrecare un danno assoluto – nel senso del “minor beneficio” che è stato tratto – ha aumentato, a nostro svantaggio, la differenza (il “gap“) fra le condizioni italiane e quelle dei Paesi con i quali direttamente ci confrontiamo.

Ne discende un inevitabile giudizio negativo su chi, al Governo in questi ultimi anni, ha dimostrato di essere inadeguato al ruolo perché incapace di sfruttare al meglio quello che le condizioni circostanti – le “condizioni al contorno“, come si dice con espressione tecnica – avrebbero consentito (come invece altri hanno saputo fare): le politiche adottate sono state sbagliate o insufficienti, da cui la necessità di una forte discontinuità di programmi e di personale politico. Occorre, i fatti lo dimostrano, una “nuova proposta“: come quella che è stata messa in campo la scorsa domenica 3 Dicembre.

(1) http://www.settimananews.it/wp-content/uploads/2017/11/Rapporto_Caritas2017_FuturoAnteriore_copertina.pdf
(2) http://www.istat.it/it/files/2017/12/Report-Reddito-e-Condizioni-di-vita-Anno-2016.pdf?title=Condizioni+di+vita+e+reddito+-+06%2Fdic%2F2017+-+Testo+integrale+e+nota+metodologica.pdf

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