Per spiegare la vittoria netta dei conservatori di Boris Johnson e la sconfitta dei laburisti, molti commentatori in Italia, ma non solo, hanno trovato la più semplice delle spiegazioni. Corbyn, hanno detto, ha perso perchè il suo programma era troppo radicale, troppo lontano dal centro, in sintesi: troppo di sinistra. E naturalmente non sono mancati coloro che, con zelo degno di miglior causa, hanno cominciato a rimpiangere Tony Blair e la sua terza via (alternativa non al comunismo e alle destre, ma anche e soprattutto alla socialdemocrazia). Una spiegazione a mio giudizio nel migliore dei casi insufficiente e nel più realista sbagliata.
Il programma di Corbyn in materia economica e sociale non era un assalto al palazzo di inverno, ma una robusta proposta socialdemocratica, come lo erano state in un passato, forse troppo lontano, quelle di Brandt, Schmidt, Palme e, perchè no, Saragat e poi Nenni. Insomma, qualcosa da Internazionale socialista, e che in molte occasioni nei paesi europei aveva ottenuto importanti successi di governo. Piuttosto Corbyn ha mostrato un eccesso di prudenza su un altro tema: l’Europa e la Brexit. Già, perchè se, in un sistema fortemente bipartitico, il tuo avversario punta tutto sulla Brexit, tu a quel progetto devi opporti con grande vigore e programmi precisi. Perchè se nei collegi, in gran parte di tradizione laburista, tu non capisci che il tuo avversario riesce a sfruttare il malessere sociale, il malcontento, spiegando che è tutta colpa dell’Europa e che se il Regno Unito sta da solo le cose andranno meglio anche in economia, tu devi essere in grado di spiegare che quella è una spiegazione sbagliata e serve soltanto ad aprire la strada alla destra.
Ecco c’è qualcosa di simile a quanto accaduto in quei collegi a prevalenza operaia in Inghilterra è quanto accaduto, in precedenza, nelle elezioni politiche in Italia soprattutto in alcune zone tradizionali della sinistra. In quelle zone da noi hanno vinto le destre che spiegavano che se c’erano le diseguaglianze queste erano colpa dell’Europa e degli immigrati che rubavano soldi e posti di lavoro agli italiani. E così a sconfiggere il centrosinistra sono state le destre leghiste e postfasciste, che hanno saputo cavalcare la rabbia e la paura degli elettori, e il loro conseguente distacco dalla politica.
Per questo non credo che nè nel Regno Unito, nè in Italia, nè più in generale in Europa (le destre sovraniste sono in forte espansione anche e soprattutto nei paesi del nord del continente) la ricetta sia quella di un recupero alle terze vie dei Giddens e dei Blair (care al piccolo partito appena fondato da Matteo Renzi). Il problema, e vale per tutta l’Europa ma forse più in generale per tutto ciò che una volta era l’Occidente è coprire il vuoto di quello che una volta era stato il grande spazio occupato dalle socialdemocrazie in Europa e dai democratici in America. Senza che questo spazio politico sia saldamente occupato da partiti di solida cultura politica (altro che partiti liquidi e leggeri), saranno i cultori delle varie “Brexit“, “American first“, “Prima gli italiani” a trarre vantaggio.
Ecco la terza via – al sovranismo populista, ma anche al neoliberismo che quelle svolte nazionaliste, ha favorito e alimentato – non può che partire dal socialismo democratico. E questo dovrebbe essere al centro del dibattito di quel che resta dei partiti socialisti e democratici europei, a partire dal Pse. Dal Portogallo arrivano segnali interessanti e qualcosa si muove anche in Spagna. E sono segnali che non vanno in direzione del recupero di un tardo blairismo.
Certo non si tratta soltanto di riproporre vecchie ricette in automatico, ma di partire dalle migliori storie dei partiti di sinistra, per aggiornarle e metterle in grado di competere con quelle destre che appaiono vincenti in larga parte di Europa. Si tratta di avviare una riflessione che non si esaurisca nella nostalgia della socialdemocrazia, ma che da quella storia non può prescindere e deve partire per rivitalizzare una sinistra che, a Londra come a Roma, non è stata finora in grado di reggere all’assalto di una brutta destra sovranista.
Venendo all’Italia oggi a Roma in piazza San Giovanni andrà il movimento delle sardine. E’ una bella giornata. C’è il sole. Ci potrebbero essere segnali di novità. E uno già c’è stato: quello di un movimento che non chiede di sostituirsi alla politica ma che sollecita questa di essere in grado di dare risposte e in pratica ai partiti di fare i partiti. Potrebbe essere un buon punto di partenza.
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Foto in evidenza: Boris Johnson, il vincitore delle elezioni in Gran Bretagna
Il voto inglese pone problemi alla sinistra a Londra, a Roma e in Europa, ma la soluzione non è il blairismo caro a Renzi
Per spiegare la vittoria netta dei conservatori di Boris Johnson e la sconfitta dei laburisti, molti commentatori in Italia, ma non solo, hanno trovato la più semplice delle spiegazioni. Corbyn, hanno detto, ha perso perchè il suo programma era troppo radicale, troppo lontano dal centro, in sintesi: troppo di sinistra. E naturalmente non sono mancati coloro che, con zelo degno di miglior causa, hanno cominciato a rimpiangere Tony Blair e la sua terza via (alternativa non al comunismo e alle destre, ma anche e soprattutto alla socialdemocrazia). Una spiegazione a mio giudizio nel migliore dei casi insufficiente e nel più realista sbagliata.
Il programma di Corbyn in materia economica e sociale non era un assalto al palazzo di inverno, ma una robusta proposta socialdemocratica, come lo erano state in un passato, forse troppo lontano, quelle di Brandt, Schmidt, Palme e, perchè no, Saragat e poi Nenni. Insomma, qualcosa da Internazionale socialista, e che in molte occasioni nei paesi europei aveva ottenuto importanti successi di governo. Piuttosto Corbyn ha mostrato un eccesso di prudenza su un altro tema: l’Europa e la Brexit. Già, perchè se, in un sistema fortemente bipartitico, il tuo avversario punta tutto sulla Brexit, tu a quel progetto devi opporti con grande vigore e programmi precisi. Perchè se nei collegi, in gran parte di tradizione laburista, tu non capisci che il tuo avversario riesce a sfruttare il malessere sociale, il malcontento, spiegando che è tutta colpa dell’Europa e che se il Regno Unito sta da solo le cose andranno meglio anche in economia, tu devi essere in grado di spiegare che quella è una spiegazione sbagliata e serve soltanto ad aprire la strada alla destra.
Ecco c’è qualcosa di simile a quanto accaduto in quei collegi a prevalenza operaia in Inghilterra è quanto accaduto, in precedenza, nelle elezioni politiche in Italia soprattutto in alcune zone tradizionali della sinistra. In quelle zone da noi hanno vinto le destre che spiegavano che se c’erano le diseguaglianze queste erano colpa dell’Europa e degli immigrati che rubavano soldi e posti di lavoro agli italiani. E così a sconfiggere il centrosinistra sono state le destre leghiste e postfasciste, che hanno saputo cavalcare la rabbia e la paura degli elettori, e il loro conseguente distacco dalla politica.
Per questo non credo che nè nel Regno Unito, nè in Italia, nè più in generale in Europa (le destre sovraniste sono in forte espansione anche e soprattutto nei paesi del nord del continente) la ricetta sia quella di un recupero alle terze vie dei Giddens e dei Blair (care al piccolo partito appena fondato da Matteo Renzi). Il problema, e vale per tutta l’Europa ma forse più in generale per tutto ciò che una volta era l’Occidente è coprire il vuoto di quello che una volta era stato il grande spazio occupato dalle socialdemocrazie in Europa e dai democratici in America. Senza che questo spazio politico sia saldamente occupato da partiti di solida cultura politica (altro che partiti liquidi e leggeri), saranno i cultori delle varie “Brexit“, “American first“, “Prima gli italiani” a trarre vantaggio.
Ecco la terza via – al sovranismo populista, ma anche al neoliberismo che quelle svolte nazionaliste, ha favorito e alimentato – non può che partire dal socialismo democratico. E questo dovrebbe essere al centro del dibattito di quel che resta dei partiti socialisti e democratici europei, a partire dal Pse. Dal Portogallo arrivano segnali interessanti e qualcosa si muove anche in Spagna. E sono segnali che non vanno in direzione del recupero di un tardo blairismo.
Certo non si tratta soltanto di riproporre vecchie ricette in automatico, ma di partire dalle migliori storie dei partiti di sinistra, per aggiornarle e metterle in grado di competere con quelle destre che appaiono vincenti in larga parte di Europa. Si tratta di avviare una riflessione che non si esaurisca nella nostalgia della socialdemocrazia, ma che da quella storia non può prescindere e deve partire per rivitalizzare una sinistra che, a Londra come a Roma, non è stata finora in grado di reggere all’assalto di una brutta destra sovranista.
Venendo all’Italia oggi a Roma in piazza San Giovanni andrà il movimento delle sardine. E’ una bella giornata. C’è il sole. Ci potrebbero essere segnali di novità. E uno già c’è stato: quello di un movimento che non chiede di sostituirsi alla politica ma che sollecita questa di essere in grado di dare risposte e in pratica ai partiti di fare i partiti. Potrebbe essere un buon punto di partenza.
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Guido Compagna
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