Jeremy Corbyn: Per mettere fine all’agonia della Siria serve la diplomazia, non le bombe
Traduzione dell’intervento di Jeremy Corbyn pubblicato sul Guardian con il titolo “Diplomacy, and not bombing, is the way to end Syria’s agony” (15 aprile 2018).
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Questi sono tempi difficili. In seguito agli attacchi missilistici sulla Siria, adesso è il momento per una potente spinta verso la pace. L’allegra accettazione da parte di Boris Johnson, ieri, che il conflitto adesso continuerà allo stesso modo e che i negoziati di pace sarebbero un “extra” è una abdicazione spregiudicata di responsabilità e moralità.
Questo conflitto devastante è costato già più di 500.000 vite e ha portato a 5 milioni di rifugiati che sono stati costretti a fuggire dalla Siria e a 6 milioni di sfollati interni. Dobbiamo mettere al primo posto i negoziati per un accordo politico e non scivolare in un nuovo ciclo di risposte e contro-risposte militari.
Il protratto intervento militare esterno in Siria […] non ha aiutato minimamente. La Siria è diventata il teatro per azioni militari da parte di potenze regionali e internazionali – Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia, Francia, Turchia, Iran, Arabia Saudita, Israele, Qatar e gli Emirati Arabi, per citarne alcune.
L’attacco di sabato sui siti reputati collegati con l’arsenale di armi chimiche siriano era sia sbagliato che mal concepito. Era o puramente simbolico […] o precursore di un’azione militare più ampia. La quale rischierebbe di comportare un’incosciente escalation della guerra e del numero delle vittime e il pericolo di un confronto diretto fra Stati Uniti e Russia. Nessuna delle due possibilità prevede una fine della guerra e delle sofferenze o una qualsiasi prospettiva di salvare vite umane – è piuttosto l’opposto. L’intensificazione dell’azione militare porterà semplicemente a più morti e a più rifugiati.
Non è possibile far finta di non vedere l’uso delle armi chimiche. Il loro impiego costituisce un crimine e i responsabili dovranno rispondere delle proprie azioni. Il governo Assad avrebbe dovuto rinunciare alle proprie armi chimiche (ma non al cloro) con l’accordo sostenuto dall’ONU del 2013, e centinaia di tonnellate sono state distrutte sotto la supervisione dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, della Russia e degli Stati Uniti.
Contrariamente a quanto si dice, l’accordo del consiglio di sicurezza dell’ONU era sicuro allora, e ancora nel 2015 e nel 2016, per un regime d’ispezioni indipendente delle Nazioni Unite sulle armi chimiche. Ispezioni che possono e devono essere ripristinate, come propongono entrambe le parti del consiglio di sicurezza.
Gli ispettori devono avere pieno accesso per raccogliere prove, oltre a poteri aggiuntivi. La Russia deve rispettare i propri impegni del 2013 e spingere affinché il governo Assad collabori con le indagini su quanto accaduto a Douma.
La stessa cosa si applica ai gruppi armati di opposizione, alcuni appoggiati dai sauditi o dall’Occidente, che a loro volta sono implicati nell’uso delle armi chimiche. Bisogna fare pressione su coloro che saranno ritenuti responsabili attraverso sanzioni, embarghi e, se necessario, attraverso il Tribunale penale internazionale.
La piena responsabilità dipenderà da una fine del conflitto. C’è molto che può essere fatto adesso, senza aggiungere benzina sul fuoco siriano. Ci sono quelli che sono scettici riguardo a una diplomazia multilaterale. Ma è essenziale insistere sulla legalità e su sanzioni da parte dell’ONU per ulteriori azioni militari. Non possiamo accettare che una “nuova guerra fredda” sia inevitabile, come ha avvertito il segretario generale dell’ONU António Guterres. Anche un cambio nella retorica dello scontro senza fine con la Russia potrebbe aiutare ad abbassare la temperatura e a formare un consenso ONU per un’azione multilaterale che renda più probabile la fine dell’agonia siriana.
L’azione militare del fine settimana è dubbia dal punto di vista legale. La giustificazione del nostro governo, che si appoggia pesantemente sulla dottrina ampiamente contestata dell’intervento umanitario, non rispetta neppure i propri parametri. Senza l’autorità delle Nazioni Unite, si è trattato ancora una volta del governo statunitense e di quello britannico che si sono arrogati l’autorità, che non possiedono, di agire unilateralmente.
Il fatto che il primo ministro abbia ordinato gli attacchi senza chiedere l’autorizzazione del parlamento sottolinea la debolezza di un governo che stava in realtà attendendo l’autorizzazione di un presidente degli Stati Uniti bellicoso e instabile. Ecco perché stiamo facendo pressione affinché sia il parlamento ad avere l’ultima parola sulle azioni militari future in un nuovo atto di guerra.
Ulteriori azioni militari sarebbero incoscienti: […] la guerra siriana è carica del pericolo di un conflitto più ampio, che inizia con la Russia e poi rischia di trascinare dentro anche Turchia, Iran, Israele e altri.
E non c’è nemmeno un piano politico previsto. La Libia offre l’esempio più recente e pericoloso di un’operazione militare fatta partire senza pensare alle conseguenze politiche. Nel frattempo, la campagna di bombardamenti saudita in Yemen, appoggiata dal Regno Unito, è un disastro umanitario.
[…] È una buona notizia che il consiglio di sicurezza dell’ONU adesso discuterà sia un nuovo regime d’ispezioni delle armi e un rilancio dei colloqui di pace bloccati. Certe discussioni devono essere condotte con l’obiettivo di un accordo, non di segnare punti.
Dobbiamo rimuovere il flagello delle armi chimiche ma anche usare la nostra influenza per mettere finire al flagello ancora più grande della guerra siriana. Non potrebbe essere più urgente una soluzione diplomatica che permetta al paese di ricostruirsi, ai rifugiati di tornare a casa e di arrivare a un accordo politico inclusivo che garantisca al popolo siriano di decidere sul proprio futuro.
Tutto questo, e non una nuova campagna di bombardamenti, è quello che il popolo britannico vuole dal proprio governo. Adesso è il momento per una leadership politica e morale, non per risposte militari impulsive.
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(Foto: Jeremy Corbyn a una protesta di Stop the War nel 2012 | Rex)