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La scelta di fare un partito

Di seguito l’intervento di Enrico Rossi nella riunione della direzione nazionale di Articolo Uno-Mdp.

Condivido la relazione e anche il senso di tanti interventi. Mi pare che l’analisi sia giusta, sia sulle ragioni più contingenti della nostra sconfitta, sia anche sulle ragioni più profonde di una sconfitta della sinistra del nostro paese.
Però attenti a non smarrire il senso della nostra identità. Non credo che la necessità di adeguare la nostra identità ci debba spingere a rimuoverla. Penso diversamente. C’è anche una sinistra che è iscritta al Partito socialista europeo e che vince o che sta per vincere, anche in Europa, in Inghilterra e Portogallo. Attenzione, quindi, a fare un’analisi non sufficientemente differenziata. Quando si deve rinnovare un organismo è utile piuttosto tornare alle radici, ricercare quello che di buono esiste in esse, altrimenti altri finiscono per sopravanzarci, per lanciare un messaggio più forte.
Roberto Speranza ci propone una scelta netta, chiara. Anch’io ritengo che il punto di partenza sia soprattutto quel movimento di militanza che abbiamo visto in campo durante questa campagna elettorale e verso cui, prima di tutto, abbiamo un dovere etico di rapporto, di comunità. Ed è la scelta di fare un partito. Una scelta che non è di poco conto.

Un partito deve avere una strategia politica. Bisogna che sia sul pezzo, sulle cose che pervadono il paese.
Penso che sia giusto puntare a ricostruire uno schieramento progressista, uno schieramento di centrosinistra, di cui noi dobbiamo provare a giocare la scommessa di essere la sinistra. Io vedo questo.
Non confido che il travaglio del Pd possa produrre cambiamenti dell’asse politico e culturale di quel partito. Non mi pare che ce ne siano i segni. Noi dobbiamo guardare, anche con attenzione, a quello che avviene in quel partito, ma sapendo che è una cosa diversa. Noi dobbiamo avere una nostra strategia politica. La scelta di costruire un partito non può essere sentita come una scelta tattica. È una scelta strategica, è un‘altra scommessa, una grande scommessa che proviamo a fare.
Troveremo anche un nome. Lo decideranno gli iscritti. Io penso alla parola lavoro. La sua ricomposizione è il tema vero dentro il conflitto tra lavoro e capitale che caratterizza ancora questo secolo e, anzi, semmai, diciamo, si è ulteriormente rafforzato, si è ulteriormente intensificato.

Allora come si costruisce il partito? Mi pare la domanda principale. Dico tre cose. Andando a ritrovare quei tanti che abbiamo conosciuto nel corso della nostra campagna elettorale. Non c’è dubbio. Però andando anche oltre.
Credo che un partito si costruisca con gli iscritti. Non si può fare la costruzione di un partito convocando un’altra assemblea con gruppi dirigenti selezionati sulla base di quello che abbiamo già visto quando abbiamo costituito un soggetto politico elettorale.
Noi dobbiamo aprire le iscrizioni, verificare se esiste davvero nella società la domanda di costruire un partito della sinistra e del lavoro. E vedere quale è la risposta, come rispondono i compagni, i cittadini.
Io penso che questa domanda ci sia. C’è già in quelli che abbiamo incontrato e c’è anche in tanti altri che magari non abbiamo ancora sufficientemente incontrato, perché ci guardavano con titubanza, qualche volta anche con sospetto (perché lo fate?, fate sul serio?). Io non vedo altre scommesse che questa: provare a costruire nei prossimi tre-quattro mesi una serie di momenti per cui davvero si va alla costruzione di sezioni, di iscritti di questo partito in tutte le città, in tutti i paesi. Non sono particolarmente esperto di questioni organizzative, ma se non si fanno operazioni di questo tipo noi rischiamo di rivolgerci ad un bacino che si logora sempre di più e poi finisce per restringerci e per accusarci giustamente di fare un’operazione dall’alto un’altra volta. Perché una volta, diciamo, sostanzialmente è già stata fatta. Abbiamo bisogno di tentare. È giusto quello che è stato detto prima. Bisogna dare il modo di avere una tessera materialmente consegnata, a mio parere, non online, non basata su una suggestione. E i gruppi che già esistono diventare gruppi di garanzia.

E dopo come chiedere l’iscrizione a questo partito? A mio parere ci sono due cose fondamentali. La prima è il manifesto. Abbiamo bisogno di riscrivere un manifesto, un manifesto che rimanga come un testo fondamentale di cose che non si cambia ad ogni congresso. Un po’ l’avevamo abbozzato, ma bisogna fare di più e di meglio. Identità: quali gruppi sociali vogliamo tutelare e difendere, quale organizzazione?
Io continuo a pensare che l’idea del socialismo sia ancora più attuale in questo secolo, ma anche la cultura della dottrina sociale della Chiesa. Grandi riferimenti che dobbiamo tenere, che dobbiamo riconfermare.
E poi, chi vogliamo tutelare e difendere in una società in cui il conflitto si ripresenta?
E ancora, una bozza di statuto che consegni poteri a chi si iscrive. Io mi iscrivo perché voglio decidere, questo, questo e quest’altro e che sia qualcosa di diverso da quel partito liquido che è la ragione per cui il Pd non uscirà dalla sua caduta. Questo è il punto, perché abbiamo verificato sul campo che solo un partito organizzato e plurale è capace di poter svolgere al proprio interno una discussione, semplicemente come quella che stiamo facendo noi qui ora. E il Pd non lo è perché ha altre logiche, è un partito personalistico, leaderistico, dove l’elemento fondamentale è il circolo e comitati elettorali per inseguire la vittoria, in Comune, o al Parlamento o da altre parti ancora.

Dobbiamo riuscire ad aprire in tre-quattro mesi una campagna di iscrizioni, consegnare un carta fondamentale, e, poi, accanto a questo, anche consegnare una bozza di statuto per cui si faccia sapere che questo partito sarà “intellettuale collettivo”, perché vogliamo raccogliere conoscenze ed esperienze. Non dimentichiamoci delle esperienze, di chi lavora, di chi sa, di quanto vale un intellettuale che studia. Bisogna ritornare anche a questa concezione.

E poi abbiamo bisogno di una comunità democratica. Le decisioni a mio parere devono essere prese insieme democraticamente: si vota, si vota sui contenuti, sul programma, si vota anche sulle scelte politiche fondamentali.

Credo che questo processo non vada rallentato o fermato, ma anzi accelerato. Se provassimo a raccontare e a promuovere questo come uscita dalle incertezze attuali sarebbe, a mio parere, una prima scelta importante da presentare ai nostri militanti, a quella militanza diffusa che abbiano riscoperto.

In ultimo, sapete che ho un giudizio negativo sui 5Stelle: per me sono una forza reazionaria di massa dai contorni democratici incerti, dalla incerta proposta programmatica non solo politica e culturale. A mio parere è giusto discutere con tutti, vorrei che si ponesse ai 5Stelle una questione: cosa intendono per “democrazia diretta” e cosa intendono per “repubblica dei cittadini”, e come si concilia tutto questo con la Costituzione repubblicana. E’ un tema, è un tema che noi dobbiamo porre.
Ci dicono che siamo nostalgici?
Sì, siamo nostalgici dei partiti, perché siamo convinti che ci sia bisogno di partiti democratici per far funzionare la democrazia. Siamo nostalgici della democrazia rappresentativa, perché senza democrazia rappresentativa c’è populismo, senza democrazia rappresentativa c’è autoritarismo. E’ cosi, terzo non è dato, purtroppo, in questi casi. E quindi una domanda di questo tipo va posta.

Capisco l’esigenza di una proposta politica nostra.
Ma io la porrei così: direi, sì, noi discutiamo e la palla per noi sta nella mani del Presidente della Repubblica. Se il Presidente della Repubblica ci chiama ad un impegno, valuteremo a quel punto come fare. Perché aprire noi ad un Movimento 5 Stelle che non ha ancora chiarito le sue collocazioni, il suo programma di fondo, penso sia un errore. E rischia di essere anche un cedimento nei confronti di quei tanti che hanno votato per esprimere un voto di protesta pur consapevoli che non è il massimo possibile e che sarebbero magari disposti a darlo ad una forza di sinistra. Almeno questa deve essere la nostra scommessa.

Foto in evidenza: Enrico Rossi

 

 

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