“Noi siamo la sinistra”. L’intervento di Enrico Rossi all’assemblea di MDP
Pubblichiamo il video integrale dell’intervento di Enrico Rossi a Roma, all’assemblea di Articolo Uno-MDP.
Di seguito la trascirzione dell’intervento:
Se Fassino avesse voluto davvero aprire un dialogo con noi, anziché mettersi in un gioco che ormai tutti iniziano a scoprire nonostante il gran sostegno dei mezzi di comunicazione, cioè lasciare noi col cerino in mano come responsabili della divisione della sinistra o del centrosinistra, sarebbe dovuto partire dai problemi reali. Forse partendo da un’analisi della situazione del paese e dai problemi reali, allora saremmo stati interessati.
Noi siamo una sinistra di governo. Una sinistra che anche nel documento che ha presentato ha l’ambizione di parlare ai ceti popolari, al mondo del lavoro e alle imprese, ai lavoratori dipendenti e autonomi, che stanno crescendo e vivono in difficoltà, agli artigiani, alle imprese sane che possono essere coinvolte in un progetto di ripresa, di sviluppo, di risanamento. Purtroppo non lo si fa per la stessa ragione per cui non si é fatto il congresso del Pd così come chiedevamo noi. Perché bisognava tirare un rigo e dire che i “magnifici mille giorni” a palazzo Chigi purtroppo registrano un pressoché totale fallimento sui grandi temi della crescita, dello sviluppo, della giustizia e sulle questioni sociali, come é stato detto benissimo da Cecilia Guerra nel suo intervento.
Ci sono due temi che si smontano facilmente nella propaganda governativa. Il primo di questi è che ci sarebbe crescita. In realtà è una crescita molto legata o pressoché legata totalmente all’export in una quadro generale di crescita europea e mondiale. E questa crescita, comunque, colloca il nostro paese come fanalino di coda. C’è poco da andare orgogliosi per quell’1.5% che forse riusciremo a registrare quando, in fondo all’anno o dopo i primi tre mesi del nuovo anno, faremo i conti definitivamente. Siamo ancora una delle realtà nazionali in Europa che crescono di meno. Ma quello che é ancora più grave è che questo dato, dicono gli esperti, non è accompagnato da nessuna crescita della produttività. Il che significa, lo ha ricordato bene prima Roberto Speranza, che é aumentato lo sfruttamento. Con questa chiave si deve leggere lo sbandierato aumento del numero degli occupati, perché il dato vero sono le unità lavorative che si riducono. Quindi, da una parte è un Paese che non cresce, che fa export aumentando lo sfruttamento dei lavoratori, le criticità, i problemi, che non cresce in produttività e, quindi, tendenzialmente nella competizione internazionale si collocherà in basso; dall’altra, è anche un Paese che comincia ad andare su criticità importanti, su pilastri che sono stati elementi di forza del nostro stato sociale.
Ad esempio, la sanità, i rischi seri che cominciamo a correre di un paese dove l’accesso universalistico ai servizi sanitari è messo in discussione.
Oppure la scuola, i livelli altissimi di dispersione scolastica.
Oppure l’università, la ricerca dove esistono ancora certi focolai di eccellenza ma manca un progetto generale e si riducono le risorse.
Io rammento questi temi perché bisogna dire a tutti i maître à penser che scrivono sulla stampa che noi non siamo una sinistra di testimonianza o una ‘sinistrina’ messa in un angolo. Noi siamo la sinistra che ha un progetto di cambiamento e di una svolta economica e sociale del Paese per uscire davvero dalla crisi. E il nostro progetto si rivolge a larghi strati della società Italiana. A chi soffre di più ma anche a chi vuole svolgere un ruolo importante, vuole mettersi in gioco e vuole mettersi fino in fondo in discussione.
Credo che questo sia il punto su cui abbiamo bisogno di insistere. Come il punto della ripresa: anch’io sono convinto, manca la domanda interna. Altre volte Bersani su questo ha insistito. Io mi permetto di riprenderlo. Il paese non crescerà finché gli investimenti saranno ancora una volta in decrescita anziché in aumento.
Se io guardo alla mia regione: migliaia di posti di lavoro persi nel comparto delle costruzioni o in quello delle opere pubbliche in generale sono il quantitativo più importante. E andando in giro in Italia con Articolo Uno si impara che questa è una cosa che si ripete. E allora: sulla scuola, la sicurezza sismica, la rigenerazione urbana, le case, serve un grande progetto che a partire anche da un orientamento nazionale dia agli enti locali la possibilità di rimettere in moto una prospettiva di crescita e di sviluppo.
E poi la sanità. Stiamo, ormai, andando sotto la soglia della media europea. Significa essere meno di sei punti e mezzo sul Pil prodotto, una situazione che, secondo i dati dell’OMS, comincia a mettere in discussione lo stato di salute della popolazione. Altro che far finta di mettere i soldi e poi giocarli verso la farmaceutica o i contratti che pure sono necessari. Occorre un grande progetto, che guardi anche al Sud, che lo recuperi in una prospettiva di crescita di qualità dei servizi. Sarebbe possibile e organizzabile.
E poi ancora la scuola. Grandi progetti di finanziamento per l’edilizia, le strutture scolastiche. Ancora mandiamo i nostri figli nelle zone terremotate in scuole che non sono state messe in sicurezza. E anche questo è cosa nota su cui bisognerebbe provvedere, rapidamente, in tempo.
E poi ancora progetti speciali. La realtà dell’integrazione in alcuni punti specifici. Mancano insegnanti di sostegno. Chiediamo alla scuola tutto, ma non possiamo pensare che risponda se non la sosteniamo.
Dobbiamo ricostruire un nuovo asse culturale, abbiamo bisogno di un nuovo asse tecnico e umanistico. Asor Rosa ci ha dato un segnale. Va discusso. Cosa vogliamo che sia la scuola oggi? A servizio solo della formazione di un lavoratore che entra in un’impresa o anche di un cittadino? E’ un altro grande tema che appartiene a noi anche se non dobbiamo dimenticare che un cittadino è anche un lavoratore. Guai se smarrissimo questo punto di riferimento.
Credo che questi temi siano i nostri temi, e su questi temi abbiamo davanti non una ridotta ma una platea enorme di persone disposte ad ascoltarci.
Dove recuperare le risorse? A parte il fatto che se facciamo i conti, una trentina di miliardi all’anno nei magnifici mille giorni sono stato spesi per darli all’impresa, senza condizione: i bonus per tutti indifferentemente, le detassazioni anche per i più ricchi in contrasto con i principi costituzionali. E poi noi dobbiamo dire la verità: una campagna elettorale con l’obiettivo di ridurre le tasse a tutti, perchè questa sarebbe la sinistra, non la possiamo fare, caro Fassino.
Siamo convinti che in una situazione di crisi non solo si deve combattere lo scandalo dell’evasione fiscale che ancora rimane e lo scandalo dell’esportazione dei capitali all’estero fatti rientrare col 4%. Un pensionato con una pensione di 600 euro paga molto di più del 4%. Dobbiamo chiedere alla parte di società più ricca di dare un contributo per far rinascere il Paese e per trovare la strada di una giustizia maggiore. Penso che questo orizzonte di redistribuzione della ricchezza vada detto, vada declamato, vada declinato in proposte concrete.
Dobbiamo riprendere un’analisi – non voglio spingermi a dire di classe – della società in cui non basta dire che ci collochiamo dalla parte degli umili ma che ci collochiamo dalla parte di chi ha bisogno, che quelli che hanno di più si mettano le mani in tasca e diano qualcosa a chi ha di meno. E’ un principio che caratterizza la sinistra e se dovessimo abbandonarlo non potremo riconoscerci e neanche parlare a quei ceti popolari a cui siamo maggiormente interessati.
Discuteremo dell’articolo 18 e di altro ancora. Vedo che sono già partite le fanfare contro la riproposizione dell’articolo 18. La dico così: forse abbiamo sbagliato a discuterlo già una volta. Me ne assumo anch’io la responsabilità. Ma mi si deve spiegare qual è la ragione per cui un lavoratore (e la dignità del lavoro) possa essere calpestato con un provvedimento che è disciplinare e che, anche qualora venisse contestato dal tribunale, possa essere liquidato attraverso un pagamento. Leggo e sento che starebbero diminuendo. Diminuiscono non solo i contenziosi (c’è un problema anche di pagare i contenziosi), ed è un problema serio. Ma mi viene anche da dire che diminuiscono perché i lavoratori di questo paese non ci stanno a essere risarciti da qualche decina di migliaia di euro perché hanno un’altra idea della dignità del lavoro grazie ad una grande storia del movimento operaio e della sinistra.
Voglio finire anche io come ha fatto già Roberto, ringraziando i compagni e gli amici della Sicilia. La penso così: in Sicilia si è avuto il coraggio di rischiare e se oggi siamo qui è perché li si è fatta questa scommessa, difficilissima ma con un risultato positivo. Dalla Sicilia ci è venuta una spinta, la fiducia che si può fare diversamente, che la politica può partire da idee, può lavorare sulle idee, su obiettivi e non ha sempre bisogno per forza di compromettersi. Può esserci anche una politica diversa, pulita che mobilità un pezzo della società. Penso che quel segnale per noi è molto incoraggiante ed è giusto anche rivendicare, come ha fatto Roberto, con orgoglio quello che abbiamo messo in piedi in questi mesi. Tante riunioni, tanti incontri. È impressionante come il numero non diminuisca ma cresca. Ad ogni riunione prendiamo male, lo dico sempre, le misure. Ci vorrebbe un geometra. Le sale sono sempre strette. Non solo qui oggi, ma anche in altre iniziative. È stato un grande lavoro che ci dice che abbiamo spazio. Siamo presenti anche sui social. È stato detto giustamente che avremmo bisogno anche di un giornale, di un foglio nostro. Mi pare che nel profondo si muovano cose importanti.
Credo, però, anche questa cosa: abbiamo bisogno di riprendere le scarpe e andare nei quartieri, davanti alle fabbriche, nelle scuole. Non facciamoci prendere in giro. A me piacerebbe, la prossima volta, di essere chiamato in qualche posto della Toscana, oltre a quelli dove già vado come Presidente e dove, evidentemente, il mio ruolo è soverchiante, ma in altri quartieri, in altri territori per una vista, un volantinaggio, per presentarci: noi siamo questo.
C’è una cosa che mi spaventa, la presenza anche nella mia regione dei fascisti di Forza Nuova, di Casa Pound che si radicano tra gli studenti, nei quartieri popolari. A Pistoia, dove la sinistra prendeva il 60%, un esponente della destra è diventato sindaco. In alcuni quartieri, storicamente insediamenti di sinistra, sono riusciti a cambiare il risultato elettorale. Li noi non c’eravamo più da anni. Sempre a discutere di primarie, sempre a discutere di chi va in un certo posto, sempre a discutere di come aggiustarsi. Non possiamo pensare di riprodurci in questo modo o di vincere la nostra scommessa in questo modo. E poi, attenzione: bisogna rivolgersi a tutti i gruppi intermedi, a tutte le categorie. C’è un estremo bisogno di dialogo.
Il Pd renziano nel rapporto con le categorie sociali ha creato un deserto. Queste categorie hanno bisogno di una proposta seria e convincente per il Paese.
Noi cresceremo, siamo già costituiti. Nei quartieri, nelle periferie, nelle fabbriche, non perdiamo l’appuntamento di una fabbrica dove si registrano elementi di crisi e di difficoltà. Ma andiamo anche a parlare con le rappresentanze dei commercianti, degli artigiani, delle industrie, gli studenti che sono in lotta. Chiamiamoli, parliamo con loro.
Penso che il nostro movimento diventerà una grande forza elettorale e potrà diventare un grande partito dopo le elezioni. A chi ci chiede, e mi chiedono in molti, “ma fate sul serio?”, la risposta più convincente è dire: “si, ci siamo”. E per dimostrarti che facciamo sul serio ci ritorneremo pure. Così vedrete che faremo tanta strada.