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Populismo in Europa. La socialdemocrazia deve rinnovarsi

Traduzione dell’articolo di Jean-Luc Gaffard e Francesco Saraceno pubblicato su Le Monde con il titolo “Populisme en Europe :«La social-démocratie doit se rénover»” (28 maggio 2018).

Le elezioni italiane dopo le elezioni tedesche e francesi confermano che l’ascesa del populismo colpisce tutti i paesi europei e non solo i paesi ex-comunisti. Anche la Brexit e la crisi catalana lo testimoniano. Al contempo, in questi tre paesi fondatori dell’Unione Europea, la socialdemocrazia si indebolisce drammaticamente, quando proprio non collassa.

Il discorso in voga è che questa socialdemocrazia non ha nulla da dire sulla globalizzazione, che non ha saputo rinnovare le sue analisi e le sue pratiche per affrontarla; senza mezzi termini: non ha saputo davvero rompere con politiche ormai considerate obsolete che hanno creato il successo dei “trenta gloriosi” (1945-1975). Il mondo è cambiato drasticamente ed è arrivato il momento di adattarsi, di introdurre flessibilità laddove c’era solo sicurezza.

Diversi tipi di globalizzazione

In questo discorso, la globalizzazione è un blocco, un orizzonte insuperabile e soprattutto unico, di cui l’UE è l’esempio più avanzato. Non c’è altra scelta tra questa globalizzazione e il populismo sovranista. Si dimentica presto che i famosi “trenta gloriosi” sono stati un momento di globalizzazione e di liberalizzazione degli scambi, ma subordinati agli obiettivi di crescita e benessere dei diversi paesi.

Ciò significa dimenticare che esistono diversi percorsi, diversi tipi di globalizzazione, anche se le attuali condizioni geopolitiche sono molto diverse da quelle del dopoguerra. La sconfitta della socialdemocrazia è dovuta all’accettazione di uno specifico modello di globalizzazione che oppone il mercato totale allo stato regolatore e non al fallimento dichiarato di un modello che fa della coesione sociale una garanzia di equità ma anche di efficienza.

Il vero problema della socialdemocrazia, in Europa come altrove, è che ha perso la sua identità, ha elaborato il lutto per la regolamentazione pubblica, ha accettato la semplicistica e falsa scissione tra globalisti e sovranisti, raccogliendo un consenso sul terreno economico che rende stranamente simili le politiche di sinistra e di destra, come se non ci fosse più bisogno di discutere sulla base di un ragionamento scientifico.

Tutti dovrebbero, tuttavia, rendersi conto che in nome di una certa lettura della concorrenza, apparentemente libera e non falsata, e dell’ortodossia di bilancio, in particolare in Europa, la crescita è stata frenata, la precarietà è aumentata e si è verificata una frattura sociale e territoriale, il che spiega l’ascesa del populismo, ancora di più rispetto al fenomeno migratorio.

A emergere non è stata una società aperta ed egualitaria, ma società frammentate con la prospettiva, non di sorpassare gli Stati, ma di ritornare ai conflitti d’interesse e all’introduzione di forme dispotiche se, per caso, il populismo finisse per avere la meglio.

Le menti migliori pensano che sia un brutto momento destinato a passare e che più velocemente saranno fatte le riforme neoliberiste, più velocemente l’orizzonte verrà sgombrato. Altri sostengono di rallentarne l’implementazione e aspettare giorni migliori, perché chiaramente la ripresa della crescita non tarderà ad arrivare. Nessuno dei due mette in discussione la fondatezza di queste riforme a lungo termine.

La socialdemocrazia, da parte sua, ha scelto di differenziarsi dalla destra conservatrice privilegiando le richieste della società, a rischio di alienare le classi popolari che aveva la vocazione di rappresentare. Ha interiorizzato l’idea che la globalizzazione stava definitivamente minando la capacità dello Stato di organizzare la regolamentazione economica e la protezione sociale, a volte anche immaginando che aziende socialmente responsabili potessero sostituirla.

Regolamentazione pubblica

Non è forse giunto il momento, al contrario, che questa socialdemocrazia si preoccupi, come ha fatto in passato, della ricorrente instabilità delle economie di mercato che solo la regolamentazione pubblica può contrastare e di cercare dei nuovi mezzi per metterla in pratica in un mondo aperto? Invece di limitarsi a invocare la necessaria solidarietà sociale e umanitaria senza fornire i mezzi economici e politici.

Cercare stabilità economica e coesione sociale significa rifiutare riforme che si traducono in una maggiore precarietà tra le classi lavoratrici. Precarietà portatrice di dualismo e indebolimento delle capacità individuali, con il rischio di minacciare innovazione e crescita.

Cercare stabilità economica e coesione sociale significa riconoscere che gli stati-nazione svolgono un ruolo vitale nel plasmare la globalizzazione essendo i fornitori di beni pubblici – dal rispetto della legge alla stabilizzazione macroeconomica – che sono necessari per il buon funzionamento dei mercati, come ci ricorda l’economista Dani Rodrik («Il problema con la globalizzazione», all’interno di The Milken Institute Review, 2017). […]

Riconciliare democrazia e coesione sociale

[…] Infine, cercare stabilità economica e coesione sociale significa:
– riconoscere che è necessario, per gli Stati, in particolare in Europa, ritrovare un percorso di cooperazione mutualmente vantaggiosi. A tal fine, è necessario concepire clausole di salvaguardia in grado di dare agli attori il tempo di adattarsi ai cambiamenti senza costi sociali;
– che qualsiasi forma di dumping fiscale o sociale venga rifiutata;
– che è necessario impegnarsi per mantenere ed estendere geograficamente i meccanismi costitutivi dei diritti societari, dei diritti sociali, dei diritti fiscali e dei diritti ambientali che soddisfano gli obiettivi di solidarietà ed efficienza.

Queste esigenze, solo una socialdemocrazia rinnovata è in grado di garantirle, di mostrare la via, lontano da ogni demagogia che consiste nel negare problemi e difficoltà, ma lontano anche da qualsiasi terapia d’urto e con una chiara rottura con un liberalismo volgare, che ignora le conquiste di quello che è troppo superficialmente descritto come il “vecchio mondo“. La sfida è riconciliare la democrazia e la coesione sociale con la globalizzazione, attraverso regolamenti comuni, ma anche facendo in modo che le disposizioni globali consentano agli Stati nazionali di svolgere al meglio la propria funzione, invece di indebolirli.

Foto in evidenza (theoutline.com)

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