Tra le macerie della politica con la sinistra a pezzi e il trionfo dei populismi. Da dove provare a ripartire
Tutto in una notte. E allora cominciamo dal quadro che questa tremenda notte ci consegna. I cinque stellle sono il primo partito attorno al 32 per cento; il centrodestra la coalizione che ha ottenuto più voti (più o meno il 37 per cento), ma è a trazione leghista. Il partito di Salvini, con il suo quasi 18 per cento, precede di un paio di punti Forza Italia. Quanto alla sinistra il 7 è sotto il 20 per cento e la coalizione voluta da Renzi e sostenuta dai padri nobili, non va oltre il 23 per cento. Quanto a Liberi e Uguali siamo appena al di sopra del 3 per cento, il che, quasi certamente, dovrebbe consentire l’ingresso in Parlamento. Quello che le elezioni ci consegnano è un quadro non più tripolare, ma prevalentemente bipolare dove i due poli sono i 5 stelle (per ora i più forti in uno splendido isolamento) e dall’altro un centrodestra a trazione leghista rinforzata da Fratelli d’Italia e con una Forza Italia guidata da un Berlusconi che non è risorto, ma semplicemente riapparso un po’ usurato e con la presunzione di poter garantire in Europa la credibilità della coalizione, più populista che popolare.
Questa è la geografia elettorale che il popolo italiano chiamato alle urne (affluenza più che buona questa volta) ci lascia e con la quale bisogna ora fare i conti. Visto che il popolo, in questo caso l’elettorato, non si può cambiare, e che quello di Brecht, per il quale se il popolo sbaglia si può sempre cambiarlo, è soltanto un irriverente paradosso. Queste le forze in campo, questa la frammentazione, ma sarebbe più chiaro dire le macerie di quel che resta di quella che, con termine inappropriato, si é detta seconda Repubblica. E con questo che il presidente della Repubblica dovrà ora confrontarsi nel difficile tentativo di dare governo e governabilità al Paese.
Ma con questo quadro che dovrà fare i conti anche il terzo polo per ora mancato, vale a dire la sinistra. Mattarella nel suo percorso si affiderà alla Costituzione, che per fortuna è ancora quella del 1948, anche se non ci sono più i partiti del 1948. E sarà anche l’occasione per verificare in un percorso costituzionale l’affidabilità del nuovo primo partito italiano, che, piaccia o non piaccia è il movimento 5 stelle. Il tutto dopo che la legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum, con i suoi piccoli trucchetti, ha favorito proprio la vittoria dei grillini e indebolito ulteriormente la credibilità di chi quella legge ha voluto anche a colpi di fiducia.
E veniamo alla sinistra: al Pd che aveva impostato la sua campagna elettorale sulle cose buone fatte dai “suoi” governi, e che, sulla base di questo viatico, non ha superato la soglia del 20 per cento. Toccherà al Pd e a chi lo ha guidato sinora, ma anche a chi nelle ultime fasi ha dato qualche debole ma significativo segnale di resipiscenza, compiere il primo passo verso un cambiamento che non si esaurisca in abusate declinazioni nuoviste.
Poi c’è Liberi e Uguali che può almeno rivendicare con orgoglio di aver capito dove avrebbe portato la leadership di Renzi e l’acquiescenza (sia pur mitigata da indicazioni verso alleati minori) nei suoi confronti dei cosiddetti padri nobili. Probabilmente la scelta della scissione è stata tardiva, e non sono mancate inutili incertezze e titubanze (ricordate i tira e molla di Pisapia) ma comunque quella scelta amara e dolorosa c’è stata e, se sarà servita ad ottenere come sembra una dignitosa presenza parlamentare della sinistra radicalmente riformista in Parlamento, non sarà stata inutile. E servirà a cercare di rimettere insieme un po’ dei tanti cocci disseminati dalle forzature e dalle devastazioni del renzismo.
Intanto credo che chi ha partecipato alla campagna elettorale di Liberi e Uguali ha potuto rendersi conto che accanto a persone che hanno dato conto di sè nelle istituzioni e nella storia politica del Paese, ci sono tanti giovani ai quali si ha il dovere di ridare un partito vero in grado di rappresentare e organizzare le grandi tradizioni culturali e politiche del socialismo e del riformismo laico e cattolico italiano. In che modo? Facendo un partito e preparando un’agenda politica di valori e di programma, che parta dalla inderogabile priorità di dare dignità al lavoro. Priorità che non si può aggirare a colpi di mancette che tali restano anche se le si chiamano bonus. Da queste che, con termine gobettiano possiamo, chiamare “energie nuove” la sinistra può e deve ripartire per “non mollare“.