
Il Pd del dopo voto tra Martina, reggente, e Renzi convitato di pietra
Quanto pesa sul futuro (almeno quello a breve) del Pd il “non mollo” di Matteo Renzi? Quel non mollo che con non celata malizia il titolo del “Manifesto” di oggi traduce in un perentorio: “Vado e torno“. Pesa e come e soprattutto ha pesato sulla riunione della direzione di ieri. Tant’è che sul “Corriere della sera” Aldo Cazzullo ne descrive l’atmosfera come “quella che si respirava al funerale di Fantozzi dopo la morte per rosolia a 106 anni del direttore naturale duca conte Vignardelli Bava“. Nè più generoso è il giudizio del giornale sulla relazione del reggente Maurizio Martina definita (senza offesa) “breve ma noiosissima“, riassumendosi in poche formulette del tipo “massimo della collegialità“, “delicati passaggi interni e istituzionali“, “pieno coinvolgimento di tutti“. Insomma: buone intenzioni formulate nel modo più generico possibile.
Ma del resto poteva fare altro Martina dinanzi al quadro di macerie lasciatogli dal suo predecessore che proprio ieri aveva tuonato in un’intervista per delimitare il più possibile lo spazio del suo successore pro tempore? Innanzitutto collocando senza se e senza ma il suo partito all’opposizione visto che hanno vinto gli altri. Ma poi aggiungendo che “la rivincita arriverà prima del previsto“. Insomma un modo di mettere in chiaro che lui, lo sconfitto che si assume le responsabilità, comunque non molla. E tanto per esser chiaro anche un passaggio che è difficile non catalogare come una non benevola chiamata in causa dell’attuale presidente del Consiglio Gentiloni: “Alcuni nostri candidati non hanno neanche proposto il voto sul simbolo del Pd, ma solo sulla loro persona“. Qualcuno potrebbe replicare che è proprio quello che faceva Renzi alla Leopolda.
E’ in questo campo politicamente limitato e condizionato da un Renzi che non va alla direzione (e secondo alcuni ben informati non andrà neanche alla Assemblea nazionale) ma che intanto detta condizioni forte di gruppi parlamentati infarciti di suoi fedelissimi, che il volenteroso Martina dovrà provare a tenere insieme il partito. Difficile in questo contesto prendersela più di tanto con lui per una relazione “breve ma noiosissima“. Nella quale quanto meno ha evitato di “mettere le dita negli occhi” al presidente della Repubblica, garantendo, pur dall’opposizione “l‘apporto a Mattarella nell’interesse generale“. Non è tanto in questa situazione, ma meglio di niente.
E’ su questa fragilissima piattaforma che Martina è comunque riuscito a tenere insieme nel voto finale (solo i vicini ad Emiliano gli astenuti) un partito smarrito e sotto pressione da parte di chi si dimette ma non molla e intanto annuncia rivincite a breve. Per il resto una direzione come tante con un bell’intervento di Cuperlo, come spesso gli accade lucido e persino spietato nell’analisi, quanto prudente e unitario nel voto finale.
Tutto fermo dunque nel Pd? Probabilmente sì, ma fino a quando? La sconfitta elettorale presenta il conto. E ad essa non basta rispondere: ma i nostri governi hanno fatto tutto bene. Ci si potrebbe allora chiedere perchè gli elettori li abbiano bocciati. Anche perchè è proprio di ieri un’indagine della Banca d’Italia che ci informa come nel 2.016 le persone a rischio povertà siano aumentate al 23 per cento e l’indice che misura le diseguaglianze è salito a 33,5 per cento.
Ora per il Pd (e non solo per lui) viene la prova dei delicati passaggi interni e istituzionali. Nell’affrontare i quali il reggente e il Pd nel suo complesso dovranno dimostrare di essere in grado di manifestare tutta la propria autonomia politica anche rispetto al passato renziano, ormai segnato più da sconfitte che da riforme.
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Nella foto: L’ex segretario del Pd Matteo Renzi e il segretario reggente Maurizio Martina