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Come era la storia dei giovani choosy?

Qualche anno fa per giustificare il trend crescente della disoccupazione giovanile, alcuni politici avevano coniato il termine di “giovani choosy”; cioè giovani che non hanno la voglia né di lavorare e né di cercare lavoro.  Recentemente si è scoperto che la questione in realtà è un’altra, e che non ha nulla a vedere con i “giovani choosy”. E’ il lavoro che manca, e là dove c’è non è un lavoro stabile e, soprattutto, genera sempre un più alto numero di working poor; giovani occupati con stipendi da miseria e con zero diritti. E sotto questo profilo, sebbene molti, tra media e canali d’informazione, insistano nella narrazione positiva della situazione economica e sociale del nostro Paese, il quale sembrerebbe dai dati che viva una vera e propria emergenza sociale. A segnalare e sottolineare la gravità dell’emergenza socio economica nel nostro Paese non è un pericoloso gruppo di sovversivi, ma la Caritas, l’Alleanza contro la Povertà, l’Inps e l’Istat.

Proprio l’Istat ha stimato che in Italia vi siano 1 milione e 582 mila famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta, ovvero 4,6 milioni di italiane ed italiani che vivono in condizioni di povertà assoluta; cioè in condizioni economiche che non gli consentono di  acquistare quei beni e servizi necessari per avere una vita dignitosa. L’elemento inedito che viene messo in luce con questa nuovo dato è anche l’incidenza della povertà tra le varie fasce d’età; questa infatti dimostra che oggi la povertà assoluta in Italia è inversamente proporzionale all’età: il 4% della popolazione over 65, il 5,1% della popolazione tra 55-64 anni, 8,1% della popolazione tra 35-44 anni, il 10,2% della popolazione tra i 18 e 34 anni.  A rendere più grave la situazione è che tra quei 4,6 milioni di italiane ed italiani che si trovano in condizioni di povertà assoluta vi sono anche 1,1 milioni di minori. Un milione e 100 bambini, ragazzi, adolescenti che non hanno possibilità di godere di servizi e beni indispensabili, non solo per una vita dignitosa, ma anche per la loro crescita e formazione.

Il problema della povertà in cui si trovano le giovani generazioni, sembra un problema preso ampiamente sotto gamba dal Governo; basta guardare la nuova manovra economica per rendersene conto. Si parla di pensioni, di aumenti per le pensioni più basse con l’introduzione della 14esima che hanno un valore complessivo tra i 5-6 miliardi. Decisione, quella dell’introduzione della 14esima, che ha trovato il completo benestare delle tre sigle sindacali CGIL, CISL e UIL.

E mentre sindacati e Governo stringono questo nuovo accordo sulle pensioni, i nuovi dati dell’INPS dipingono uno scenario sociale ed economico sempre più grave. Ad aggiungersi ai dati sulla povertà dell’ISTAT, l’INPS ha reso noto alcuni dati significati riguardanti il mondo del lavoro. Questi dati riguardano non solo la disoccupazione che rimane fissa al 11,4%; ma riguardano soprattutto le nuove assunzioni del 2016 comprensive anche dei rinnovi contrattuali. Le assunzioni nel comparto privato nel 2016 risultano essere 3,782 milioni , di questi però soltanto 800 mila sono stati assunti a tempo indeterminato con i bonus stabiliti dal Jobs Act. Un numero completamente esiguo rispetto  a quello del 2015 pari ad 1 milione e 100 mila unità di lavorati con contratto a tempo indeterminato. La flessione negativa degli assunti a contratto a tempo indeterminato, registrata nel 2016,  dimostra l’arresto degli effetti espansivi dei bonus fiscali  per le assunzioni a tempo indeterminato. Allo stesso tempo, mentre i contratti a tempo indeterminato diminuiscono, aumentano i voucher; tra solo Gennaio e Agosto del 2016 ne sono stati venduti più di 96,6 milioni (fonti INPS).

Quello che si sta venendo a generare è una situazione molto complessa, in cui le politiche che miravano ad un espansione della domanda di lavoro da parte delle imprese stanno sostanzialmente non riscuotendo gli effetti espansivi sperati; dall’altro lato la volontà di ridurre il costo del lavoro per rendere più competitive le nostre imprese e ridurre questo costo tramite un taglio netto dei diritti dei lavoratori non solo sta innescando un aumento dei licenziamenti per giusta causa, ma sta anche determinando salari sempre più  bassi per determinate categorie di lavoratori. L’unione tra frenata degli stimoli alle assunzioni a tempo indeterminato e  salari bassi e contratti precari, sta facendo nascere una generazione di giovanissimi italiani (pari al 10% della popolazione tra i 18 e 34 anni) che non solo ha scarse possibilità di trovare un lavoro stabile, ma qualora ne trovasse uno questo non avrebbe un adeguato salario per permettere di vivere una vita dignitosa. Stiamo assistendo alla nascita di una working poor class di giovanissimi, che senza politiche attive e senza una visione a lungo termine da parte del Governo, rischia di aumentare sempre di più.

In questa situazione può risultare semplice cascare nell ’errore di colpevolizzare le generazioni più anziane. Recentemente ho letto alcune analisi  che affermano con toni poco razionali e molto populistici la necessità che quei 5 miliardi destinati alle 14esime per le pensioni da miseria fossero invece destinati ai giovani che si trovano in gravi condizioni economiche e sociali. Sono dell’idea che puntare sullo scontro intergenerazionale, come su un nuovo scontro tra classi sociali del nuovo millennio, sia completamente ridicolo oltre che poco efficace alla risoluzione del problema. Invece di accusarsi a vicenda, anziani e giovani in difficoltà, dovrebbero unire le forze e affrontare la battaglia contro le disuguaglianze economiche e sociali assieme, e non gli uni contro gli altri.

Non voglio, però, cadere nell’errore di fomentare o sostenere le ragioni di uno scontro generazione, ma tuttavia è necessario essere lucidi e chiari sull’attuale situazione dei giovani; una situazione caratterizzata da incertezze sul futuro, rassegnazione, povertà e assenza di adeguati strumenti di welfare per i giovani. Una situazione che non muta nemmeno con la nuova legge finanziaria del Governo, che tra pensioni dei nonni e salari dei genitori , e qualche paghetta qua e là, non risolve il problema della mancanza di lavoro e della mancata indipendenza economica delle giovani generazioni.

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