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Kurdistan iracheno: il sogno dell’indipendenza ancora una volta rimandato

Domenica, Qassem Suleimani si è recato nella città iraniana di Sulaimaniya per incontrarsi con i leader del PUK, il partito dell’Unione Patriottica del Kurdistan. Suleimani è a capo della Niru-ye Qods, l’unità delle Guardie Rivoluzionarie responsabile per la diffusione dell’ideologia khomeinista fuori dall’Iran. Per anni, il PUK e il Partito Democratico del Kurdistan hanno lottato per staccarsi dall’Iraq e formare uno stato indipendente. Una repubblica curda è invisa a tutti i paesi dell’area – i governi di Baghdad, della Turchia e dell’Iran – che temono che le rispettive minoranze curde comincino ad agire autonomamente. Il 25 settembre scorso, i curdi iracheni si sono espressi in un referendum per l’indipendenza, con il 90% dei voti a favore. Il sogno curdo sembrava a portata di mano.

Non sappiamo quello che Suleimani ha detto ai leader del PUK. Fatto sta che entro poche ore i loro peshmerga – eccezione fatta per il piccolo contingente che risponde al veterano Kosrat Rasul Ali – hanno iniziato ad abbandonare le loro postazioni, permettendo il passaggio alle unità militari irachene. Le forze governative e soprattutto le sue truppe a prevalenza sciita Ashd al Shaabi (la “Mobilitazione popolare”), agli ordini formali del primo ministro Abadi ed effettivi di Qassem Suleimani, hanno quindi preso possesso della città di Kirkuk e di un giacimento petrolifero lì vicino.

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«Che cosa è mancato alla resistenza dei peshmerga impegnati al fronte e alle migliaia di volontari accorsi da ogni parte?» si domanda Adriano Sofri su Il Foglio. Due cose: «una cosa che non sapevano, e una che non credevano».

Ciò che non sapevano era che «un accordo era stato stabilito dagli attaccanti e per loro personalmente dal generale Suleimani con l’ala del Partito di Suleymanyah e Kirkuk che fa capo alla famiglia Talabani, e che in tutto l’ultimo periodo ha alternato le pubbliche adesioni al referendum e alla sua difesa con i tentativi di ostacolarne svolgimento ed esito prima, e di sconfessarlo poi. Questa corrente (che lo nega) ha sottratto alla resistenza una parte essenziale di armati e armi, ritirandoli in piena battaglia e isolando le divisioni fedeli alla decisione presa, al comando del veterano Kosrat». Non è chiaro cosa fosse incluso nell’accordo, ma secondo la ricostruzione di Dexter Filkins sul New Yorker, si potrebbe trattare di un «mix di minacce e incentivi, inclusi soldi e l’accesso alle rotte per il contrabbando del petrolio».

Inoltre, continua a spiegare Sofri, le forze della resistenza peshmerga non credevano che «la “coalizione”, quella di cui erano stati per tre anni e mezzo gli stivali sul terreno, e in particolare gli americani, avrebbero lasciato mano libera all’avanzata irachena, anche dopo che a Baghdad si era motivata la presenza di Suleimani (nella lista nera dei paesi occidentali) come quella di un “consigliere militare” delle milizie Ashd al Shaabi».

Ma l’amministrazione Trump sembra contenta di stare a guardare. Il Dipartimento di Stato martedì scorso a dichiarato di non essere contrario all’intervento militare iracheno e di essere a favore dell’“amministrazione condivisa” di Kirkuk. Sempre la scorsa settimana, Dexter Filkins del New Yorker ha parlato con un ufficiale americano che ha affermato di non essere a conoscenza di alcuna manovra militare al confine curdo-iracheno, proprio mentre queste manovre militari erano già in atto. «In questa maniera – commenta Filkins – la Casa Bianca di Trump porta avanti la politica del presidente Obama, contrario alla formazione di uno Stato curdo, con la motivazione che rischierebbe di destabilizzare l’area». Ironicamente, continua Filkins, la settimana scorsa l’amministrazione americana si è duramente scagliata contro l’Iran. Ma questa incursione militare nella regione curda rappresenta una vittoria proprio di Suleimani e dell’Iran.

Inoltre, la ritirata dei peshmerga dai territori di Kirkuk e le divisioni all’interno del fronte curdo favoriscono anche i combattenti del sedicente Stato Islamico che tornano a occupare piccole fette di territorio. Al Jazeera, assieme ad altre fonti, riferisce che i miliziani di Daesh hanno preso il controllo su Taweeli’ah e al-Maliha, due località nel distretto di Dibis, a nord-ovest di Kirkuk.

In questo panorama tetro, una cosa è evidente: il sogno dell’indipendenza curdo, che sembrava ormai a portata di mano almeno in Iraq, ha subito una brusca frenata d’arresto. E, ancora una volta, dovrà essere messo in attesa.

(Foto: Reuters)

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