In ogni possibile occasione si sente dire, da esponenti del partito che guida il Governo da quasi cinque anni – prima con Letta, poi con Renzi per mille giorni, poi con Gentiloni – che è stato creato “un milione di posti di lavoro” (con arrotondamento per eccesso). A parte il fatto, sul quale si sta insistendo da tempo, che non di “posti di lavoro” si tratta – se per questo si intende, come generalmente avviene, un impegno lavorativo a tempo pieno, non importa se “a tempo indeterminato” o se “a termine” -, ma di “occupati” – cioè di “persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento hanno svolto almeno unora di lavoro in una qualsiasi attività che prevede un corrispettivo monetario o in natura o hanno svolto almeno unora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente“, come l’Istat stesso dichiara di definire la categoria degli “occupati” (e, quindi, perfino il lavoro svolto per una sola ora può stare dietro quella classificazione!) -, è interessante vedere cosa è avvenuto, in particolare, per la fascia centrale di età, 35-49 anni (di grande importanza sociale, come è chiaro), per la quale l’Istat compila le sue statistiche occupazionali. Riportiamo:
a)nel documento pubblicato il 1° dicembre 2015, l’Istat mostrava che in quella fascia di età si era registrata, fra l’Ottobre 2014 e l’Ottobre 2015, una perdita occupazionale di ben 175.000 unità b)nel Rapporto pubblicato esattamente un anno dopo, 1° dicembre 2016, l’Istat rilevava che in quella medesima fascia di età c’era stata, dall’Ottobre 2015 all’Ottobre 2016, una ulteriore regressione occupazionale di 126.000 unità c)nel documento statistico del 30 Novembre 2017, l’Istat ha esposto che dall’Ottobre 2016 all’Ottobre 2017 si è registrata, per la fascia di età 35-49 anni, ancora una perdita di “occupati”, di altre 123.000 unità
Di conseguenza, sommando: dall’Ottobre 2014 ad oggi si sono persi ben 424.000 “occupati” appartenenti alla fascia di età 35-49 anni. Dunque, come risulta dalla progressione temporale, quella fascia – “centrale” sia per posizione demografica che per importanza sociale: lo dimostra il fatto che ad essa appartiene, secondo il Rapporto Istat del 30 Novembre scorso, oltre il 42% degli “occupati” di tutte le fasce di età (9.773.000 sui 23.082.000 complessivi) – ha subito una perdita ininterrotta di “occupati“, che è stata “compensata“, in larghissima parte, dalla crescita di “occupati” della fascia finale dell’analisi statistica, 50-64 anni, che in quei tre anni ha conosciuto un aumento (ordinato per le annualità indicate in precedenza) di 226.000+376.000+340.000=942.000 unità, in massima parte dovuto all’intervenuto aumento dell’età pensionabile (quindi non si è trattato di “nuovi occupati“, in generale, ma di mancate uscite dal mercato del lavoro, un infoltimento della fascia anagraficamente più alta di persone al lavoro). Quella fascia di mezzo, dei 35-49 anni, ha dunque subito un andamento persistentemente negativo non riscontrabile in nessuna delle altre tre che sono oggetto delle indagini Istat (15-24, 25-34, 50-64 anni), quasi vi fosse un accanimento del destino contro di essa ed i suoi appartenenti: ma ovviamente non di questo si tratta, ed un Governo serio – vale soprattutto per il Governo Renzi, che è stato in carica per il 55% del tempo della legislatura che si chiuderà a Marzo 2018 – avrebbe dovuto rilevare quell’andamento così catastrofico e mettere in atto misure capaci di arrestare quel continuo salasso di opportunità (di lavoro e di vita) ed il conseguente impoverimento di una parte fondamentale della popolazione in età di lavoro, invece di sperperare montagne di risorse distribuendo bonus a destra e a manca che non risolvevano alcuna situazione in modo sistematico e facevano solo crescere il debito pubblico ed il suo costo. Ma si tratta di una “cultura” estranea a quell’ex-Capo di Governo, che infatti continuamente rivendica come un merito ciò che è stato fatto (dio sconvolge la mente di quelli che vuole perdere, si diceva una volta).
E’ una delle questioni più urgenti e drammatiche, nell’ambito del dramma complessivo della “questione lavoro” che l’Italia sta conoscendo, che la prossima legislatura dovrà affrontare, nell’ipotesi auspicabile, anche se all’apparenza non molto probabile, che un Governo si riesca a formare: nel qual caso occorrerà, adesso sì, “cambiare verso” rispetto a quanto si è fatto finora. Sarà opportuno, ed anzi indispensabile, ricorrere a politiche diverse da quelle praticate. Serviranno “nuove proposte“: come quella che “Liberi e Uguali” ha già messo in campo, e che verrà ulteriormente definita ed arricchita a breve, prima delle elezioni.
35-49 anni, “l’età del malessere” per il lavoro
In ogni possibile occasione si sente dire, da esponenti del partito che guida il Governo da quasi cinque anni – prima con Letta, poi con Renzi per mille giorni, poi con Gentiloni – che è stato creato “un milione di posti di lavoro” (con arrotondamento per eccesso). A parte il fatto, sul quale si sta insistendo da tempo, che non di “posti di lavoro” si tratta – se per questo si intende, come generalmente avviene, un impegno lavorativo a tempo pieno, non importa se “a tempo indeterminato” o se “a termine” -, ma di “occupati” – cioè di “persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento hanno svolto almeno unora di lavoro in una qualsiasi attività che prevede un corrispettivo monetario o in natura o hanno svolto almeno unora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente“, come l’Istat stesso dichiara di definire la categoria degli “occupati” (e, quindi, perfino il lavoro svolto per una sola ora può stare dietro quella classificazione!) -, è interessante vedere cosa è avvenuto, in particolare, per la fascia centrale di età, 35-49 anni (di grande importanza sociale, come è chiaro), per la quale l’Istat compila le sue statistiche occupazionali. Riportiamo:
a) nel documento pubblicato il 1° dicembre 2015, l’Istat mostrava che in quella fascia di età si era registrata, fra l’Ottobre 2014 e l’Ottobre 2015, una perdita occupazionale di ben 175.000 unità
b) nel Rapporto pubblicato esattamente un anno dopo, 1° dicembre 2016, l’Istat rilevava che in quella medesima fascia di età c’era stata, dall’Ottobre 2015 all’Ottobre 2016, una ulteriore regressione occupazionale di 126.000 unità
c) nel documento statistico del 30 Novembre 2017, l’Istat ha esposto che dall’Ottobre 2016 all’Ottobre 2017 si è registrata, per la fascia di età 35-49 anni, ancora una perdita di “occupati”, di altre 123.000 unità
Di conseguenza, sommando: dall’Ottobre 2014 ad oggi si sono persi ben 424.000 “occupati” appartenenti alla fascia di età 35-49 anni. Dunque, come risulta dalla progressione temporale, quella fascia – “centrale” sia per posizione demografica che per importanza sociale: lo dimostra il fatto che ad essa appartiene, secondo il Rapporto Istat del 30 Novembre scorso, oltre il 42% degli “occupati” di tutte le fasce di età (9.773.000 sui 23.082.000 complessivi) – ha subito una perdita ininterrotta di “occupati“, che è stata “compensata“, in larghissima parte, dalla crescita di “occupati” della fascia finale dell’analisi statistica, 50-64 anni, che in quei tre anni ha conosciuto un aumento (ordinato per le annualità indicate in precedenza) di 226.000+376.000+340.000=942.000 unità, in massima parte dovuto all’intervenuto aumento dell’età pensionabile (quindi non si è trattato di “nuovi occupati“, in generale, ma di mancate uscite dal mercato del lavoro, un infoltimento della fascia anagraficamente più alta di persone al lavoro). Quella fascia di mezzo, dei 35-49 anni, ha dunque subito un andamento persistentemente negativo non riscontrabile in nessuna delle altre tre che sono oggetto delle indagini Istat (15-24, 25-34, 50-64 anni), quasi vi fosse un accanimento del destino contro di essa ed i suoi appartenenti: ma ovviamente non di questo si tratta, ed un Governo serio – vale soprattutto per il Governo Renzi, che è stato in carica per il 55% del tempo della legislatura che si chiuderà a Marzo 2018 – avrebbe dovuto rilevare quell’andamento così catastrofico e mettere in atto misure capaci di arrestare quel continuo salasso di opportunità (di lavoro e di vita) ed il conseguente impoverimento di una parte fondamentale della popolazione in età di lavoro, invece di sperperare montagne di risorse distribuendo bonus a destra e a manca che non risolvevano alcuna situazione in modo sistematico e facevano solo crescere il debito pubblico ed il suo costo. Ma si tratta di una “cultura” estranea a quell’ex-Capo di Governo, che infatti continuamente rivendica come un merito ciò che è stato fatto (dio sconvolge la mente di quelli che vuole perdere, si diceva una volta).
E’ una delle questioni più urgenti e drammatiche, nell’ambito del dramma complessivo della “questione lavoro” che l’Italia sta conoscendo, che la prossima legislatura dovrà affrontare, nell’ipotesi auspicabile, anche se all’apparenza non molto probabile, che un Governo si riesca a formare: nel qual caso occorrerà, adesso sì, “cambiare verso” rispetto a quanto si è fatto finora. Sarà opportuno, ed anzi indispensabile, ricorrere a politiche diverse da quelle praticate. Serviranno “nuove proposte“: come quella che “Liberi e Uguali” ha già messo in campo, e che verrà ulteriormente definita ed arricchita a breve, prima delle elezioni.
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Franco Bianco
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