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Al voto nell’Italia assediata dai populismi

Nel finale confuso, scomposto e convulso di questa campagna elettorale si susseguono ipotesi di ogni genere sulla possibilità o meno che in tempi ragionevoli ai risultati del voto si possa far seguire, in tempi ragionevoli, un governo in grado di ottenere la fiducia dalle Camere. Le previsioni tendono al brutto. Una legge elettorale, che definire inadeguata è un eufemismo, non invoglia gli elettori a recarsi alle urne, e comunque renderà piuttosto difficile il compito del presidente della Repubblica chiamato per Costituzione, a dipanare questa ingarbugliata matassa prima di affidare l’incarico di formare il nuovo governo..

Ma dalle urne del 4 di marzo si attende comunque un’indicazione politica forte e il più possibile chiara, sullo stato della nostra democrazia, che più segnali ci dicono non sia in eccellente salute: partiti deboli, spesso per scelta dei loro capi (vale per Berlusconi ma anche per Renzi) e coalizioni create per raccattare più seggi tra forze politiche non sufficientemente omogenee tra loro per offrire una solida proposta di governo. Il tutto mentre ci sono partiti (più d’uno) di chiara impronta populista, e mentre coloro, che quel populismo dovrebbero e dichiarano di combattere, ne subiscono la concorrenza e insieme l’influenza, e comunque non riescono a nascondere la comune derivazione da tentazioni antipolitiche.

Oggi sul “Corriere della sera” con questo tema (quello dei populismi e del voto) si confronta, in un bell’editoriale, Antonio Polito. Si parte dalla constatazione che in Europa più di un Paese si trova a confrontarsi con un partito populista. Uno solo però. Vale per la Francia, vale per la Germania. Ma dai noi i partiti populisti sono più d’uno, e alcuni (Fratelli d’Italia e la Lega per esempio) fanno parte di una stessa coalizione: quella di Centrodestra messa su da Berlusconi, il quale al tempo stesso sostiene di essere l’unico in grado di combattere il populismo del movimento dei 5 stelle e di esserne il garante con gli altri partiti popolari europei. Già, ma intanto è in coalizione con Salvini e Meloni, probabilmente affidabili, ma certamente non arrendevoli.

A questo punto Polito indica due test puramente aritmetici per capire lo stato di salute della nostra democrazia sulla base di quelli che saranno i risultati del 4 di marzo. Il primo test è sapere se Cinque stelle, Lega e Fratelli d’Italia supereranno, “varcando la soglia del 50 per cento“, le forze che, invece, si schierano per la stabilità e la continuità. Presumibilmente queste sono il Pd con le sue liste minori e Forza Italia con qualche propaggine centrsta, al netto di Lega e FdI. Il secondo test proposto è se “all’interno dell’unica coalizione che può raggiungere la maggioranza dei seggi, il centrodestra, queste forze rappresentate da Salvini e Meloni prenderanno insieme più voti di Forza Italia e centristi”.

Nella foto: Matteo Renzi (PD) e Luigi Di Maio (5Stelle)

 

Alle due somme proposte da Polito si potrebbe aggiungerei un’ ulteriore domanda: siamo sicuri che la spinta populista non abbia ormai fatto varco anche all’interno di Forza Italia e, perchè no, del Pd, il cui capo ha avviato la campagna elettorale e non solo su argomenti del tutto antipolitici del tipo: siamo quelli che hanno fatto ripartire l’Italia abolendo il finanziamento pubblico e semplificando spazi e tempi della politica?

Certamente i due test di Polito serviranno a capire quanto è alta (speriamo il meno possibile) la febbre populista che assedia la nostra democrazia. Ma per ridare tono e forza ad essa bisognerà sconfiggere il virus dell’antipolitica che dall’arrivo di Berlusconi in poi (ricordate i basta con il teatrino della politica) contnua a far danni gravi al nostro sistema politico. L’antibiotico esiste e sono partiti, Parlamento, Sindacati, i corpi intermedi. Insomma: il ritorno della politica.

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