Se fossero ancora in vita “Tango” o “Cuore“, inserti satirici della fu l’Unità, sicuramente avrebbero titolato un loro numero più o meno come segue: “Fuga di cervelli all’estero. Di Maio e Salvini destinati a restare in Italia“. Questo per dire che non sono per niente appassionato all’attuale dramma nazionale, misto a feuilleton, che vedrebbe divisa parte della sinistra su eventuali alleanze o occulte intelligenze con i “nemiciGiggino Di Maio o Matteuccio Salvini. Non so se governeranno e con chi, ma ho la certezza che comunque ci lascieranno in eredità tali e tante macerie da rendere difficile l’opera di ricostruzione.

Difficile ma non impossibile, a patto che la sinistra italiana (ed europea) ponga mano alla propria ricostruzione viste le macerie sotto cui è finita. Perchè il rischio che esattamente un anno fa Alfredo Reichlin paventò, si è purtroppo realizzato. “Non sarà una logica oligarchica a salvare l’Italia. E’ il popolo che dirà la parola decisiva. Questa è la riforma delle riforme che Renzi non sa fare. La sinistra rischia di restare sotto le macerie“. Infatti. Ma Renzi e il renzismo non sono una variabile indipendente nella storia del centrosinistra degli ultimi 10 anni. Sono, con buona pace di Veltroni, Fassino, Calenda, Prodi & Co., la naturale evoluzione del Lingotto (quello della fondazione del PD, non quella patetica messa in scena dello scorso gennaio) quando, e uso ancora le parole di Reichlin, “con un magnifico discorso ci allineammo al liberismo allora imperante senza prevedere la grande crisi catastrofica mondiale cominciata solo qualche mese dopo“.

Abbiamo sostanzialmente subito la svolta a destra, a livello mondiale, quando si è rotto il compromesso tra capitalismo e democrazia. E’ venuta meno la base stessa dell’impianto riformista che riusciva a contemperare gli squilibri del mercato con la funzione redistributiva dello Stato sociale. Il socialismo è stato protagonosta nel secolo breve non solo perchè difendeva gli ultimi, ma perchè aveva “inventato” degli strumenti di lotta e di consenso straordinari: il partito di massa, il sindacato, il suffragio universale e, appunto, lo stato sociale. Questi strumenti sono andati in crisi con la globalizzazione e da allora la sinistra non ha saputo inventare più nulla. Nè reinventarsi. Si è rinunciato alla rappresentanza, quasi che fosse anche questo un riferimento politico superato. E’ questa è la prova più evidente di un’accettazione, mi si consenta, supina della cultura neoliberista, senza la capacità di opporre un modello diverso. Perchè il mercato non ha categorie economiche e sociali da rappresentare, non riconosce il mondo del lavoro nella sua immensa soggettività e nei suoi diritti. Non riconosce l’uomo, ma il consumatore. Abbiamo assistito, e assistiamo, impotenti e disarmati, da un puto di vista ideologico, culturale e politico, alla potenza dell’economia che erode il potere della politica in quanto interesse generale, a livelli di concentrazione delle ricchezze che non hanno precedenti nella storia dell’umanità. Ma non è solo la sinistra ad essere incerta ed impreparata. Anche il capitalismo produttivo ha accettato di farsi proteggere e di rifugiarsi nelle spire di quello finanziario, incurante del fatto che questo non si farebbe scrupoli, come la recente crisi ha insegnato, a soffocarlo, stritolarlo.

E qui torna prepotente la lezione, l’insegnamento, l’indicazione di Alfredo Reichlin: un “Partito della Nazione” che esca dai confini della cultura di classe e porsi il problema di essere un partito in grado di dirigere una nazione. Un partito che deve darsi una nuova rappresentanza, sancire una nuova alleanza, rivolgersi ad un nuovo blocco sociale: quello del mondo del lavoro. Inteso, attenzione, non solo come il mondo dei lavoratori, ma anche di quelli che il lavoro lo creano attraverso l’innovazione. Raggiungere un nuovo compromesso coerente con le sfide che la globalizzazione, per come si è rivelata e non per come illusoriamente l’avevamo immaginata, pone e porrà nel futuro prossimo. Superare la vecchia disputa tra statalisti e mercatisti, quando oramai sono in atto trasformazioni che stanno cambiando la natura stessa dello Stato e dei mercati e si è affermata una nuova classe dirigente globale fatta di finanzieri fruitori di nuove ed immense rendite. Occorre quindi pensare ad una nuova idea e ad un nuovo modello di sviluppo.

E’ proprio questa la sfida che un nuovo partito, che per me ed altri dovrà essere il Partito del Lavoro, deve essere in grado di cogliere e rilanciare. E’ una sfida che non può essere ristretta ai confini nazionali ma estendersi ai progressisti di tutta Europa. A tutti quelli che riterranno che il futuro di tutto il vecchio continente passa attraverso una sinistra che recuperi il valore dell’analisi politica e delle soluzioni avanzate, non della difesa dell’indifendibile e dell’identità.

“Sento che oggi ritorna il bisogno di una forza che ridia la parola all’impossibile, per ottenere però il possibile”. (Alfredo Reichlin, 22 marzo 2017).

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