Alitalia ha i costi fuori controllo: perde quasi due milioni di euro al giorno. Un’ora di volo Alitalia costa il 35% in più rispetto a Ryanair. Dal 2008 la compagnia ha bruciato circa 7,5 miliardi di risorse private e pubbliche. All’epoca Alitalia contava 21 mila dipendenti; Air France la avrebbe acquistata tagliando 2.000 persone. Sull’onda dell’italianità agitata da Berlusconi e della contrarietà dei sindacati, venne formata, una cordata di “capitani coraggiosi” (in gran parte con soldi pubblici) che tagliò il personale quattro volte tanto (8000 uscite). Anche gli arabi di Eithad hanno investito molto nella compagnia, ma con una strategia inefficace.
Alitalia ha un posizionamento negativo sul mercato; era una azienda indispensabile quando i suoi 24 milioni di passeggeri rappresentavano la metà del mercato italiano; oggi, con 130 milioni di passaggi (di cui solo 22 milioni di Alitalia), se sarà chiusa o venduta, il trasporto aereo sarà agevolmente garantito dagli altri vettori. La “compagnia di bandiera” nei voli interni e nel medio raggio soffre la concorrenza dei vettori low-cost e va discretamente nei voli intercontinentali, dove peraltro non è riuscita a svilupparsi. Al contrario di altre compagnie di bandiera (Air France-Klm, British-Iberia e Lufthansa) per le quali il lungo raggio rappresenta circa 70% della loro offerta, per Alitalia il settore intercontinentale pesa per il 30% dei ricavi.
Il settore aereo oggi si compone di vettori e mercati nuovi. I viaggi intercontinentali sono alla portata di molti e quelli brevi hanno attratto clienti che viaggiano a costi molto bassi. Le compagnie low-cost coprono oltre il 50% dei voli interni e una percentuale maggiore su quelli di medio raggio.
Per combattere la concorrenza Alitalia ha tagliato le tariffe e i ricavi. La situazione è quindi insostenibile essendo una compagnia in perdita strutturale. I voli intercontinentali, che sono sostenibili sulle dimensioni attuali, richiedono una flotta limitata: per ogni aereo a lungo raggio ne basta uno nazionale per collegare l’Hub con gli aeroporti periferici. Per il settore del breve-medio raggio le alternative sono la chiusura o la sua cessione.
Nella prima ipotesi, rimarrebbero i voli nazionali necessari agli intercontinentali, tagliando la flotta attuale e il personale ben più di quanto previsto dal piano bocciato dai lavoratori. Nel secondo scenario il segmento viene venduto a un vettore low cost, in grado di riorganizzarlo.
Con la liberalizzazione è il mercato che decide e i consumatori italiani hanno scelto di viaggiare con le low cost.
Il preaccordo del 14 aprile, prevedeva un taglio del costo del lavoro di 670 milioni in 5 anni, un terzo circa dell’obiettivo del piano e 980 esuberi. Al personale di volo si chiedeva un taglio salariale dell’8%, un rallentamento degli scatti di anzianità, una riduzione dei riposi annui. Poi sarebbe scattato un intervento dei soci per circa 2 miliardi, tra nuova finanza (900 milioni) e riconversione di debiti. Il piano prevedeva lo sviluppo del lungo raggio, con l’arrivo entro il 2021 di 14 aerei specifici. Il sindacato autonomo CUB ha animato il fronte del No, riuscendo ad essere più persuasivo degli dei sottoscrittori della bozza di accordo. Il CUB chiede ora a gran voce la nazionalizzazione della compagnia. Sembra si stia lavorando a una limatura dei tagli degli stipendi prima del commissariamento, ma la situazione è confusa. Il commissario avrà 180 giorni per un stilare un programma di ristrutturazione dell’azienda con la vendita o la liquidazione degli asset.
La realtà è che una compagnia aerea non competitiva può sopravvivere solo in condizione di monopolio o con continue iniezioni di denaro pubblico, oggi impossibili sia per la normativa europea sia per la situazione difficile dei conti pubblici italiani.
Come ha affermato il prof. Roberto Perotti su Repubblica del 26 aprile, questa volta non dovrebbe essere stanziato neanche “un euro dal contribuente sotto nessuna forma” … “perché le risorse pubbliche sono limitate e non ci sono motivi economici, morali o strategici per privilegiare Alitalia”. Nelle precedenti crisi la politica ha sostenuto l’interesse nazionale di avere una compagnia di bandiera come motore di sviluppo del turismo e su questa falsa idea si sono costruiti tanti piani industriali e bruciate enormi risorse.
Ne saranno comunque spese tante altre perché il commissariamento con l’azzeramento dei debiti, i 400 milioni di “prestito ponte”, la cassa integrazione e quant’altro peseranno in modo significativo sui soci, sulle banche e sul bilancio pubblico.
Una strada potrebbe aprirsi dal rapporto privilegiato tra Lufthansa ed Etihad, nato da quando Etihad ha dato in affitto a Lufthansa 38 aerei e il personale di Air Berlin, di cui controlla circa il 30%. Nel febbraio scorso, inoltre, le due compagnie hanno annunciato una partnership e Lufthansa potrebbe rilevare Alitalia, a costo zero, facendosi carico di 3 mila dipendenti su 12 mila.
La situazione è molto difficile ed il risanamento pressoché impossibile. L’insostenibilità della compagnia italiana riviene anche dalla sua enorme compagine, pari a quella di Ryanair che, però, nel 2016 ha trasportato oltre 5 volte i passeggeri di Alitalia (117 milioni contro 22 milioni).
Il modello Ryanair, oggi pare imbattibile e i vertici della società irlandese si sono candidati a rilevare le rotte domestiche ed europee di Alitalia, promettendo di usarle anche per riempire i voli intercontinentali del gruppo.
Tuttavia, con la campagna elettorale che si avvicina, c’è da scommettere che anche stavolta Alitalia rappresenterà uno dei temi salienti, che sarà giocato pesantemente dai partiti e movimenti “sovranisti” ed antieuropei.