“Ha cominciato l’ora zero“, ha detto Haider al-Abadi, il primo ministro iracheno. “È giunto il momento di vittoria e le operazioni per liberare Mosul“. La seconda città irachena, due milioni di abitanti, era stata conquistata dagli islamisti nel giugno 2014. Oggi sono circa 7 mila gli jihadisti nella città assediata da una esercito di 30mila soldati di diverse etnie, religioni e nazionalità. Sono in azione Peshmerga curdi e milizie sciite e sunnite dell’esercito iracheno, reparti scelti statunitensi, l’aviazione turca ed anche i militari italiani con il compito di soccorso ai feriti della coalizione. Il nostro esercito ha in dotazione quattro elicotteri militari da trasporto Nh-90 scortati dagli elicotteri da attacco A-129 Mangusta. Italiani in prima linea, dunque, anche per il rischio rischio di allargamento della battaglia alla diga di Mosul e all’impianto energetico dove è la nostra Brigata Aosta a garantire la sicurezza.
In ogni caso, l’attacco è partito grazie ad un’improbabile coalizione contro un unico nemico, l’ISIS. Forze che combattono insieme sotto il medesimo vessillo, ma tutt’altro che unite. La tensione tra Iraq e Turchia per la diffidenza reciproca in un azione militare congiunta rischia di complicare e rallentare questa difficile operazione. Inoltre, una volta entrati nella città si dovranno evitare scontri tra la popolazione sunnita e le milizie sciite sostenute dall’Iran che partecipano all’offensiva. All’inizio, i cittadini di Mosul avevano accolto gli estremisti dello Stato Islamico come liberatori da quelli che considerano i soprusi del governo centrale a Bagdad controllato dagli sciiti, il rischio di vendette e violenze è concreto.
Il presidente russo Vladimir Putin, dal canto suo, ha detto che spera che gli Stati Uniti e i loro alleati faranno del loro meglio per evitare vittime civili nell’attacco alla roccaforte di Mosul. Sono un milione e mezzo di civili assediati nella città. Ed ha specificato, in riferimento alle sanzioni per le azioni russe su Aleppo: “Non ci comporteremo da isterici come hanno fatto i Paesi occidentali perché ci rendiamo conto che abbiamo bisogno di combattere il terrorismo, e che non c’è altro modo che l’azione militare”.
Le Nazioni Unite confermano che i civili possono subire le peggiori conseguenze, che potrebbero essere usati come scudi umani, che un milione di persone rischia di restare senza casa. Il rischio di un esodo di massa è concreto, sia dalle città siriane sottoposte ai bombardamenti russi e del regime di Assad, che da quelle sotto assedio dalla coalizione occidentale curda, irachena. Inoltre probabilmente i combattenti dell’Isis non affronteranno apertamente l’esercito della coalizione ma attueranno tattiche di guerriglia urbana, rendendo indistinguibili fra loro jihadisti e civili rendendo lungo e difficile il controllo della città.
Una volta, poi, che Mosul sarà conquistata si dovranno eliminare gli elementi che hanno favorito l’attecchimento dell’Isis. L’Iraq non ha le risorse e la capacità di ricostruire la città, che continua a subire le conseguenze della corruzione e la pressione delle sue milizie sciite in un ambiente dove le istituzioni sono molto frammentate. Senza effettuare ingenti investimenti perché l’Iraq e la Siria diventino paesi più stabili e, quindi, più pacifici, il rischio di un conflitto senza fine rimane purtroppo concreto.