
Appunti femministi. Il linguaggio non è solo grammatica: è politica
Traduzione dell’articolo di Isabel Muntané pubblicato su El País con il titolo “El lenguaje es política” (16 agosto 2018).
—
Parlare di linguaggio non sessista solleva questioni che non hanno nulla a che vedere con le parole, la grammatica o la linguistica e molto con il potere e la politica. Il linguaggio è ideologia, rappresenta una società e una cultura e, ovviamente, rappresenta un potere. Rinunciare al linguaggio sessista è rinunciare a continuare a esercitare il potere. Ed è lì che incontriamo la resistenza eroica di chi custodisce il sistema patriarcale. Non difende il linguaggio: sta difendendo un’ideologia e stiamo parlando di politica per quanto ci vogliano far vedere altro. Parliamoci chiaro, il corporativismo mascolino sta difendendo il punto di vista androcentrico, patriarcale e maschilista che li posiziona, loro – perché in maggioranza sono uomini – al centro del potere.
La lingua, e con quella il linguaggio, si evolve a seconda delle necessità di ogni epoca. Ha la capacità di riflettere la realtà e anche di aiutare a costruirla. Per questo, ha bisogno di adattarsi ai cambiamenti e se non lo facesse non saremmo in grado di comunicare fra di noi. […] Sembra che ci siano dei paladini della lingua che non vogliono ammettere la possibilità di rinnovamento, evoluzione e adattamento che, implicitamente, ha ogni lingua. Ancora peggio, difendono l’immobilità come un valore positivo invece di una debolezza manifesta e contraria all’essenza della lingua.
E in questa difesa incontriamo periodicamente campagne aggressive e assurde che utilizzano inganni e attacchi furibondi per ridicolizzare gli argomenti di chi difende il linguaggio non sessista. Ci dicono che il genere maschile, in quanto genere non marcato, è inclusivo del femminile. Ma bisogna rispondere che no, non lo include e non lo pretende. Il maschile a volte è specifico e a volte generico. Necessita di uno sforzo per capire quando include gli uni e le altre o solo gli uni, o addirittura solo le altre. Le donne – e anche alcuni uomini – che non si sentono incluse […] da questo maschile grammaticale sono molte. Perché è chiaro che quel maschile è, semplicemente, uno strumento per rendere invisibili, mettere a tacere e sminuire le donne e così perpetuare un patriarcato che non vuole che si abbia voce, né nello spazio pubblico, né nel processo decisionale. Questa è la vera intenzione che soggiace al presunto maschile generico. […]
Ridicolizzare la proposta femminista di linguaggio non sessista è una forma perversa e grottesca di difendere una posizione che, possiamo dirlo, non ha argomenti. E lo sapete bene: non stiamo parlando di linguaggio, stiamo parlando di ideologia e di politica. Perché attraverso la lingua noi costruiamo, socializziamo e interpretiamo il mondo. Se le donne non appaiono, dove stanno? Nascoste, messe a tacere, a casa. Come vuole il patriarcato. Quindi, signori, non è che confondiamo la grammatica con il maschilismo, è che l’uso accademico della lingua è maschilista e di conseguenza il linguaggio, inteso come la capacità umana di dare forma al pensiero, perpetua il maschilismo. E, sì, il linguaggio non sessista è un’arma ideologica e politica capace di riflettere un’altra realtà e contribuire alla distruzione del potere patriarcale. E, chiaro, questo fa male. Lo sappiamo.
—
Foto: iStock