Si chiamava Nicola Conte, per tutti Nicolino ed è stato, nella mia città, lo storico diffusore de l’Unità dalla Liberazione sino a quando le forze e la salute lo hanno sostenuto e che, per ironia del destino, ha coinciso più o meno con la prima volta che il quotidiano ha sospeso le pubblicazioni. Non so se Nicolino fosse un credente, ne dubito, ma mi piacerebbe pensarlo e sicuramente sarebbe lassù, con l’eterno mozzicone di sigaretta spenta al labbro, a imprecare allo stesso modo di quando si decise il passaggio dal PCI al PDS. Imprecare contro tutti coloro, non solo Renzi e il PD sia ben chiaro, che hanno condannato il giornale fondato da Antonio Gramsci ad una lenta e dolorosa agonia, con la prospettiva di una chiusura definitiva.

Certo, può succedere che i giornali chiudano. L’avvento prepotente del web e di nuove forme di veicolazione delle notizie, ha creato problemi e difficoltà a diversi quotidiani “storici”, ma quelli più accorti hanno saputo fronteggiare egregiamente le novità e hanno consolidato la loro diffusione sia su carta che su internet. Non secondaria, poi, per la vita e la sopravvivenza dei giornali di partito, le norme sull’editoria che hanno, se non eliminato, elargito finanziamenti poco significativi, o comunque non tali da poterne garantire un tranquillo galleggiamento.

Il mondo è cambiato, sono cambiati i Partiti, si è affermato, piaccia o no, il pensiero unico neoliberista per cui tutto si misura in base alla capacità di restare sul mercato, cultura compresa. Probabilmente in questo scenario, nemmeno le storiche “diffusioni straordinarie” che vedevano migliaia di militanti impegnati nella vendita del giornale con l’obiettivo di diffonderne almeno 1 milione di copie servirebbe più. Anche perché non ci sarebbero più, temo, migliaia di militanti che sacrificherebbero qualche ora della propria giornata per diffondere l’Unità.

E’ pur vero che i partiti sono cambiati, ma in peggio. Non si tratta di essersi adeguati agli oggettivi cambiamenti della società, è che è venuto a mancare il minimo comun denominatore che dovrebbe connotare un partito, soprattutto un partito di sinistra: il senso di comunità. Il giornale legato in qualche modo ad un partito, è un prodotto particolare. Giusto per far capire che apparteniamo alla vasta schiera di coloro che non cercano la fessura del gettone nell’IPhone, potremmo definirlo una chat WhatsApp, in cui un gruppo più o meno ampio di soggetti si scambia informazioni, definisce le proprie emozioni, i propri convincimenti; tutti legati da un filo rosso che li lega, che li fa sentire parte di una comunità, appunto.

Ricostruire un senso di appartenenza è la precondizione necessaria perché un giornale come l’Unità abbia un senso, ma non, ovviamente, l’unica. Non sfugge a nessuno la necessità di scelte editoriali che riescano ad identificare con precisione quote di potenziali lettori. Il “Fatto Quotidiano”, ad esempio, in maniera furbesca ma assolutamente efficace, ha per primo fiutato il vento del populismo antisistema e dei molti delusi dalla sinistra e dal PD, e di questi ha fatto proprio bacino di utenza. Ma, come in un ipotetico gioco dell’oca, si ritorna al punto di partenza: se l’azionista “morale” di riferimento non ha una propria identità, non potranno mai avere identità i lettori. Se, quindi, il PD non sarà altro che il luogo dove realizzare le proprie ambizioni personali, il target sarà inevitabilmente indefinito e risicato. Insomma, nell’immediato futuro alla nostra cara, vecchia Unità, non basteranno DVD scelti da Veltroni da allegare, né inserti satirici. Occorrerà un Partito che abbia chiara la visione del futuro dell’Italia, dell’Europa, del mondo. E in questa visione, credo, ci possa essere ancora posto per l’Unità, perché sarà chiaro a chi intendiamo rivolgerci, chi vogliamo la legga.

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