La Puglia è bellissima ma lunga, maledettamente lunga. E se decidi di attraversarla praticamente tutta, da Lecce a Foggia, cioè rispettivamente la provincia più a sud e più a nord della regione, con un tagliente e freddo vento di tramontana, con la febbre che non si arrende ad alcuna aspirina, c’è qualcosa di particolare, di unico, che ti deve spingere a farlo. Non ho saputo resistere alla curiosità di chiederlo a Enrico Rossi: chi te lo fa fare? “Mi piace. Non riuscirei a rinunciarci, è importante in questa fase incontrare gente, parlarci ed ascoltarla. Noi siamo fatti così”. Ascoltare, un verbo assai poco declinato negli ultimi anni da gran parte della classe politica italiana e, paradossalmente, questo dialogo è avvenuto vicino al teatro Umberto Giordano di Foggia dove, da lì a qualche minuto, sarebbe andato in scena Vittorio Sgarbi, raffinato critico d’arte (lo spettacolo era proprio sulle opere di Michelangelo) ma che dell’ascolto dei suoi interlocutori, nei diversi talk show in cui è invitato, non è che ne abbia fatto proprio il suo tratto distintivo.
Ed ecco le tappe dell’impegnativo tour pugliese: Lecce il tardo pomeriggio del venerdì, Taranto il sabato mattina e, all’ora di pranzo, Barletta (a tavola, più politica, più ascolto e dialogo, che frutti di mare e pesce) e poi, giusto il tempo del caffè, di nuovo in auto verso Foggia. La Puglia è lunga, maledettamente lunga e, quindi, domenica mattina tocca svegliarsi presto per essere ad Ostuni alle 10.30 per l’inaugurazione della sezione (sì, le strutture territoriali si chiameranno sezioni) dedicata ad un grandissimo pugliese recentemente scomparso, Alfredo Reichiln. E dappertutto Enrico Rossi, Ernesto Abaterusso (capogruppo di Art. 1 MDP alla Regione Puglia) e Massimo Paolucci (Eurodeputato), il “trio di fatto” di queste impegnative giornate pugliesi, insistono sui temi che sono poi le ragioni che hanno portato alla costituzione del Movimento: il lavoro, innanzitutto. Non quello creato dal gigante dai piedi d’argilla del Jobs Act, che nonostante una robusta decontribuzione ha creato più flessibilità che lavoro. I giovani, che solo tramite massicci investimenti pubblici nell’istruzione, scuola e università, nella cura del territorio, nella riqualificazione delle periferie e dei centri storici, avranno modo di spendere le loro competenze e i loro saperi nelle loro città, nei luoghi in cui sono nati e hanno vissuto. Oltre 350.000 sono i giovani che, secondo l’ISTAT, hanno abbandonato il sud negli ultimi tre anni per cercare al nord o all’estero il lavoro. E dovranno essere temi che la prossima legge di stabilità dovrà affrontare e a cui dovrà iniziare a dare risposte chiare.
Passa da qui il nostro sostegno al governo Gentiloni. In assenza di risposte chiare, nessun presunto “senso di responsabilità” potrà indurci a sostenerlo ulteriormente. Perché vi è una responsabilità maggiore, ed è quella che abbiamo nei confronti del Paese, dei ceti popolari, delle periferie, di chi vuole investire innovando. Ma non potevano essere elusi temi drammatici che non riguardano solo Taranto e la Puglia ma l’intero Paese e, per molti versi l’Europa. L’ILVA è la testimonianza più evidente sia dei limiti e delle contraddizioni della sinistra e dell’Europa, che del cinismo di un certo tipo di capitalismo che si è da tempo rinunciato a criticare.
E’, di tutto ciò, il simbolo più evidente. Da un lato il ritardo nel saper coniugare lavoro, ambiente, salute e la miopia italiana ed europea nel non considerare strategiche certe attività manifatturiere come quelle relative alla produzione dell’acciaio che rischiano, proprio in virtù di tale miopia, di dipendere dalla Cina e dalle importazioni. Dall’altro, svela il cinismo di un certo capitalismo che ha accumulato ed nascosto all’estero enormi profitti creati sulla pelle dei lavoratori e dei cittadini di Taranto.
Una sinistra nuova e moderna deve entrare in queste contraddizioni che creano la questione sociale e individuare le soluzioni. Ascoltando, innanzitutto. Ascoltando i lavoratori e i cittadini del quartiere Tamburi, devastato negli ultimi anni da un aumento vertiginoso di neoplasie che colpisce tutti, senza alcuna distinzione di sesso e di età. Riprendendo a discutere e a confrontarsi con la comunità scientifica, con le forze sociali e con quelle ambientaliste. Occorrerà, insomma, riproporre e riadattare il “metodo Rossi”. Racconta l’attuale governatore della Toscana che, quando era assessore alla sanità regionale e doveva affrontare un problema che aveva risvolti eminentemente tecnici più che politici, era uso convocare i soggetti maggiormente qualificati a cui affidare il confronto e la soluzione del problema che pretendeva nel giro di pochi giorni. E l’otteneva.
Abbiamo l’enorme responsabilità di non deludere Carlo che prende un aereo per volare a casa da Milano, dove vive e lavora, perché non può e non vuole rinunciare all’inaugurazione della sezione di Articolo 1 nella sua Ostuni. Di dimostrare a Giuseppe (il Lord Brummel del Salento), promettentissimo giovane di una leva non altrettanto promettente di giovani del PD, che la sua difficile e sofferta scelta è quella giusta. Perché proprio ad Ostuni, nella nuova sezione “Alfredo Reichlin”, aleggiavano forti proprio le parole che ci ha lasciato in eredità nel suo ultimo articolo, prima di andarsene: “La sinistra rischia di restare sotto le macerie. Non possiamo consentirlo. Non si tratta di un interesse di parte ma della tenuta del sistema democratico e della possibilità che questo resti aperto, agibile alle nuove generazioni. (….) Sono convinto che questi sentimenti, questa cultura siano ancora vivi nel popolo del centrosinistra e mi pare che questi sentimenti non sono negati dal percorso nuovo avviato da chi ha deciso di uscire dal PD”. Sì, ha ragione Enrico: siamo fatti così.
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Nella foto di copertina: Enrico Rossi insieme ai giovani protagonisti dell’inaugurazione della sezione di Ostuni di Art.1-MDP intestata ad Alfredo Reichiln