1) Lo scenario italiano
La condizione dell’economia italiana resta estremamente grave. E’ particolarmente complessa perché stiamo sperimentando la congiunzione rara di una bassa domanda globale unita a una bassa produttività. Questo è raro ma purtroppo è accaduto nel nostro Paese. Possiamo giocare a quale dei due mali sia davvero esiziale. Io tendo a rispondere il secondo, meno facilmente aggredibile del primo.
Quindi occorre, idealmente, una risposta articolata di chi governa l’economia e di chi produce, perché qui gli attori sono due: la politica economica e, naturalmente, i produttori.
Io sogno che accadano sette cose: le prime cinque all’interno del nostro Paese, le ultime due sul fronte internazionale, segnatamente sulla dimensione europea.
RIDUZIONE DELLA SPESA – Occorre in primissimo luogo – sarà banale ricordarlo, ma è fondamentale – completare il risanamento delle pubbliche finanze, perché la mina del debito va assolutamente disinnescata e, quindi, bisogna che il bilancio pubblico italiano continui a muovere verso il pareggio di medio termine. Penso che vi siano spazi sul fronte della spesa pubblica di parte corrente. In particolare, considero aggredibili due voci. La prima è quella delle spese eccessive a prezzi eccessivamente elevati per appalti e forniture, o acquisti di beni e servizi. Grosso modo si tratta di dieci punti percentuali di PIL. Resto convinto che una buona amministrazione possa risparmiare sui prezzi e fare spazio a circa un paio di punti di PIL su quel fronte. A quel punto, il debito pubblico si avvia a soluzione, naturalmente nell’assunto che il denominatore del rapporto fra debito pubblico e PIL cresca alquanto, per la via dei prezzi, 2%, e, sperabilmente, per la via di una crescita della produzione di un altro 2%. E se ci si diverte a dividere 130, che è il debito pubblico, per un numero che non sia 100, ma 104 il prossimo anno e 108 l’anno successivo, si vedrà immediatamente che una tendenza benevolente emerge.
AUMENTO DEGLI INVESTIMENTI – Sono malato di questa malattia: investimenti pubblici, buoni investimenti pubblici, perché, contemporaneamente, sostengono la produttività del sistema economico e, naturalmente, grazie al loro effetto moltiplicativo particolarmente forte, alimentano la domanda. Il problema del loro finanziamento, in parte già risolto, si finisce di risolverlo con Keynes, il quale ha insegnato che buoni investimenti pubblici, nel volgere di un tempo non lungo, si autofinanziano.
REDISTRIBUZIONE DEI REDDITI – Bisogna riscrivere il diritto dell’economia del nostro Paese. Con questa esperienza giuridica o, se volete, riduttivamente, con l’ordinamento dell’economia che abbiamo, perdiamo punti di PIL sia a livelli di prodotto pro-capite e di produttività, sia anche per quanto attiene ai tassi di crescita. Un’ulteriore linea d’intervento è quella della redistribuzione dei redditi. Le ragioni di equità non sfuggono a nessuno, ma al di là delle ragioni di equità, con un Gini (1) che tende superare lo 0,40 semplicemente viene esclusa dalla possibilità di dare il massimo contributo al progresso di questo Paese una fascia molto larga di popolazione e questo è particolarmente vero nel Mezzogiorno d’Italia.
PRODUTTIVITA’ DELLE IMPRESE – Un’ulteriore linea d’azione è di costringere le imprese italiane alla ricerca della produttività. La parola ‘costringere‘ è molto forte, la sostituisco con la parola ‘imporre‘, che è ancora più forte. Perché la produttività è scemata in Italia? A mio modesto avviso, per una ragione molto semplice, perché dal crollo della lira del ’92 (ed è passato un quarto di secolo), le imprese italiane hanno ritenuto di poter ottenere il profitto non lungo la via maestra della ricerca, dell’efficienza, dell’innovazione, del progresso tecnico, dell’investimento, ma attraverso le vie improprie del tasso di cambio cedevole, e ancora lo chiedono, del salario moderato, della spesa pubblica on tap, a rubinetto. Cioè, bisogna convincerle a uscire da questa condizione e davvero convincerle che devono tornare a cercare l’utile per la via maestra.
2) Lo scenario europeo
Punto primo. Il mero ipotizzare, segnatamente da parte di forze politiche, l’uscita dall’euro significa che gli italiani perderanno, in termine di patrimonio e di reddito, centinaia e centinaia di miliardi di euro. Questo deve essere chiarito agli italiani. L’euro, poi, è un’ottima moneta, come moneta e, su questo piano, va valutata: sottolineo, come moneta è ottima.
Punto secondo. C’è un problema di governo dell’economia europea. Sono un ammiratore della Cancelliera Merkel e ho un enorme rispetto per quel popolo straordinario. Però, se la Cancelliera fosse qui, io le chiederei: “Mi spieghi un attimo questa austerità, questa politica che tu segui e che imponi al resto d’Europa, che fa pagare al popolo tedesco prezzi economici altissimi”? E’ infatti una balla che la Germania si avvantaggia in termini economici da questa politica e da questo assetto. Primo costo: si frena la dinamica della domanda interna, quindi la loro economia cresce molto meno di quanto potrebbe (un punto all’anno negli ultimi anni). Quella tedesca è un’economia che potrebbe crescere del 3%, quindi i tedeschi perdono punti di un grosso PIL all’anno. Secondo costo: la Germania ha un abnorme, smodato avanzo di bilancio dei pagamenti di parte corrente che da qualche tempo sfiora il 9% del PIL. Cioè, il loro avanzo di parte corrente annualmente ammonta a circa 300 miliardi di dollari. Come Guido Carli ha insegnato a noi ragazzini (a me, a Padoa Schioppa, Masera, insomma agli economisti in Banca d’ Italia decenni fa), queste sono risorse reali che non vengono utilizzate in Germania, ma fuoriescono dal Paese. Sono risorse che avrebbero potuto essere investite all’interno della Germania per risolvere molti problemi che anche la ricca Germania vive.
Punto terzo. La terza domanda per la Merkel: “Imponendo anche ai Paesi europei rivieraschi del Mediterraneo una crescita così bassa, che cosa accade, Cancelliera? Accade che chi arriva a nuoto salvando la pelle a Lampedusa, non può mica pensare di trovare lavoro in Spagna, in Francia, in Italia, in Grecia, dove i tassi di disoccupazione sono a due cifre. Quindi, tendenzialmente, graverà sulle finanze pubbliche, sugli assetti sociali e politici della Geramnia”. A questo punto la domanda cattiva è: “Siccome tu sei una grande statista e sei razionale e coerente, se accetti di far pagare al tuo popolo costi economici così elevati, evidentemente hai un altro obiettivo di natura meta-economica? Ma se questo obiettivo fosse politico, forse tu stai pensando che essendo creditrice netta la Germania di una cifra pari al 60% del PIL, anche verso gli altri Paesi europei, tu pensi di condizionarli politicamente”? Allora, se così è, questo è inaccettabile: c’è un problema davvero politico-istituzionale serissimo, perché noi vogliamo segnatamente un’Europa tra pari, almeno sul piano formale. Quindi, come ultima battuta, sogno una colazione con la Merkel e sono certo che la convincerei che è nella sua convenienza cambiare politica economica.
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Nel video qui sotto una sintesi dell’intervento di Pierluigi Ciocca a Fondamenta
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Nella foto di copertina: Pierluigi Ciocca a Fondamenta, a destra il moderatore Alessandro De Angelis
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(1) Indice di Gini: è un indicatore delle diseguaglianze all’interno di un Paese che varia tra 0 e 1. Quando il valore è 0, indica una perfetta distribuzione di una determinata variabile, nel nostro caso la ricchezza; quando il valore è 1, indica una totale disuguaglianza (una sola persona, ricchissima, detiene tutto)