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Come fronteggiare il populismo Lega-M5S

In un lungo articolo (si potrebbe definire un “mini-saggio”) – pubblicato da “il manifesto” del 1° Giugno, intitolato “Il populismo senza popolo al potere(*) -, Marco Revelli svolge una riflessione sull’attualità politica: come sempre con gli scritti dello studioso torinese, osservatore acutissimo, vale la pena di meditarci sopra. Alcune mie brevi note sul tema dell’articolo di Revelli:

Nel 2013 Revelli scrisse per Einaudi uno dei suoi magnifici “libretti” (nel senso delle dimensioni, non dei contenuti. Ne ha scritto parecchi, ed ognuno è un testo da non perdere), intitolato “Finale di partito” (titolo derivato per evidente parafrasi da una commedia di Samuel Beckett, permio Nobel per la Letteratura nel 1969). L’opera (breve, in un solo atto) del drammaturgo irlandese (1906-1989), intitolata “Finale di partita“, rappresentava, appunto, la parte finale di una partita a scacchi, quando restano sulla scacchiera ormai pochi pezzi, nella quale un ricco ed anziano signore (di nome Hamm), giunto al termine della sua esistenza, rifiuta di arrendersi, benché messo continuamente sotto scacco: lo stesso Beckett scrisse che “Hamm è il re in questa partita a scacchi persa fin dall’inizio. Nel finale fa delle mosse senza senso che soltanto un cattivo giocatore farebbe. Un bravo giocatore avrebbe già rinunciato da tempo. Sta soltanto cercando di rinviare la fine inevitabile“. La metafora serviva a Revelli per rappresentare quella che definiva la “fine del partito politico novecentesco“, che è la tesi annunciata già nel titolo del suo testo e variamente argomentata: nelle ultime pagine Revelli scriveva – perentoriamente – che «certo è, comunque, che il controllo dello spazio pubblico da parte del partito novecentesco è finito. E che quella dell’antico “moderno principe” è ormai, necessariamente, una sovranità limitata. Molto limitata». Parole chiare, e “definitive”.

Naturalmente dal 2013 ad oggi moltissime cose sono cambiate, sì da rendere lo scenario politico completamente diverso da quello che poteva perfino immaginarsi cinque anni fa: e tuttavia la tesi della fine del partito politico come ci eravamo abituati a considerarlo nel secolo scorso – che peraltro non è stata inventata nemmeno da Revelli, ma ha anche altre e culturalmente nobili ascendenze, come lui stesso peraltro indicava nel suo libro citato – non risulta aver perso la sua fondatezza, che semmai risulta perfino rafforzata sia da quanto è già avvenuto che, ed ancor più, da quello che si profila all’orizzonte politico. Nell’articolo allegato Revelli svolge riflessioni attente sui processi politici di fronte ai quali ci troviamo (mi pare di poter immaginare un seguito di opere più “compiute“, sull’argomento) e conclude che, per fronteggiare efficacemente l’avversario che si è venuto creando, occorrerà «una forza e una cultura politica che abbia saputo fare, a sua volta, il proprio esodo dalla terra d’’origine: che sia preparata a cambiarsi con la stessa radicalità con cui è cambiato ciò che abbiamo di fronte» (e precisa, e non si può non concordare, che a questo non può certo servire «un fantasmatico “fronte repubblicano”, somma di tutte le sconfitte», con riferimento a quanto si sente dire da ambienti “calendian-renziani” del Pd).

Mi pare, per concludere, che quello immaginato da Revelli – le cui parole vanno centellinate ed attentamente riempite di contenuti, una ad una – sia uno scenario del tutto diverso, nella forma e nella sostanza, da quello di un “nuovo partito politico della sinistra” che viene da più parti ipotizzato e dato per necessario. E temo che, a gran parte della “sinistra“, quanto egli sostiene riuscirà difficile da capire e da accettare.

(*) https://ilmanifesto.it/il-populismo-senza-popolo-al-potere/

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