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Crisi Venezuela 2: un paese sull’orlo della guerra civile

Questo articolo fa parte di una serie in tre parti che, proponendo pezzi della stampa estera e italiana, analizza l’attuale crisi venezuelana.

Come emerge dal primo articolo di questa serie, dedicato ai meriti e ai limiti di Hugo Chávez, per comprendere meglio la situazione attuale del Venezuela, può risultare insufficiente liquidare l’intera vicenda con giudizi sommari. Il rischio di letture parziali è altissimo.

Già nel maggio scorso, poco prima che la situazione precipitasse definitivamente, Gabriel Hetland su Jacobin Magazine avvertiva: «Ci sono due narrazioni contrastanti che circolano sulla crisi in Venezuela. Una, centrale nei media mainstream occidentali, dipinge il governo come un regime dittatoriale impegnato in una spietata repressione di un’eroica opposizione che, pacificamente, cerca un ritorno alla democrazia». L’altra, filo-governativa, «parla di un governo eletto democraticamente e assediato da una violenta opposizione squilibrata che rappresenta una piccola minoranza delle élite ricche, ha il pieno supporto dell’impero statunitense e non intende fermarsi davanti a nulla per ottenere un cambio di regime, senza farsi scrupoli sulla legalità e sulla moralità delle proprie azioni».

Sicuramente, di fronte agli arresti dei capi dell’opposizione, a migliaia di arresti e oltre 120 morti in pochi mesi di manifestazioni di massa, viene spontaneo definire Maduro un dittatore.

«L’idea che il Venezuela sia uno Stato autoritario – si legge sempre su Jacobin Magazineè stata portata avanti per quasi tutti i diciotto anni di governo chavista. […] Ma mentre le passate affermazioni sull’autoritarismo del Venezuela erano infondate, adesso non è più così. Una serie di azioni intraprese dall’inizio del 2016 hanno reso sempre più difficile contestare l’idea che il Venezuela stia muovendo verso una deriva autoritaria».

Ma la storia del Sudamerica insegna che la strada della democrazia, dei diritti, dell’uguaglianza è stata ed è accidentata.

«Il governo venezuelano – sottolinea Hetlandmerita di essere duramente criticato per le sue azioni autoritarie e il fallimento continuo nel prendere misure significative per risolvere la crisi socioeconomica del Paese. Tuttavia, l’opposizione è tutt’altro rispetto alla vittima innocente dipinta dai media mainstream. (L’esempio più lampante è rappresentato da un articolo apparso sul New York Times il 19 aprile 2017, che trasforma miracolosamente il violento colpo militare del 2002 che destituì Hugo Chávez per 48 ore in un apparente “movimento di protesta pacifico”. Nell’articolo si legge: “Mentre i precedenti movimenti di protesta dell’opposizione hanno spesso cercato di rovesciare il governo di sinistra – uno nel 2002 ha anche brevemente destituito Hugo Chávez, l’allora presidente…”). Ci sono molte prove che la volontà dell’opposizione di utilizzare mezzi violenti e incostituzionali non è confinata al tentato golpe del 2002 […]. Nell’aprile 2013 l’opposizione si rifiutò di riconoscere la vittoria di Maduro, nonostante non ci fossero prove di brogli, e iniziò proteste violente che avrebbero portato alla morte di sette civili. Quarantatré persone sono morte in un’altra ondata di violenze guidate dall’opposizione fra il febbraio e l’aprile 2014. […] Infine, l’opposizione ha partecipato a molte azioni violente nell’ultima mandata di proteste».

Un ragionamento condiviso anche dal giornalista argentino Alfredo Luís Somoza, che, negli ultimi giorni, di fronte all’aggravarsi degli eventi dopo il voto contestato sull’Assemblea costituente, ha proposto la sua analisi sul suo blog su Huffington Post Italia: «Tra le pieghe dell’opposizione circolano gruppi estremisti armati che hanno dato un loro contributo a far crescere il saldo delle vittime», tuttavia, «nell’incendio venezuelano le vittime della violenza politica sono maggioritariamente ascrivibili al governo». Infatti, aggiunge Somoza, «in linea di principio […] è lo Stato che dovrebbe garantire l’incolumità di chavisti e anti-chavisti e questo compito è stato drammaticamente mancato».

Per capire cosa si muove in Venezuela è importante quindi concentrarsi su cosa sta accadendo al post-chavismo e quali riflessi questo avrà nel resto del continente.

Al voto per l’assemblea costituente del 30 luglio ha partecipato il 47% degli elettori secondo il governo (ma solo il 12% secondo l’opposizione). «Sono comunque numeri – commenta Somoza su Huffington Postche nella migliore delle ipotesi certificano la fine di un progetto», quello chavista. «Con Maduro la politica è scomparsa per lasciare luogo solo alla demagogia ai limiti del grottesco».

Il Venezuela è un paese sull’orlo della guerra civile, ma in generale, scrive Somoza, «per la democrazia in Sud America, così difficilmente riconquistata, si preannunciano ancora una volta tempi difficili». «Oggi la sinistra sudamericana è chiamata a prendere atto della sua fase declinante e a riflettere seriamente sugli errori commessi e sui correttivi da adottare se vorrà tornare a interpretare società rimaste ancora ingiuste. Le ragioni che hanno spinto milioni di cittadini a dare fiducia al chavismo restano praticamente tutte», ma «non ci sono seri ragionamenti né autocritica sulle cause della disfatta», non ci si spiega «perché si sta tornando a diventare minoranza, quali sono stati i problemi che hanno portato all’allontanamento delle grandi masse popolari». «Oggi – conclude Somozaa Caracas il post-chavismo è arrivato al capolinea, anche se non finisce ora. Più che mai è il momento di riflettere sul Venezuela in ginocchio e di discutere senza paraocchi ideologici. La sinistra in America Latina continua ad essere utile, ma se è anche onesta, trasparente, pragmatica, democratica e popolare».

(fine parte 2 – segue)

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