Il 23 settembre è stata pubblicata la Nota di aggiornamento del DEF 2017, un ponderoso documento di 166 pagine che rappresenta la base della prossima “Finanziaria” del Ministro Pier Carlo Padoan.
Una via di mezzo tra gli sforamenti del precedente governo e il rigore chiesto dai partner europei. Come gli anni passati, la notizia è il rinvio ancora di un anno del pareggio di bilancio e di una discesa decisa del debito; con rinvio alla prossima legislatura delle scelte su come rimodulare la spesa (dai bonus agli investimenti utili). Tuttavia va riconosciuto al ministro Padoan un progresso nel riequilibrio dei conti pubblici e un primo calo del debito, oggi a livello non sostenibile.
Buona parte del documento racconta i risultati che il Governo ritiene di aver raggiunto con la ripresa, sul cui irrobustimento fonda la politica economica per i prossimi anni.
L’economia è tornata a crescere e le previsioni di un +1,5% di PIL per il 2017 sono credibili: la crescita acquisita nel primo semestre (cioè con zero nel 3° e 4° trimestre) è già dell’1,2%; un risultato, irrobustito nel 3 trimestre secondo i dati ISTAT, trainato dalla ripresa del commercio mondiale. Più aleatorie le previsioni per il 2018 e 2019 per le incognite sull’andamento degli scambi internazionali, sulle possibili iniziative di protezione commerciale, sul prezzo del petrolio, sul cambio euro-dollaro e sulla situazione geo politica. Ciò senza contare i rischi di stallo del processo di riforma dell’Unione monetaria.
Positive le prospettive per gli investimenti in macchinari grazie agli incentivi del piano “Industria 4.0”, nonché quelle per consumi e acquisti di abitazioni, attesi in crescita dopo la crisi decennale del settore. Per quest’anno il PIL potrebbe anche fare qualche decimo in più dell’1,5% (sfiorando il + 3% con l’inflazione), ma la scommessa è come sostenere tale crescita per gli anni a venire.
Il debito pubblico, salito tra il 2007 e il 2014 dal 99,8% (epoca Prodi – Padoa Schioppa) al 131,8%, dovrebbe scendere al 131,6%, per attestarsi al 130% a fine 2018. Il Governo attribuisce i risultati su debito, crescita e occupazione alla strategia seguita dal 2014 con la diminuzione della pressione fiscale di un punto, gli incentivi agli investimenti, le “riforme strutturali”, la gestione delle finanze pubbliche, le misure di finanza per la crescita. Dimenticando l’elemento più importante e cioè la politica di tassi zero della BCE che ha fatto crollare il costo per interessi sul debito e che gradualmente verrà a cessare.
Il pareggio è rinviato al 2020 con una previsione ottimistica di un rapporto debito/PIL, al 123,9%.
In sintesi la prossima legge di Bilancio dovrebbe prevedere di sterilizzate le clausole di aumento di IVA e accise, impiegando le poche risorse disponibili a favore della crescita con incentivi agli investimenti delle imprese e promuovendo la crescita occupazionale con il taglio degli oneri contributivi. Altri interventi sulla spesa sono volti a sostenere i redditi delle famiglie più povere.
Il deficit del 2017 resta invariato al 2,1% già previsto e nel 2018 passerà all’1,6%; un risultato significativo poiché comprende gli esborsi per gli interventi sulle banche. Il rapporto debito/PIL diminuirebbe in misura marcata nel prossimo triennio.
La manovra sarà attorno allo 0,5% del PIL (8 miliardi), finanziata grosso modo per un terzo con tagli alla spesa e due terzi con nuove entrate.
L’evoluzione del rapporto debito/PIL risente anche della revisione statistica dell’ISTAT sul livello del PIL del 2015 e 2016, con un rapporto debito/PIL per il 2015 rivisto dal 132,1% al 131,5%.
Come detto, essenziale sarà la risalita della crescita nominale al livello stabile del 3,0% annuo. Le privatizzazioni dovrebbero garantire introiti pari allo 0,3% del PIL.
Programmi come questo sono considerati da molti come placebo ad un ammalato grave; qualche effetto positivo sui sintomi si vede, ma la malattia resta. Presto finirà la politica espansiva della BCE e ci troveremo con maggiori spese per interessi. Rinviare “sine die” il pareggio di bilancio previsto dall’art. 81 della Costituzione significa una eredità più pesante per le generazioni future.
Nel frattempo, il “partito unico della spesa”, ha iniziato il balletto delle proposte per spendere le risorse della crescita, cioè il “tesoretto” che non c’è.
Dopo la riduzione dell’IMU e dell’IRAP, già si immagina Renzi con una proposta elettorale di taglio all’Irpef. Poi sono sempre allerta le categorie: dagli insegnanti, scontenti della “Buona scuola“, verso i quali si spende la ministra – sindacalista Fedeli, agli statali per il cui rinnovo contrattuale servirebbero diversi miliardi se si vuole evitare che l’aumento levi a molti il bonus di 80 euro. E poi i pensionati, difesi dall’on. Damiano che vuole rinviare l’innalzamento di tre mesi dell’età pensionabile per le aspettative di vita (si tratta di quasi 3 miliardi se si aggiunge il rinvio della parificazione dell’età pensionistica tra uomini e donne). E si parla già della pensione di garanzia per i giovani che andranno in pensione dal 2030 col solo contributivo.
Tante assurdità che, col previsto cambio del ministro delle finanze tedesco Schaeuble con uno più “falco” di lui, che per fortuna ci saranno impedite dalla Commissione Europea e dai partner.
Col terzo debito pubblico del mondo, in drastico calo nella media degli altri paesi europei, non ci saranno consentiti ulteriori sconti.
Padoan, va detto a suo merito mostra cautela e raziocinio, parlando di “sentieri stretti”, anche per tenere a distanza le termiti della spesa pubblica, quelle dei “concorsoni” e delle mance-bonus. Ci sono “pochissime risorse”, “dobbiamo fare molti più passi avanti, non c’è assolutamente spazio per sentirsi soddisfatti” come ha affermato di recente. Parole sante, soprattutto considerando che nel governo e nella maggioranza tanti a non capire che l’aumento della crescita genera automaticamente “tesoretti” da distribuire.
Quindi, un plauso al ministro ed al suo realismo, che gli deriva soprattutto dal fatto di non dover partecipare alla prossima campagna elettorale.
Tuttavia, a volte anche Padoan eccede in ottimismo, quando afferma: “Una situazione di finanza pubblica difficile come quella italiana sta migliorando” sia in termini di deficit, “sia con la cessazione della salita del debito, che in tutti gli altri paesi continua a salire” (Ansa, 19 settembre 2017). La verità è altra: il Bollettino recente della BCE afferma che il rapporto debito-PIL dell’Eurozona, nei tre anni di quantitative easing, è calato in media di 5 punti, passando dall’89% all’84% . L’unico paese che ha fatto peggio di noi è la Francia, che però ha ancora un debito, seppur di poco inferiore al PIL (2.209,6 miliardi di euro pari al 98,6% del PIL a fine marzo 2017).
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Nella foto di copertina. Il ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan
Def 2017: troppo ottimismo?
Il 23 settembre è stata pubblicata la Nota di aggiornamento del DEF 2017, un ponderoso documento di 166 pagine che rappresenta la base della prossima “Finanziaria” del Ministro Pier Carlo Padoan.
Una via di mezzo tra gli sforamenti del precedente governo e il rigore chiesto dai partner europei. Come gli anni passati, la notizia è il rinvio ancora di un anno del pareggio di bilancio e di una discesa decisa del debito; con rinvio alla prossima legislatura delle scelte su come rimodulare la spesa (dai bonus agli investimenti utili). Tuttavia va riconosciuto al ministro Padoan un progresso nel riequilibrio dei conti pubblici e un primo calo del debito, oggi a livello non sostenibile.
Buona parte del documento racconta i risultati che il Governo ritiene di aver raggiunto con la ripresa, sul cui irrobustimento fonda la politica economica per i prossimi anni.
L’economia è tornata a crescere e le previsioni di un +1,5% di PIL per il 2017 sono credibili: la crescita acquisita nel primo semestre (cioè con zero nel 3° e 4° trimestre) è già dell’1,2%; un risultato, irrobustito nel 3 trimestre secondo i dati ISTAT, trainato dalla ripresa del commercio mondiale. Più aleatorie le previsioni per il 2018 e 2019 per le incognite sull’andamento degli scambi internazionali, sulle possibili iniziative di protezione commerciale, sul prezzo del petrolio, sul cambio euro-dollaro e sulla situazione geo politica. Ciò senza contare i rischi di stallo del processo di riforma dell’Unione monetaria.
Positive le prospettive per gli investimenti in macchinari grazie agli incentivi del piano “Industria 4.0”, nonché quelle per consumi e acquisti di abitazioni, attesi in crescita dopo la crisi decennale del settore. Per quest’anno il PIL potrebbe anche fare qualche decimo in più dell’1,5% (sfiorando il + 3% con l’inflazione), ma la scommessa è come sostenere tale crescita per gli anni a venire.
Il debito pubblico, salito tra il 2007 e il 2014 dal 99,8% (epoca Prodi – Padoa Schioppa) al 131,8%, dovrebbe scendere al 131,6%, per attestarsi al 130% a fine 2018. Il Governo attribuisce i risultati su debito, crescita e occupazione alla strategia seguita dal 2014 con la diminuzione della pressione fiscale di un punto, gli incentivi agli investimenti, le “riforme strutturali”, la gestione delle finanze pubbliche, le misure di finanza per la crescita. Dimenticando l’elemento più importante e cioè la politica di tassi zero della BCE che ha fatto crollare il costo per interessi sul debito e che gradualmente verrà a cessare.
Il pareggio è rinviato al 2020 con una previsione ottimistica di un rapporto debito/PIL, al 123,9%.
In sintesi la prossima legge di Bilancio dovrebbe prevedere di sterilizzate le clausole di aumento di IVA e accise, impiegando le poche risorse disponibili a favore della crescita con incentivi agli investimenti delle imprese e promuovendo la crescita occupazionale con il taglio degli oneri contributivi. Altri interventi sulla spesa sono volti a sostenere i redditi delle famiglie più povere.
Il deficit del 2017 resta invariato al 2,1% già previsto e nel 2018 passerà all’1,6%; un risultato significativo poiché comprende gli esborsi per gli interventi sulle banche. Il rapporto debito/PIL diminuirebbe in misura marcata nel prossimo triennio.
La manovra sarà attorno allo 0,5% del PIL (8 miliardi), finanziata grosso modo per un terzo con tagli alla spesa e due terzi con nuove entrate.
L’evoluzione del rapporto debito/PIL risente anche della revisione statistica dell’ISTAT sul livello del PIL del 2015 e 2016, con un rapporto debito/PIL per il 2015 rivisto dal 132,1% al 131,5%.
Come detto, essenziale sarà la risalita della crescita nominale al livello stabile del 3,0% annuo. Le privatizzazioni dovrebbero garantire introiti pari allo 0,3% del PIL.
Programmi come questo sono considerati da molti come placebo ad un ammalato grave; qualche effetto positivo sui sintomi si vede, ma la malattia resta. Presto finirà la politica espansiva della BCE e ci troveremo con maggiori spese per interessi. Rinviare “sine die” il pareggio di bilancio previsto dall’art. 81 della Costituzione significa una eredità più pesante per le generazioni future.
Nel frattempo, il “partito unico della spesa”, ha iniziato il balletto delle proposte per spendere le risorse della crescita, cioè il “tesoretto” che non c’è.
Dopo la riduzione dell’IMU e dell’IRAP, già si immagina Renzi con una proposta elettorale di taglio all’Irpef. Poi sono sempre allerta le categorie: dagli insegnanti, scontenti della “Buona scuola“, verso i quali si spende la ministra – sindacalista Fedeli, agli statali per il cui rinnovo contrattuale servirebbero diversi miliardi se si vuole evitare che l’aumento levi a molti il bonus di 80 euro. E poi i pensionati, difesi dall’on. Damiano che vuole rinviare l’innalzamento di tre mesi dell’età pensionabile per le aspettative di vita (si tratta di quasi 3 miliardi se si aggiunge il rinvio della parificazione dell’età pensionistica tra uomini e donne). E si parla già della pensione di garanzia per i giovani che andranno in pensione dal 2030 col solo contributivo.
Tante assurdità che, col previsto cambio del ministro delle finanze tedesco Schaeuble con uno più “falco” di lui, che per fortuna ci saranno impedite dalla Commissione Europea e dai partner.
Col terzo debito pubblico del mondo, in drastico calo nella media degli altri paesi europei, non ci saranno consentiti ulteriori sconti.
Padoan, va detto a suo merito mostra cautela e raziocinio, parlando di “sentieri stretti”, anche per tenere a distanza le termiti della spesa pubblica, quelle dei “concorsoni” e delle mance-bonus. Ci sono “pochissime risorse”, “dobbiamo fare molti più passi avanti, non c’è assolutamente spazio per sentirsi soddisfatti” come ha affermato di recente. Parole sante, soprattutto considerando che nel governo e nella maggioranza tanti a non capire che l’aumento della crescita genera automaticamente “tesoretti” da distribuire.
Quindi, un plauso al ministro ed al suo realismo, che gli deriva soprattutto dal fatto di non dover partecipare alla prossima campagna elettorale.
Tuttavia, a volte anche Padoan eccede in ottimismo, quando afferma: “Una situazione di finanza pubblica difficile come quella italiana sta migliorando” sia in termini di deficit, “sia con la cessazione della salita del debito, che in tutti gli altri paesi continua a salire” (Ansa, 19 settembre 2017). La verità è altra: il Bollettino recente della BCE afferma che il rapporto debito-PIL dell’Eurozona, nei tre anni di quantitative easing, è calato in media di 5 punti, passando dall’89% all’84% . L’unico paese che ha fatto peggio di noi è la Francia, che però ha ancora un debito, seppur di poco inferiore al PIL (2.209,6 miliardi di euro pari al 98,6% del PIL a fine marzo 2017).
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Nella foto di copertina. Il ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan
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Enzo Umbrella
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