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Di fronte all’insurrezione la legge. Però non solo la legge

Traduzione dell’editoriale di El PaísFrente a la insurrección, la ley pero no solo la ley” sul referendum catalano.

Il governo nazionale da un lato e la Generalitat dall’altro ieri si sono affrettati a cantare vittoria dopo la vergognosa giornata che i cittadini catalani hanno dovuto vivere per colpa dell’arroganza xenofoba – in alleanza con le forze antisistema – che Carles Puigdemont rappresenta e dell’assoluta incapacità di gestione del problema, sin dal principio di questa crisi, da parte di Mariano Rajoy.

Entrambe le parti, che ormai possiamo chiamare due fazioni in guerra, sono ben lontane dall’aver vinto. Ma quello di ieri è stato un disastro per il nostro paese, per gli interessi e i diritti di tutti gli spagnoli (siano catalani o di qualsiasi altro luogo di Spagna), per il futuro della nostra democrazia e per la stabilità e il futuro del sistema di convivenza che, da quasi quarant’anni, ci siamo dati.

Sia ben chiaro che siamo assolutamente equidistanti rispetto alle responsabilità di chi ha provocato questo disastro per la nostra democrazia; disastro che impiegheremo anni a risolvere. I principali colpevoli sono il presidente della Generalitat e la presidente del Parlamento che da tempo hanno messo in moto un processo destinato a portare i catalani allo scontro interno e la Catalogna allo scontro con il resto della Spagna. Lungi dal comportarsi come rappresentanti di tutti i cittadini del loro paese, sono stati impunemente faziosi, facendo mostra di un incredibile settarismo. E lo hanno fatto con disprezzo della Costituzione, dello Statuto della Catalogna, dei suoi rappresentanti democratici e dello spirito e della lettera del Codice Penale. Ma né i loro flagranti delitti, né le loro spacconate possono giustificare la passività e l’imperizia del presidente Rajoy, la sua afasia politica, la sua reiterata invisibilità di fronte all’opinione pubblica e la sua timorosa delegazione di responsabilità alla Giustizia […], nascondendosi dietro alle decisioni degli altri per non prendere quelle di sua competenza.

Due recenti affermazioni del capo del governo sono sufficienti per illustrare quanto scriviamo. In primo luogo, che nessuno poteva prevedere che le cose arrivassero a questo punto. E poi, quella più volte reiterata – anche ieri dal ministro dell’Interno – che l’atteggiamento della Generalitat li ha costretti a fare ciò che non volevano fare. Se Rajoy davvero non si aspettava che le cose potessero arrivare fino a questo punto, vuole dire che da anni non legge i giornali – né della Catalogna né di Madrid – né guarda la televisione. Ci saranno centinaia, migliaia di articoli e di dichiarazioni di politici, intellettuali, imprenditori, voci della società civile, giornalisti e osservatori di tutti i tipi che, da anni, da una parte anticipano quello che chiaramente stavano preparando gli indipendentisti, e dall’altra annunciano la necessità di prendere l’iniziativa per risolvere le questioni rimaste in sospeso dell’organizzazione territoriale spagnola.

Per quanto riguarda il vedersi obbligato, come governo, a fare quello che non vuole, questo rileva che, di fatto, Rajoy non ha mai saputo quello che voleva o doveva fare su questa questione. Forse adesso si vedrà costretto a fare quello che chiaramente non ha mai voluto fare: contribuire a revisionare la Costituzione, abbracciare i principi federali su cui si fonda la Spagna delle autonomie e cercare il consenso politico necessario che eviti la divisione fra gli spagnoli, divisione evidenziata dai fatti di ieri e dei giorni precedenti.

Quasi cinque anni fa il nostro giornale pubblicò una riflessione, frutto del dibattito in redazione, su “Come ricostruire il futuro”. In quella riflessione spiegavamo testualmente che «pur essendo gravissima la crisi economica che attraversa la Spagna, con sei milioni di disoccupati e un peggioramento generale della qualità della vita, la sua importanza impallidisce se comparata con la crisi politica e istituzionale che il Paese sta affrontando». E proponevamo un decalogo di misure, fra le quali era presente l’urgenza di una riforma della Costituzione e la riorganizzazione dello Stato delle Autonomie in accordo con il modello federale. Il nostro editoriale si chiudeva quindi richiamando l’attenzione sul fatto che era compito dei leader politici guidare un progetto del genere e avvertivamo che «se questi, tormentati dall’opinione pubblica e dalle ombre del passato, si arroccheranno nel loro isolamento e faranno orecchie da mercante di fronte alle richieste dei cittadini, in un futuro molto vicino la Costituzione del 1978 correrà rischi inutili».

Quel futuro è arrivato e se l’ordinamento del ’78 affronta una crisi di Stato così grave come quella che abbiamo sotto gli occhi […] la responsabilità principale ricade sui partiti tradizionali e costituzionalisti, incapaci di mettersi d’accordo sulle questioni di Stato per promuovere le riforme urgenti e necessarie […].

Forse ha ragione la vicepresidente del governo a criticare Iceta per aver chiesto, ieri, le dimissioni di Rajoy, accusandolo che la sua richiesta risponda solo a tattiche elettorali. Però oggi sono moltissimi i cittadini di tutti gli orientamenti politici e condizioni che non votano in nessuna elezione e si mostrano preoccupati per l’incapacità e la mancata assunzione di responsabilità da parte del capo del governo, disposto a scaricare su altri (giudici, pubblici ministeri, polizia, Guardia Civile) un lavoro che originariamente era suo. […]

Sin dal principio ci sono stati più attori in questa crisi. E ci sarà tempo per discutere dell’alleanza spuria fra gli interessi del capitalismo protezionista della borghesia catalana e gli obiettivi dell’anticapitalismo nichilista e a volte violento rappresentato dalla CUP. Ci sarà tempo anche per criticare la ambiguità e la scarsa presenza del PSOE in questo processo […]. Oggi, però, abbiamo bisogno di sapere come affronterà questo enorme scontro il governo legittimamente eletto dagli spagnoli. Questi hanno diritto a una spiegazione da parte di Rajoy, senza che ripeta quello che già sappiamo, ossia che è necessario garantire il rispetto della legge, perché questo chiaro come il sole. Non serve a nulla che il governo si lamenti che lo obbligano a fare quello che non vuole fare. Quello che deve chiarire il Presidente, se ne è capace, è cosa vuole davvero e cosa è disposto a fare affinché il Paese e le sue 17 autonomie abbiano un progetto per il futuro di convivenza pacifica e in democrazia.

[Immagine di copertina: infografica di Le Monde]

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