
Difendere la Costituzione dal populismo: l’art. 67
L’art. 67 della Costituzione, uscita indenne dal feroce attacco che le era stato portato dal progetto Renzi-Boschi, naufragato a forza di popolo – sì, proprio “di popolo” – il memorabile 4 Dicembre 2016, recita testualmente: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». E’ un articolo importante, che fu lungamente discusso nell’Assemblea Costituente. In un testo del 1995 curato dal grande giurista Guido Neppi Modona con l’apporto di valenti costituzionalisti (fra i quali figure come Dogliani, Elia, Zagrebelsky), intitolato “Stato della Costituzione“, che analizzava l’iter subìto nella Costituente dai vari articoli della Carta, veniva riportato che «Il “libero mandato parlamentare” comporta che il “rappresentante” non dipenda, negli orientamenti e nei voti che esprime all’interno delle Camere, da alcun tipo di istruzioni o vincoli, rapportandosi soltanto a un generale e impersonale soggetto di riferimento (la Nazione, appunto)». Bene: in altre parole, si decise che il parlamentare dovesse rispondare del suo operato non al partito in cui era stato eletto ma “al popolo“, essendo il popolo – secondo l’enciclopedia Treccani – “il complesso degli individui di uno stesso paese che, avendo origine, lingua, tradizioni religiose e culturali, istituti, leggi e ordinamenti comuni, sono costituiti in collettività etnica e nazionale, o formano comunque una nazione“.
Questo principio costituzionale ha subìto (e subisce tuttora), fin dalla sua approvazione, numerosi attacchi, poiché esso in taluni casi veniva (e viene) in conflitto con gli interessi dei partiti: nel testo di Neppi Modona citato veniva osservato che «l’affermarsi di tale concezione aveva portato a superare – dalla fine del Settecento – il precedente modo di intendere la posizione dei rappresentanti, prima considerati quali portatori delle richieste dei Corpi o delle Comunità che li avevano espressi», e perciò ci furono contrasti allora e ripetuti “rigurgiti” in seguito. Nei giorni che viviamo, sappiamo che esso viene contrastato e minacciato di abolizione o di sterilizzazione dalle forze politiche che vengono generalmente riconosciute e definite, in senso negativo, come “populiste“. Infatti, Matteo Salvini, segretario politico della Lega, ha più volte dichiarato che, se fosse al Governo, eliminerebbe quella disposizione perché, secondo lui, chi non si riconosce più nel partito con il quale è stato eletto non deve far altro che dimettersi ed andarsene dal Parlamento, per poi eventualmente ricandidarsi successivamente in altra formazione politica; e Luigi Di Maio, capo del M5S, dice che i loro candidati firmano una sorta di “contratto” con il Movimento (benché la sua applicabilità venga messa in dubbio da molti giuristi: ma conta l’intenzione) che prevede, in caso di “cambio di casacca“, una fortissima penalità economica, il che è evidentemente volto a contrastare i trasformismi e, di fatto, a rendere impraticabile l’articolo che stabilisce la “libertà di mandato“. Roba da “populisti“, sono abituate a ritenere e dire le altre forze politiche che si riconoscono nella concezione propria del costituzionalismo liberale.
Ma c’è una novità, che per alcuni può suonare sorprendente e per altri no. In un’intervista rilasciata il 15 Febbario [1] Viola Carofalo, capo politico del Movimento denominato “Potere al Popolo“, ha sostenuto che i loro (eventuali) rappresentanti in Parlamento «dovranno dare vita ad un parlamentarismo de calle: … Discutere sui territori e non solo tra addetti ai lavori, né solo con i gruppi corporativi le misure che arrivano in parlamento; proporne altre che siano frutto dell’elaborazione collettiva, che vengano dal basso. Rendere conto del proprio operato, avvicinando il proprio più ad un mandato imperativo, che a quello libero previsto dalla Costituzione italiana». In termini chiari, da queste parole si desume che secondo PaP si dovrebbe introdurre il vincolo di mandato (cos’altro è un “mandato imperativo“?): ma non è esattamente quello che intendono i “populisti per eccellenza” come Salvini e Di Maio? E non sarebbe uno sfregio alla Costituzione italiana, così strenuamente e meritoriamente difesa, durante la campagna referendaria, dalle forze della sinistra politica che oggi aderiscono a Potere al Popolo? Non è, anche questa, una posizione che rivela la natura populista di PaP e dimostra, come sostengono insigni studiosi di Teoria Politica, che esiste un forte conflitto fra populismo e democrazia? A quegli aderenti a PaP in contraddizione evidente con se stessi tocca risolvere questa fragorosa discrepanza con quanto dichiarato dal loro “capo politico“; gli altri, semplicemente, faranno bene, se vogliono dare un voto di sinistra e rispettoso della Costituzione e di tutte le libertà che essa garantisce, compresa l’assenza di vincolo di mandato, a scegliersi un altro soggetto politico che non sia PaP. Come “Liberi e Uguali“, che non si sogna nemmeno di toccare la Costituzione.