Renzi_Rossi

Dunque, congresso. Ma per cambiare direzione

Sono da sempre un appassionato di Enzo Iannacci. Di più, un vero e proprio cultore del cantautore milanese.
Estate dell’ultima guerra/non quella ma questa che c’è/ancora col culo per terra/insieme soltanto noi tre”. E’ l’incipit di un suo celebre brano, E allora andiamo, che, secondo me, fotografa il PD verso il congresso. Anche noi, tutto sommato, sembriamo venir fuori da una guerra e sciocco chi pensava si trattasse solo di confrontarsi e misurarsi con una proposta di riforma costituzionale.

Una guerra che, oggettivamente, un po’ con il culo per terra ci ha messi e si spera di rialzarsi in fretta e senza troppi lividi. Qualcuno potrebbe obiettarmi che sono in due, Enrico Rossi e Matteo Renzi, gli unici che hanno annunciato di candidarsi alla segreteria. Ma siamo un partito di sinistra e la previsione di tre soli candidati indulge ad un ingiustificato ottimismo, considerata la nostra sciagurata tradizione. Dunque, congresso. Finalmente. Perché di un congresso c’è bisogno a prescindere da ciò che è successo domenica 4 dicembre. Di un congresso c’è bisogno perché per continuare a militare nel PD è necessario sciogliere alcuni nodi e chiarire alcune gravi ambiguità . Nessuna azione, nessuna politica di Governo, prescindendo dal merito, è stata mai il risultato di un confronto reale. Nessuna proposta è stata mai elaborata dalla Direzione del PD, discussa nei circoli e, quindi, posta all’attenzione dei gruppi parlamentari e dell’esecutivo. Al contrario, la Direzione era chiamata ad approvare, a maggioranza, soluzioni già precostituite e preconfezionate e anche quando in questo organismo fosse stata raggiunta un intesa su alcune modifiche, venivano successivamente puntualmente disattese (vedi il caso dei “licenziamenti collettivi” nel Jobs Act e il premio alla coalizione divenuto premio al partito e capilista bloccati nell’Italicum).

Di un congresso c’è bisogno perché è oramai evidente che la coincidenza tra segretario e candidato premier non si tiene insieme, soprattutto in un partito dove la sintesi tra le diverse anime, le diverse sensibilità politiche e culturali non si è ancora compiutamente realizzata e vi è, quindi, necessità di qualcuno che si dedichi per intero ed esclusivamente alla sua cura. Di un congresso c’è bisogno perché è essenziale e vitale per il futuro stesso del partito individuare regole e percorsi per la selezione e la formazione di una classe dirigente che non sia unicamente il prodotto della fedeltà a questo o a quel leader. Di un congresso c’è bisogno per abbandonare definitivamente l’idea di un partito costruito sull’ambizione dei singoli e non sulla base di una proposta politica collettiva e condivisa. Di un congresso c’è bisogno perché è ora di chiarire se il Partito Democratico è il punto di incontro tra le forze di ispirazione socialista, cristiane e cattolico democratiche che ispirate da sempre da valori quali la solidarietà, l’attenzione agli ultimi, agli esclusi, si uniscono per dare una nuova speranza a quanti avrebbe dovuto rappresentare e che, invece, si sentono da noi abbandonati, traditi.

E’ un elenco, forse non esaustivo, di questioni urgenti sulle quali il prossimo congresso dovrà confrontarsi. Se qualcuno, e vi sono segnali preoccupanti in tal senso, pensasse ad un appuntamento dove consumare la propria rivincita, la propria vendetta accompagnata dal desiderio di non fare prigionieri, decreterebbe la fine del PD e, molto probabilmente, comprometterebbe il suo stesso futuro politico. Si correrebbe il rischio di assistere alla nascita di un ennesimo “partito personale” di cui, sinceramente, non se ne avverte alcun bisogno. Noi saremo in campo non con l’elenco delle cose che non ci sono piaciute, ma con quelle che vorremmo si realizzassero. Non saremo in campo contro qualcuno, ma per qualcosa. E siccome se ami Jannacci non puoi non amare Gaber, parafrasando il suo “Qualcuno era comunista”, saremo in campo perché al nostro gabbiano non si rattrappiscano le ali.

Commenti