Mancano solo dodici giorni alle elezioni e l’impegno, inevitabilmente, si moltiplica. Mancano solo nove giorni al mio compleanno e il mio fisico, il mio organismo, fanno di tutto per ricordarmi che 56 anni è l’età dei diversamente giovani. Ma la passione politica mista ad un opportuno narcisismo che in queste circostanze è assai utile, mi hanno portato ieri a San Ferdinando di Puglia, per un interessante confronto con le segreterie territoriali delle organizzazioni sindacali della BAT e della provincia di Foggia. L’auditorium del Centro Polivalente è pieno, segno che sono presenti non solo i dirigenti sindacali ma anche numerosi cittadini. Del resto i temi su cui siamo chiamati a dare risposte sono interessanti, oltre che stimolanti. Norme in materia di licenziamenti collettivi, pensioni e “Legge Fornero”, politiche di sviluppo. Nel presentarci e nell’introdurre l’iniziativa, l’ottima e graziosa padrona di casa, Cinzia Petrignano che con me condivide in lista le ultime due posizioni utili per l’accesso alla zona Champions, ci informa che in sala è presente Rosa, una diciottenne che voterà per la prima volta e che vorrebbe informarsi su programmi e proposte affinché il suo sia un voto consapevole, oltre che utile. Ed è a questo punto che nella mia mente la sceneggiatura scritta con cura per la serata si stravolge completamente. La presenza di Rosa mi fa pensare ai milioni di giovani che vogliamo e dobbiamo raggiungere ma che, non necessariamente per responsabilità nostre, facciamo ancora fatica ad intercettare. Decido, quindi, che quando sarà il mio turno dovrò rivolgermi direttamente a lei, usando parole e argomenti che spero sgombrino tutti i dubbi su quello che noi intendiamo offrire davvero a tutti quei giovani che Rosa oggi rappresenta. Esordisco spiegandole che la sostanziale differenza tra la mia e la sua generazione è che io sono meno sfigato di loro. Noi abbiamo diritti e tutele che nemmeno il Jobs Act e i vari decreti Poletti hanno scalfito. E non abbiamo faticato granché per ottenerli, al lavoro sporco ci hanno pensato generazioni prima della mia.
Mio nonno e la sua generazione, al prezzo di anni di carcere fascista e di “vacanze spesate” alle isole Tremiti (così Silvio Berlusconi definì la misura coercitiva del “confino”) ci hanno regalato la libertà e la democrazia. Mio padre e la sua generazione, al prezzo di anni di dure lotte, i diritti per la dignità del lavoro e un welfare tutto sommato rassicurante. A me, a noi, competeva un dovere di vigilanza, di difesa di quei diritti da chiunque volesse violarli e, magari, provare ad estenderli. Per diversi anni ci siamo difesi e li abbiamo difesi dignitosamente. Troppo “catenaccio”, dal mio personalissimo punto di vista, e poco offensivismo, giusto per includere chi sino ad allora era stato escluso. Poi cosa è successo? Ci siamo distratti? Abbiamo sonnecchiato? Sì, perché Renzi è riuscito dove altri avevano fallito senza che la reazione alle misure del suo governo fosse adeguata. Forse, allora, non ci siamo distratti e nemmeno addormentati. Forse è accaduto qualcosa di peggio: ne siamo stati, oggettivamente, complici.
La devastante crisi che qualcuno vorrebbe alle nostre spalle ma che, al contrario, continua a manifestare ancora i suoi effetti, ci ha tramortiti. Non siamo stati in grado, noi sinistra in Italia e in Europa, a prevederne le conseguenze e ad individuare proposte che non solo la contrastassero ma che permettessero di non farne pagare i costi ai giovani, ai lavoratori, al ceto medio.
Paradossalmente la destra liberista che quella crisi ha provocato, è risultata essere credibile nell’indicare soluzioni e vie di uscita. La ricetta proposta è sempre la stessa: meno Stato e fiducia fideistica sulle capacità messianiche del mercato. E in tutto ciò i diritti sono un inutile orpello.
Forse abbiamo anche noi ritenuto che non vi fosse altro orizzonte politico, sociale ed economico che quello neoliberista e che compito della sinistra fosse quello di limitare i danni. Magari concedendo qualche diritto sociale in più e un art. 18 in meno.
Sta proprio in ciò il primo e più importante motivo per cui Rosa farebbe bene a fidarsi di noi, a riporre in noi le sue speranze: abbiamo capito di sbagliare e Liberi e Uguali oggi, e un Partito del Lavoro domani, rappresentano la nostra pubblica e politica ammenda.
A differenza del Candido di Voltaire, siamo consapevoli che non viviamo nella migliore delle società possibili, perché questa società non garantisce nulla alle giovani generazioni, né presente né futuro. Questa società ha ampliato scandalosamente le disuguaglianze e compresso i diritti, anche quello fondamentale alla salute.
Le nostre proposte non sono solo un programma di governo, ma indicano un’idea di società. Indicano chiaramente quali ceti, istanze e aspirazioni vogliamo rappresentare. Cos’altro se non questo significano lavoro dignitoso, nuovo welfare, accesso all’istruzione, rafforzamento della sanità pubblica, investimenti pubblici e riqualificazione ambientale del territorio?
Ho detto a Rosa che avrei potuto concludere citando qualcuno del nostro vasto Pantheon, magari Berlinguer, Di Vittorio, Gramsci …
Avrei avuto solo l’imbarazzo della scelta. Invece ho scelto di citare Carlo Monni, un folle e fantastico attore fiorentino. Campi Bisenzio, per l’esattezza. Uno di quelli che riteneva non occorresse vivere da malati per morire sani (infatti è, purtroppo, morto).
“La natura ci insegna, dai monti a valle/che si nasce bruchi per diventar farfalle.
Noi siamo quella razza che è tra le più strane/ bruchi siamo nati e bruchi si rimane”.
Ecco Rosa, noi siamo quella razza di visionari che vorrebbe che tutti i bruchi, in qualsiasi parte del mondo nascano, si trasformino in farfalle. Non so se mai ci riusciremo, ma ne vale davvero la pena provarci.
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Foto in evidenza: Iniziativa elettorale di Liberi e Uguali a San Ferdinando di Puglia (il primo a destra Luigi Pizzolo)