Diverse sono le nubi che si addensano sul cielo italiano. Tutte cariche di possibili cattive notizie sulla nostra economia. A parte l’incertezza politica che è già abbastanza alta, la crisi si è riflessa sui tassi. Lo spread è già risalito ad oltre 150 punti base. I tassi sul BTP decennale italiano soffrono ancora poco solo perché il Bund ha raggiunto un rendimento negativo sotto la spinta di imponenti acquisti da investitori in cerca di sicurezza. Questo nonostante i grossi interventi da parte di BCE sui titoli di Stato dei paesi meno forti, come il nostro .
LA BREXIT – Se passa il “leave the European Union“avremo un periodo di grossa turbolenza con pressioni enormi sui titoli di Stato e sul mercato azionario, titoli bancari su tutti. Avrà probabilmente riflessi più gravi la Gran Bretagna, ma questo è un problema loro. Si accentueranno gli spread tra i titoli di Stato dei paesi “Core” e quelli periferici, e anche la BCE avrà grossi problemi a tenere sotto controllo la situazione. I mercati iniziano a vedere i segni premonitori di una possibile frattura dell’Unione Europea, minata già dalla incapacità di affrontare, in modo condiviso dai popoli, l’emergenza profughi e dalla storia della cattiva gestione della crisi greca.
Al contrario, un voto britannico a favore dell’Ue dimostrerebbe che anche la nazione più euro scettica alla fine avrebbe valutato i benefici del legame con l’Europa, superiori ai costi, aprendo la strada (forse) verso una unione più stretta.
LE BANCHE ITALIANE, IL CASO UNICREDIT – In queste settimane si sono riaccese le tensioni sulle banche quotate e non. Sembra sia passato un secolo dai disastri creati a fine 2015, dalle decisioni sulla soluzione della crisi delle 4 banche, dalle improvvide dichiarazioni di tanti politici e dalla conseguente perdita di fiducia dei risparmiatori verso il sistema bancario. Ora la crisi di fiducia sta buttando giù oltre ogni logica anche la quotazione di un colosso bancario come Unicredit. Ora capitalizza poco più di un quarto del proprio patrimonio: 14 miliardi, contro 53,5 miliardi di patrimonio netto. Senza una ragione logica, avendo sofferenze lorde inferiori al patrimonio. Non hanno giovato alla quotazione del titolo le lotte di potere per la scelta del nuovo amministratore delegato e neanche le critiche della politica, fondate ma inopportune e intempestive, alle autorità di controllo, la Consob in primis
IL FONDO ATLANTE. La creazione del fondo Atlante e la sottoscrizione da parte dello stesso dell’aumento di capitale della Banca Popolare di Vicenza e forse di Veneto Banca, ha scongiurato al momento i rischi di una crisi sistemica. Ma, le criticità nuove di cui sopra impongono altri interventi per rafforzare il capitale del sistema bancario, collocare sul mercato una parte consistente dei crediti in sofferenza e, non meno importante, punire i responsabili dei disastri attuali, rinnovando e moralizzando la governance .
In caso contrario, il rischio di una crisi finanziaria continuerà ad incombere.
Nel futuro immediato Atlante diventerà proprietario delle due banche venete. Inevitabilmente non potrà che fonderle (entrambe hanno il centro informatico in comune) con un piano industriale volto ad eliminare duplicazioni di sportelli e ad espellere buona parte del personale delle direzioni generali e della rete. Resta tuttavia il rischio “bail in” se le azioni della nuova governance delle due banche non risulterà convincente agli occhi dei depositanti, già delusi dalle perdite avute come azionisti. Veneto Banca e BPVI hanno in essere numerose cause in relazione alla vendita di azioni e obbligazioni in modo non trasparente e gli accantonamenti operati per questi rischi e per i crediti deteriorati potrebbero essere non sufficienti. Servirebbero quindi nuovi apporti di capitale che Atlante non è in grado di assicurare, dovendosi impegnare anche nell’alleggerimento dei crediti deteriorati presenti nei bilanci delle banche italiane. Ove dovessero entrare in azione la “risoluzione” ed il “bail in”avremmo invece una crisi sistemica e l’intervento del fondo salva stati sarebbe inevitabile. Uno scenario da incubo, oggi meno improbabile proprio sulla base delle pressioni su banche fino a ieri considerate sicure.
Il Governo ha già fatto molto sul piano degli sgravi fiscali sulle perdite e sulla velocizzazione del recupero dei crediti in sofferenza. Va tuttavia ricordato che, per poter usufruire di sgravi fiscali bisogna che le banche producano utili, e questo non è scontato in presenza della attuale situazione dei tassi e della “forbice” tra tassi attivi e passivi.
Servono quindi risorse importanti, da mettere a carico dei cittadini, spese politicamente inaccettabili se i responsabili dei disastri saranno gli stessi cui verrà richiesto di risanare il sistema.