Nella generale tempesta che attraversa l’Europa e che vede protagonista il socialismo europeo, le elezioni tedesche ci restituiscono almeno due buone notizie. La fine delle larghe intese e la conseguente decisione della Spd per l’alternativa e l’opposizione alla Merkel. Il grande interrogativo riguarda invece il successo di Afd. Occorre cautela nel definire questa forza politica neonazista, tanto più nello stesso paese in cui movimenti islamofobi e formazioni antisemite e d’ispirazione hitleriana come Npd hanno avuto vita difficile, almeno assai più di quanto non accada negli USA e nel resto d’Europa per suprematisti e fascisti di varia estrazione. Il ritorno per la prima volta nel dopoguerra della destra estrema in parlamento rappresenta tuttavia simbolicamente la fine di un ciclo storico che ha tra i suoi punti cardine il crollo del nazismo nel 1945 e il crollo del muro a Berlino nel 1989.
Il successo di questa forza, simile a quello di Le Pen in Francia e di Salvini in Italia, a prescindere dalle sue effettiva solidità, rappresenta una grande questione per la sinistra europea. Settori sociali e del corpo elettorale che erano dediti al non voto o alla disillusione rispetto ai grandi partiti popolari del socialismo democratico sono tornati a votare. Spinti dalla sconfitta sociale, dall’esclusione, dall’immiserimento e dall’assenza di prospettive tanti di questi elettori sono giunti a far proprie idee in cui un tempo non avrebbero mai creduto, arrivando ad individuare nell’immigrato il nuovo nemico di classe. Una falsa coscienza e una nuova egemonia che anzitutto segnala il fallimento del riformismo degli anni Novanta, di cui quello tedesco è un caso di scuola. Nel 1998 la Spd guidata da Schröder prendeva il 41%. Era un’altra Germania rispetto a oggi, quella della riunificazione e dei governi di Npd, epicentro di un’Europa in espansione e non più teatro delle divisioni del dopoguerra.
L’Agenda 2010 che raccoglieva la piattaforma programmatica con cui Schröder aveva conquistato il partito e governato la Germania sino al 2005, aveva come obiettivi la drastica riduzione della spesa sociale, le riforma del fisco e del mercato del lavoro. Obiettivi – come scrisse qualcuno- “devastanti per il suo partito ma miracolosi per il suo Paese”, che a dispetto dello slogan di Jospin (“no alla società di mercato, sì all’economia di mercato”) stavano trasformando la Germania in una “società di mercato”.
Il crollo al 20% della Spd ha dietro anche questa lunga vicenda. È il suggello di una stagione che ha visto la socialdemocrazia perdere il suo blocco sociale, mentre la destra moderata e ordoliberale incassava in patria i dividendi economici e politici delle sue riforme, realizzando in Europa una nuova geografia politica e sociale attorno al programma dell’austerità. Questa nuova geografia sociale riguarda anche la Germania al suo interno, un Paese che avrebbe bisogno di tanti investimenti, che ha un surplus commerciale abnorme e che, pur avendo bassa disoccupazione, è attraversato da profonde fratture sociali e disuguaglianze.
Dopo la scomparsa dei socialisti in Francia, il cambio di rotta della Spd va dunque accolto come una buona notizia. Perché quello è ancora un partito radicato e solido e come il Labour inglese dispone di energie e intelligenze per rifondarsi e affrontare le sfide del tempo presente. Servirà un lungo lavoro di studio e formazione per elaborare un nuovo programma che sancisca la fine della subalternità al pensiero unico della società di mercato. Ma sono certo che dopo il risultato di Corbyn sarà proprio a partire dalla Germania che vedremo finalmente finire la litania del “né di destra né di sinistra”.
Enrico Rossi: E’ finita la litania “né di destra né di sinistra”. Buona notizia cambio di rotta Spd
Nella generale tempesta che attraversa l’Europa e che vede protagonista il socialismo europeo, le elezioni tedesche ci restituiscono almeno due buone notizie. La fine delle larghe intese e la conseguente decisione della Spd per l’alternativa e l’opposizione alla Merkel. Il grande interrogativo riguarda invece il successo di Afd. Occorre cautela nel definire questa forza politica neonazista, tanto più nello stesso paese in cui movimenti islamofobi e formazioni antisemite e d’ispirazione hitleriana come Npd hanno avuto vita difficile, almeno assai più di quanto non accada negli USA e nel resto d’Europa per suprematisti e fascisti di varia estrazione. Il ritorno per la prima volta nel dopoguerra della destra estrema in parlamento rappresenta tuttavia simbolicamente la fine di un ciclo storico che ha tra i suoi punti cardine il crollo del nazismo nel 1945 e il crollo del muro a Berlino nel 1989.
Il successo di questa forza, simile a quello di Le Pen in Francia e di Salvini in Italia, a prescindere dalle sue effettiva solidità, rappresenta una grande questione per la sinistra europea. Settori sociali e del corpo elettorale che erano dediti al non voto o alla disillusione rispetto ai grandi partiti popolari del socialismo democratico sono tornati a votare. Spinti dalla sconfitta sociale, dall’esclusione, dall’immiserimento e dall’assenza di prospettive tanti di questi elettori sono giunti a far proprie idee in cui un tempo non avrebbero mai creduto, arrivando ad individuare nell’immigrato il nuovo nemico di classe. Una falsa coscienza e una nuova egemonia che anzitutto segnala il fallimento del riformismo degli anni Novanta, di cui quello tedesco è un caso di scuola. Nel 1998 la Spd guidata da Schröder prendeva il 41%. Era un’altra Germania rispetto a oggi, quella della riunificazione e dei governi di Npd, epicentro di un’Europa in espansione e non più teatro delle divisioni del dopoguerra.
L’Agenda 2010 che raccoglieva la piattaforma programmatica con cui Schröder aveva conquistato il partito e governato la Germania sino al 2005, aveva come obiettivi la drastica riduzione della spesa sociale, le riforma del fisco e del mercato del lavoro. Obiettivi – come scrisse qualcuno- “devastanti per il suo partito ma miracolosi per il suo Paese”, che a dispetto dello slogan di Jospin (“no alla società di mercato, sì all’economia di mercato”) stavano trasformando la Germania in una “società di mercato”.
Il crollo al 20% della Spd ha dietro anche questa lunga vicenda. È il suggello di una stagione che ha visto la socialdemocrazia perdere il suo blocco sociale, mentre la destra moderata e ordoliberale incassava in patria i dividendi economici e politici delle sue riforme, realizzando in Europa una nuova geografia politica e sociale attorno al programma dell’austerità. Questa nuova geografia sociale riguarda anche la Germania al suo interno, un Paese che avrebbe bisogno di tanti investimenti, che ha un surplus commerciale abnorme e che, pur avendo bassa disoccupazione, è attraversato da profonde fratture sociali e disuguaglianze.
Dopo la scomparsa dei socialisti in Francia, il cambio di rotta della Spd va dunque accolto come una buona notizia. Perché quello è ancora un partito radicato e solido e come il Labour inglese dispone di energie e intelligenze per rifondarsi e affrontare le sfide del tempo presente. Servirà un lungo lavoro di studio e formazione per elaborare un nuovo programma che sancisca la fine della subalternità al pensiero unico della società di mercato. Ma sono certo che dopo il risultato di Corbyn sarà proprio a partire dalla Germania che vedremo finalmente finire la litania del “né di destra né di sinistra”.
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L’intervento di Enrico Rossi è stato pubblicato su Huffington Post Italia
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Nella foto di copertina: Enrico Rossi, cofondatore di Articolo Uno-MDP e Presidente della Toscana
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Enrico Rossi
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