In effetti l’aggettivo “differenziata” ben si concilia con il termine di “autonomia”, perché così come la concepiscono Lombardia, Veneto e, in parte, Emilia Romagna proprio ai rifiuti fa pensare, ad un enorme cumulo di monnezza, come direbbero a Roma. Monnezza che, manco a dirlo, verrebbe smaltita, scaricata nei territori del Paese più disagiati. Cerchiamo di capire di cosa si tratta e quali sono i reali rischi.

Tutto nasce dalla riforma del Titolo V della Costituzione, riforma necessaria perché oggettivamente occorreva chiarire quale fosse il reale ruolo di Regioni, Province e Comuni e quali fossero le loro reali competenze. Sono enti esponenziali delle popolazioni residenti in un determinato territorio e tenuti a farsi carico dei loro bisogni. La riforma ha quindi previsto materie su cui lo Stato esercita una competenza esclusiva, mentre alle Regioni è stata riconosciuta l’autonomia legislativa, ovvero la potestà di dettare norme di rango primario, articolata sui 3 livelli di competenza: esclusiva o piena (le Regioni sono equiparate allo Stato nella facoltà di legiferare); concorrente o ripartita (le Regioni legiferano con leggi vincolate al rispetto dei principi fondamentali, dettati in singole materie, dalle leggi dello Stato); di attuazione delle leggi dello Stato (le Regioni legiferano nel rispetto sia dei principi sia delle disposizioni di dettaglio contenute nelle leggi statali, adattandole alle esigenze locali). In sostanza, sia il colto che l’inclita intuiscono che il ruolo esercitato dalle Regioni dal 2001 ad oggi non è sicuramente marginale.

Ciò che in questi giorni la propaganda leghista cerca di far passare come unico e legittimo obiettivo della richiesta di maggior autonomia, è che i proventi derivanti dalla fiscalità generale prodotti in quelle Regioni, in quelle Regioni, per la quasi totalità, restino. Gli sghèi, i danè, sono miei e me li gestisco io, verrebbe da dire parafrasando una nota parola d’ordine del movimento femminista degli anni ’70.

In realtà, una gran parte di denaro è già gestito dalle regioni.
La finanza locale, infatti, si fonda su 3 pilastri: autonomia impositiva; compartecipazione al gettito di tributi erariali, riferibili al territorio ; finanza straordinaria, costituita da risorse aggiuntive destinate dallo Stato a zone specifiche per sviluppo, crescita, coesione, solidarietà sociale e rimozione di squilibri economici e sociali e, infine, ed è un il pilastro fondamentale a rischio di estinzione, il fondo perequativo per colmare eventuali squilibri tra le Regioni, derivanti dalla diversa capacità fiscale dei territori, e per assicurare gli stessi standard nell’erogazione di alcuni servizi.

Significa che, oltre al principio di sussidiarietà nelle materie in cui vi è competenza concorrente, è stato ribadito il fondamentale diritto di solidarietà che la nostra Costituzione sancisce e riconosce. Così, giusto per ricordarlo a noi tutti, ci sarebbe un articolo della Carta, il 2 per l’esattezza, che reciterebbe testualmente: “La Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Doveri inderogabili! Non occorre essere raffinati costituzionalisti per capire che un simile argomento, condito dai più beceri calcoli elettoralistici, sarebbe spazzato via dalla Corte Costituzionale. La solidarietà, oggi, è un valore negativo, rischia di far perdere voti, ma è un valore irrinunciabile.

Ciò a cui puntano Lombardia e Veneto non è maggiore autonomia, è competenza esclusiva su tutte quelle materie in cui lo Stato ha riservato a sé la competenza a legiferare, alcune di questi civilmente decisive come istruzione e sanità. Se passasse questa richiesta, e il governo gialloverde sembrerebbe ben disposto in tal senso, si avrebbe oggettivamente la presenza di due stati completamente autonomi, seppure non (ancora) sovrani, all’interno dell’Italia.

La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle”.
Era il 2 agosto 1847 quando Metternich usò spregiativamente questa frase per fotografare il nostro Paese.
Il rischio di un salto indietro di oltre due secoli è reale, non solo potenziale.

Come opporsi a tale sciagurato disegno? Cercando di far prevalere la politica sulla demagogia. Avanzare proposte che qualifichino positivamente l’autonomia delle Regioni in modo da realizzare vantaggi diffusi per tutti, non solo per alcuni. L’esempio e la proposta avanzate da Enrico Rossi ritengo siano illuminanti in tal senso, un “regionalismo cooperativo” all’interno del Paese, un rapporto di cooperazione con lo Stato. Se una Regione, ad esempio, ha delle norme più avanzate in un determinato settore, lo Stato deve tutelare e promuovere quelle leggi. Come promuovere insieme la diffusione e la fruizione dei beni culturali e paesaggistici.

Un’ultima annotazione rivolta ai connazionali che votano Lega, in particolare a quelli delle regioni del Nord. Se passasse il disegno di Veneto e Lombardia, tra qualche anno, nelle vostre amene terre, si insedieranno orde di migranti. Non arriveranno dall’Africa, non saranno neri. Avranno la pelle bianca e l’accento simile a quelle centinaia di migliaia di persone che già negli anni ’50 e ’60 ritennero che da quelle parti si campava meglio. Ora, se un giorno la Lega del capitano fosse additata quale causa di drammatici flussi migratori, sarebbe una irresistibile nemesi storica.

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