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Federalismo e territori: l’inspiegabile risveglio autonomista del Pd

Un federalismo che consenta ai territori di compiere scelte autonome nell’interesse dei cittadini e del bene pubblico, con la possibilità di dare risposte da vicino alle esigenze specifiche. È questa l’unica via all’autonomia che riteniamo percorribile, all’interno di un percorso democratico e partecipato che veda le istituzioni protagoniste, nel solco tracciato dalla Costituzione.

È paradossale, o quanto meno inspiegabile, il risveglio autonomista del Partito Democratico che ha deciso di appoggiare i referendum regionali di Veneto e Lombardia proposti dalle due giunte di centrodestra. Solamente nove mesi fa l’allora premier e segretario del Pd Matteo Renzi ha spaccato il paese proponendo una riforma costituzionale che spostava numerose competenze dalle Regioni allo Stato, disegnando un’Italia molto meno federalista di quella prevista dall’articolo 116 della nostra Costituzione.

Una modifica respinta dal 60% degli italiani, che avrebbe aperto conflitti di attribuzione pesantissimi tra Regioni e Stato, non avrebbe eliminato gli squilibri esistenti con gli attuali statuti autonomi e avrebbe ridotto la funzione sussidiaria che ora hanno le amministrazioni regionali a favore di un unico centro decisionale nazionale. Ma nove mesi fa il centralismo lo chiedeva Matteo Renzi e bisognava allinearsi a qualunque costo.

Anche in reazione a quel disegno di modifica costituzionale, i due presidenti di Regione leghisti di Veneto e Lombardia hanno sfidato il Governo proponendo una versione di federalismo anticostituzionale e soprattutto un’operazione di propaganda politica priva di qualsiasi reale ricaduta sul territorio. Zaia e Maroni chiedono ai propri concittadini un’affluenza in massa alle urne in ottobre al solo scopo di rafforzare la propria posizione nella trattativa con il Governo anticipando di qualche mese la campagna elettorale per elezioni politiche nazionali, quando non si esclude che proprio uno di loro potrebbe essere il candidato premier del centrodestra.

Di fronte a queste manovre, dopo alcuni anni in cui l’adesione fideistica alle scelte dei governi nazionali non sempre ha avuto corrispondenza con la tutela degli interessi dei cittadini dell’Emilia Romagna, anche il Pd della nostra regione sembra essere diventato improvvisamente autonomista. Crediamo che a questo punto occorra fare una riflessione più ampia.

La legge 56/14, colpevole di aver depotenziato le Province, è stata e rimane un clamoroso errore politico. Prima si sarebbe dovuto cercare un eventuale avvallo costituzionale attraverso il referendum e non viceversa, evitando di creare una situazione giuridicamente e istituzionalmente imbarazzante, priva di legittimazione democratica. Questa legge ha, inoltre, lasciato ogni Regione libera di riconfigurare i propri assetti locali senza linee guida, generando una moltitudine scomposta di soluzioni diverse a problemi simili, dalla gestione del territorio ai trasporti, fino alla protezione civile. In Emilia Romagna si è optato per un riordino istituzionale spinto, con un forte accentramento delle funzioni sulle strutture regionali, secondo una visione “pro referendaria” che accorpa e allontana le sedi decisionali. Questa configurazione – a cui va comunque riconosciuto il merito di aver salvaguardato l’occupazione e il presidio delle funzioni “primarie” – ora però mostra tutte le sue criticità rispetto a un sistema che rimane a scansione provinciale, come stabilito dalla Costituzione.

In altre Regioni, saggiamente, prima di abbandonare l’assetto di governo fondato sulle Province, si è atteso l’esito del referendum del 4 dicembre. Essere più realisti del re non ha certo reso più efficiente il governo locale.

Il presidente Bonaccini, a capo della conferenza Stato-Regioni, potrebbe autorevolmente guidare un processo coordinato di attuazione dell’articolo 116 della Costituzione capace di valorizzare le autonomie in dialogo con tutte le altre Regioni, senza assecondare il populismo e la superficialità del dibattito attuale. Anzi sorprende come il Governo, che ha saputo cosi prontamente “prendere in carico” i referendum sui voucher, in questo caso non proponga nessuna visione politica integrata e nazionale per avviare una seria e aperta discussione con tutte le Regioni interessate, comprese Lombardia e Veneto. Un processo che non tralasci la possibilità di rivedere anche gli statuti delle Regioni autonome.

Non valgono a nulla le trattative fatte in sordina. È indispensabile invece un atteggiamento inclusivo che, a testa alta, porti la nostra Regione a tutelare i propri servizi e la propria buona amministrazione, qualsiasi sia il Governo in carica.

Silvia Prodi e Mirko Tutino a nome del Coordinamento provinciale di Articolo Uno-MDP di Reggio Emilia

Nella foto di copertina: Silvia Prodi, Enrico Rossi, Mirko Tutino

 

 

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