Il dubbio inconfessabile che serpeggia tra coloro che hanno dato vita ad Art. 1 – MDP è: non è che credevamo di aver trovato il Messia e ci ritroviamo Giuda? Il bacio c’è, beneficiaria Maria Elena Boschi.
Altri indizi? Una presunta ambiguità su alcune scelte politiche che tardano a manifestarsi in maniera chiara e netta, la prima delle quali è assumere la leadership di una forza politica (nuova? Federazione di sigle alla sinistra del PD?) alternativa al PD stesso.
Prima di entrare nel merito, conviene fare una breve cronologia degli avvenimenti e dei fatti politici che ci hanno condotto nell’attuale situazione.
All’indomani delle primarie del 2013 e al successivo cambio della guardia alla guida del Governo, complice il 40% del PD alle Europee l’opposizione interna al PD ha subito la resistibile ascesa di Renzi e delle politiche dell’Esecutivo in maniera passiva, quasi afona. Le principali leggi, quelle che ancora oggi il segretario del PD rivendica, oltre che censurabili nel merito, indicavano nel metodo adottato una netta rottura con prassi politiche consolidate che erano anche la cifra della nostra democrazia. Il coinvolgimento dei corpi sociali intermedi, l’interlocuzione con i destinatari delle riforme, non ha mai significato, come spesso Renzi stesso ha dichiarato, prendere decisioni sotto dettatura (della CGIL in particolare), ma, piuttosto, la necessaria ricerca di possibili mediazioni per trovare delle sintesi efficaci. Il presunto “potere di veto” delle forze sociali è quanto di più falso si sia potuto pensare e dichiarare, e la storia della Repubblica sta lì a dimostrarlo.
Insomma, già allora si realizzò ciò che ancora oggi viene rivendicato orgogliosamente: è il popolo l’unico interlocutore accettato ed accettabile. Ogni livello intermedio, compresi gli organismi di partito anch’essi frutto e risultato delle consultazioni congressuali, ritenuti un inutile orpello, un peso che rischia di rallentare la marcia del leader e della sua idea di società. Una visione sincretica della politica che oggi viene definita “macronista”. Sino a qualche anno fa lo si definiva “peronismo”.
In una situazione del genere la minoranza interna aveva difronte due strade: uscire immediatamente dal PD, oppure costruire attorno ad una figura credibile e condivisa una alternativa programmatica a Renzi. Adottare, in sostanza, il modello del Labour Party. Tertium non datur.
Né l’una, né l’altra scelta furono compiute. Si vaticinava su ipotetici “Belotti” e “Papa straniero” non cogliendo, in questo assunto, una posizione assolutamente speculare al renzismo: costruire un partito intorno ad un leader e non individuare un leader che rendesse credibile un programma. Nel frattempo, sia detto per inciso ma è il caso di denunciarlo chiaramente, poco credito e attenzione si sono stati prestati a chi un programma lo aveva elaborato e attorno ad esso aveva creato una rete di consensi consistente e diffusa: Enrico Rossi. La “generosità” oggi reclamata, all’epoca fu esclusa, diciamo.
Lo schema appena descritto non è stato abbandonato nemmeno dopo la scissione. Art. 1, novello Diogene, ha continuato nella ricerca affannosa “dell’uomo”. Appena scorto all’orizzonte Giuliano e il suo Campo Progressista, sembrava che finalmente si fosse trovata la quadratura del cerchio. A dire la verità l’ansia da prestazione (di Pisapia) fu colta già a Milano in occasione di “Fondamenta” quando, anziché discutere e valorizzare l’ottimo lavoro di Vincenzo Visco e farne la base programmatica del Movimento, eravamo tutti in attesa del Verbo, che arrivò all’ora di pranzo inoltrata.
Quali sono i paletti che Pisapia ha, sostanzialmente, sempre posto? Innanzitutto il non considerare il PD come il proprio nemico. I nemici sono individuati (e ci mancherebbe) nella destra e nei grillini. Con il PD, quindi, occorrerà necessariamente collaborare. Certo, la legge elettorale non è, in questo contesto, una variabile indipendente ma la prospettiva indicata è quella. Manca, tuttavia, nell’analisi e nelle prospettive indicate da Pisapia il “cosa” e, cioè, sulla base di quali scelte quella prospettiva potrà reggersi. Invocare la “discontinuità” con le politiche del passato non è questione irrilevante. Vorrebbe dire chiedere al leader del PD, che sulla base di quelle politiche, anche quelle che sono state sconfitte come la riforma costituzionale, ha riconquistato con una larghissima maggioranza, quasi un plebiscito, la segreteria del suo partito, di sconfessare non solo se stesso ma “tradire” gli stessi elettori e militanti del PD che l’hanno oggettivamente incoraggiato ad andare avanti. E’ un particolare che, ovviamente, non può sfuggire a Pisapia e che, quindi, depotenzia le sue affermazioni. E mentre Pisapia ipotizza alleanze post elezioni e altri inorridiscono al pensiero che possa aver ceduto all’avvenenza della Boschi, il PD “tomo tomo, cacchio cacchio”, avrebbe detto Totò, annuncia per ottobre la sua Conferenza programmatica. Significa che si appresta, nell’area del centrosinistra, a dettare l’agenda politica. Art. 1 avrebbe dovuto farla da tempo e il fatto che sia nato solo qualche mese fa non è una discriminante, è un’aggravante . Perché in tal modo avrebbe sgombrato il campo da ogni speculazione politica circa le reali ragioni della scissione. Avrebbe probabilmente costretto Renzi a riscrivere il suo libro.
Invito, quindi, innanzitutto Giuliano Pisapia, ma anche tutti i leader di MDP a iniziare a confrontarsi su ciò che vorremmo fare per l’Italia e per l’Europa. Sulla base di questo si cercheranno consensi e costruiranno possibili alleanze. Non creda Giuliano e chiunque lo sostiene di essere attrezzato per i miracoli.
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Nella foto di copertina: L’abbraccio Maria Elena Boschi e Giuliano Pisapia alla festa dell’Unità di Milano