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Il centralismo non democratico dei Segretari regionali del PD

Mi ha colpito l’appello all’unità lanciato dai segretari regionali del PD nei giorni scorsi. Nel loro accorato intervento tracciano un quadro sull’avanzata dei populismi nel mondo e sostengono la necessità di mettere in secondo piano la richiesta visibilità dei singoli (che chiedono il congresso) “perché la nostra gente non capirebbe una campagna fatta da chi non rispetta le regole interne“.

Ho spesso condiviso i richiami all’unità ma, al contempo, ho sempre ritenuto, come diceva l’Uomo Ragno, che a grandi poteri corrispondano grandi responsabilità. I segretari regionali non sono iscritti qualunque, sono componenti della Direzione Nazionale del PD e sono coloro che in questi anni hanno sostenuto tutte le iniziative dell’ex Premier – Segretario.

Dov’erano quando a Roma il PD mandava a casa Marino per accuse finite nel nulla? Dov’erano quando sul lavoro, sulla scuola o sulle politiche ambientali si é aperta una frattura insanabile con il nostro elettorato? Dov’erano mentre si mettevano in ginocchio le province, indebolendo le politiche di tutela del territorio dal dissesto idrogeologico e tagliando servizi rilevantissimi per i cittadini? Perché non si sono preoccupati “della nostra gente” quando tra i nostri elettori tante persone chiedevano maggiore confronto sulle riforme? Dov’erano quando nel PD si faceva campagna per l’astensione al referendum sulle trivelle voluto da regioni amministrate dallo stesso PD? E, soprattutto, cosa hanno fatto per evitare che il PD perdesse 3/4 dei propri iscritti?

Io non condivido le minacce di scissione. Mentre condivido pienamente la richiesta di un Congresso. Matteo Renzi dice che la bocciatura da parte di 19 milioni di elettori della riforma costituzionale abbia segnato la fine di una fase politica ed istituzionale e la necessità di avviarsi al più presto a nuove elezioni. Se questo ragionamento fosse corretto, davvero non si comprende per quale ragione non sia terminata la sua fase di gestione del Partito, interamente fondata sui rapporti muscolari, sulle decisioni assunte a maggioranza e sulla totale assenza di un rapporto costruttivo con chi la pensa diversamente. Nessun leader europeo rimarrebbe in carica dopo una sconfitta di questa portata.

Le sconfitte elettorali non vengono dal nulla. Se il 40% ottenuto nel 2014 alle europee é svanito e “la nostra gente” ha perso fiducia, la responsabilità é di chi si é messo contro il proprio elettorato e ne ha deluso le aspettative.

Chi chiede il Congresso vorrebbe discutere della risposta che il più grande Partito della sinistra italiana può dare ai ragazzi assunti per lavori stabili con i voucher, affrontare seriamente il tema del carico fiscale – che negli ultimi anni ha accentuato le disuguaglianze sociali, capire se la tutela dell’ecosistema é ancora una nostra priorità o se vogliamo passare alla storia come quelli che favoriscono trivelle ed oleodotti.

Il Congresso non é un tema per pochi affezionati (anche se ormai gli iscritti sono pochi) e se un Partito non riesce a discutere al proprio interno, difficilmente potrà aprirsi alla società. Cari Segretari regionali, il centralismo democratico funzionava con un Partito che contava un milione e mezzo di iscritti e discuteva in ogni sezione del paese le prospettive dell’Italia. Con la vostra lettera avrete sicuramente l’apprezzamento di chi comanda. Ma la “nostra gente” potrebbe essere già altrove.

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