“Partono i bastimenti, per atenei assai lontani, cantano a bordo e son meridionali”. Solo nell’anno accademico 2016/17 gli studenti che abbandonano le proprie terre per andare a studiare altrove sono 400mila. Un esodo. In gran parte del Mezzogiorno la metà degli universitari emigra fuori dalla propria regione. I porti in cui approdano i “bastimenti” pieni di talenti e speranze sono quelli del Nord e del Lazio. Oggi il testo della famosa canzone di E.A. Mario sui migranti in cerca di fortuna andrebbe aggiornato. Ma l’esercito di giovanissimi che ogni anno salpa da Campania, Sicilia, Basilicata, Puglia, Calabria è parte di un fenomeno molto più ampio, da affrontare prima di subito. Una nuova sinistra ha il dovere di affrontare una rinnovata Questione meridionale.
Dall’analisi dei flussi, effettuata da Skuola.net in base ai dati dell’Anagrafe Nazionale Studenti gestita dal Miur, emerge che le regioni che si svuotano di più sono Puglia, Sicilia e Campania. Dalle terre pugliesi, su 128mila studenti più di 50mila sono fuori sede, divisi fra il Centro e il Nord dello stivale. Quasi la metà. Il numero di siciliani ad andar via è pressappoco lo stesso e si aggira attorno ai 50mila sui 155mila universitari isolani. Per i calabresi il numero in valore assoluto diminuisce, la percentuale aumenta: addirittura il 44% (32mila). In Campania i giovani a far le valigie sono 36mila, fatta eccezione di Napoli, che “perde solo” il 17% dei suoi studenti, ma ne attrae molti dal resto del sud.
A richiamare l’esercito degli aspiranti dottori sono le grandi città del centro-nord. Le regioni che ospitano più studenti sono Lombardia, Lazio e Toscana, anche se l’Emilia Romagna gode di ottima fiducia, soprattutto fra i siciliani. Se il Lazio attira molti universitari del Mezzogiorno per una questione di vicinanza, la Lombardia è la più scelta dai ragazzi italiani. Non è solo il Sud il bacino da cui attingere menti e talenti: dalle altre regioni confinanti il flusso è consistente.
Gli interrogativi sono due, ma la primissima risposta è una sola: perché la risorsa più importante del Mezzogiorno va via? E perché sceglie il Nord del paese o la capitale? Probabilmente per la strutturale mancanza di lavoro al Sud d’Italia. Tutto inizia, si svolge e termina attorno alla più grande emergenza sociale, politica ed economica dal dopoguerra ad oggi. Il lavoro che scarseggia e quello che c’è è spesso mal pagato, ai limiti della schiavizzazione. Certamente l’offerta formativa e il sistema universitario (in tutta Italia) va ripensato, ma tradizioni accademiche e flussi migratori non possono essere letti senza le opportunità occupazionali del dopo laurea. Soprattutto per i poli universitari scientifici. Anche se la questione non può e non deve ridursi, come è ovvio, alla tematica dell’occupazione. Ciò che preoccupa, infatti, non è la transumanza studentesca quanto il fatto che il verso sia sempre e solo unidirezionale: dal Sud a Nord.
Perché, se è vero che vanno combattuti politicamente i venti dell’indipendentismo irrazionale ed egoista del voto leghista, allo stesso tempo dovremmo tendere ad una società aperta e senza confini, nella quale non solo sarebbe auspicabile che uno studente meridionale sia motivato a restare nella terra che lo ha reso un cittadino attivo e partecipe, ma si dovrebbe poter sperare anche che uno studente del Nord possa essere invogliato a frequentare un Ateneo del Sud che, magari, ha una sua antica e nobile tradizione da esibire. Ciò che, in qualche caso speciale, già avviene. Utopia? Perché no.
Il grande esodo degli universitari del sud: la metà studia al nord
“Partono i bastimenti, per atenei assai lontani, cantano a bordo e son meridionali”. Solo nell’anno accademico 2016/17 gli studenti che abbandonano le proprie terre per andare a studiare altrove sono 400mila. Un esodo. In gran parte del Mezzogiorno la metà degli universitari emigra fuori dalla propria regione. I porti in cui approdano i “bastimenti” pieni di talenti e speranze sono quelli del Nord e del Lazio. Oggi il testo della famosa canzone di E.A. Mario sui migranti in cerca di fortuna andrebbe aggiornato. Ma l’esercito di giovanissimi che ogni anno salpa da Campania, Sicilia, Basilicata, Puglia, Calabria è parte di un fenomeno molto più ampio, da affrontare prima di subito. Una nuova sinistra ha il dovere di affrontare una rinnovata Questione meridionale.
Dall’analisi dei flussi, effettuata da Skuola.net in base ai dati dell’Anagrafe Nazionale Studenti gestita dal Miur, emerge che le regioni che si svuotano di più sono Puglia, Sicilia e Campania. Dalle terre pugliesi, su 128mila studenti più di 50mila sono fuori sede, divisi fra il Centro e il Nord dello stivale. Quasi la metà. Il numero di siciliani ad andar via è pressappoco lo stesso e si aggira attorno ai 50mila sui 155mila universitari isolani. Per i calabresi il numero in valore assoluto diminuisce, la percentuale aumenta: addirittura il 44% (32mila). In Campania i giovani a far le valigie sono 36mila, fatta eccezione di Napoli, che “perde solo” il 17% dei suoi studenti, ma ne attrae molti dal resto del sud.
A richiamare l’esercito degli aspiranti dottori sono le grandi città del centro-nord. Le regioni che ospitano più studenti sono Lombardia, Lazio e Toscana, anche se l’Emilia Romagna gode di ottima fiducia, soprattutto fra i siciliani. Se il Lazio attira molti universitari del Mezzogiorno per una questione di vicinanza, la Lombardia è la più scelta dai ragazzi italiani. Non è solo il Sud il bacino da cui attingere menti e talenti: dalle altre regioni confinanti il flusso è consistente.
Gli interrogativi sono due, ma la primissima risposta è una sola: perché la risorsa più importante del Mezzogiorno va via? E perché sceglie il Nord del paese o la capitale? Probabilmente per la strutturale mancanza di lavoro al Sud d’Italia. Tutto inizia, si svolge e termina attorno alla più grande emergenza sociale, politica ed economica dal dopoguerra ad oggi. Il lavoro che scarseggia e quello che c’è è spesso mal pagato, ai limiti della schiavizzazione. Certamente l’offerta formativa e il sistema universitario (in tutta Italia) va ripensato, ma tradizioni accademiche e flussi migratori non possono essere letti senza le opportunità occupazionali del dopo laurea. Soprattutto per i poli universitari scientifici. Anche se la questione non può e non deve ridursi, come è ovvio, alla tematica dell’occupazione. Ciò che preoccupa, infatti, non è la transumanza studentesca quanto il fatto che il verso sia sempre e solo unidirezionale: dal Sud a Nord.
Perché, se è vero che vanno combattuti politicamente i venti dell’indipendentismo irrazionale ed egoista del voto leghista, allo stesso tempo dovremmo tendere ad una società aperta e senza confini, nella quale non solo sarebbe auspicabile che uno studente meridionale sia motivato a restare nella terra che lo ha reso un cittadino attivo e partecipe, ma si dovrebbe poter sperare anche che uno studente del Nord possa essere invogliato a frequentare un Ateneo del Sud che, magari, ha una sua antica e nobile tradizione da esibire. Ciò che, in qualche caso speciale, già avviene. Utopia? Perché no.
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Mariano Paolozzi
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