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Il metodo contro la follia

La campagna elettorale peggiora i comportamenti. Di tutti. Si assiste ad una sorta di follia collettiva, consistente nel fare una gara a chi spara la promessa più grossa, senza preoccuparsi della realizzabilità di quello che si promette ed anzi – ed è questo il male peggiore – spesso sapendo a priori che non si potrà fare quello che si dice, o che per farlo si andrà incontro a conseguenze peggiori del male che si dice di voler abbattere, quale che sia. Sarebbe il caso di sottrarsi a questo impazzimento, ed opporre ad esso una “logica” che sia “sociale“: cioè un criterio di razionalità nell’individuare il reperimento delle risorse e la loro quantificazione (come e quanto si può trovare) e poi, a valle di questo, una scelta dei settori sui quali intervenire in modo prioritario ispirata alle esigenze sociali più stringenti ed al massimo “coefficiente moltiplicatore” ottenibile (secondo una vecchia metafora, più che regalare pesci, o soldi per comprarli, è meglio distribuire canne da pesca ed investire dei fondi per insegnare a pescare, perché la seconda opzione assicurerà una ricaduta più ampia e ripagherà l’investimento con effetti aggiuntivi, con maggiore sollievo sociale rispetto a quello che deriverebbe dalla regalia pura e semplice di beni consumabili o di soldi individualmente spendibili, come è stato ripetutamente fatto dagli ultimi Governi).

L’Italia – checché ne dicano gli ambienti governativi e quelli che fanno capo a Rignano sull’Arno e dintorni – soffre di vari mali, dai quali è ben lontana dall’essere uscita, ed anzi in molti casi non ha nemmeno imboccato la via dell’uscita. Se ne possono citare alcuni senza volere, in questa sede, stabilire una gerarchia fra di essi: la mancanza di lavoro “buono” e la precarietà che molto spesso lo caratterizza; la povertà diffusa; lo stato talvolta comatoso dell’istruzione e della ricerca; l’assenza di piani nazionali sia nel settore industriale che in quello energetico che in quello idrogeologico che in quello sismico, e così via; in generale, una progettualità di ampio respiro e di medio-lungo termine. Quello che è lecito aspettarsi da una forza politica che aspiri ad essere, come deve, responsabile e credibile, non è l’inseguimento del metodo delle promesse (la corsa a chi spara più in alto è bene lasciarla ad altri) ma la stesura “partecipata” sia di un metodo di reperimento di risorse – dove possano essere ricercate e trovate ed a quanto esse possano ammontare: luoghi e cifre precisi, non formulazioni vaghe e generiche – che di un progetto chiaro e verificabile di intervento nei settori e sui temi che vengano considerati più urgenti e di maggiore rilevanza sociale. E soprattutto, ogni intervento deve essere “mirato” (anche le distribuzioni “a pioggia” è bene lasciarle ad altri: ne abbiamo viste tante, in questi anni), con criteri chiari e socialmente giustificati (dare benefici a chi ne ha bisogno, non estenderli anche a fasce sociali che sono in grado di farvi fronte da sole, grazie alle loro condizioni di ricchezza o di reddito: come, per dire, il “bonus” ai diciottenni anche se figli di famiglie ricche o benestanti; o l’abolizione della tassa sulla prima casa anche per chi dispone di redditi medio-alti; e via esemplificando).

Perciò, con la franchezza che si usa con gli amici, è bene consigliare di non fare promesse che non rispondano alle logiche pur sommariamente indicate, anche se riguardano settori che sono realmente in sofferenza: meglio usare il metodo che rischiare di farsi trascinare dalla follia (anche Amleto sarebbe stato d’accordo).

Nella foto: Silvio Berlusconi, Luigi Di Maio, Matteo Renzi, Matteo Salvini

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