Come da molti è stato rilevato, in pochissimi giorni Renzi, da segretario del Pd, ha creato due gravissimi imbarazzi al Presidente del Consiglio (che è, come si sa, del suo stesso partito) ed ai massimi vertici istituzionali (compresa la Presidenza della Repubblica), prima inducendo Gentiloni – che aveva ripetutamente affermato ed assicurato che non lo avrebbe mai fatto – a chiedere la fiducia sulla legge elettorale (una procedura criticata praticamente da tutti, anzitutto perché in dissonanza, se non in contrasto, con quanto stabilito dall’art. 72 della Costituzione e dal Regolamento della Camera, ed anche perché politicamente inopportuna) e poi con quell’uscita almeno improvvida – nella forma di mozione del Pd, ma in tutta evidenza voluta dal suo segretario – sulle decisioni, che competono ai Presidenti del Consiglio e della Repubblica, da assumere per il rinnovo del vertice della Banca d’Italia; mozione che è stata duramente criticata con note evidentemente ispirate dal Presidente Mattarella, nonché da fonti governative e perfino da qualche esponente parlamentare di rilievo dello stesso Pd (anche l’ex Presidente Napolitano, per lungo tempo “padrino” di Renzi – ma ormai puntualmente critico verso di lui, evidentemente per aver capito il male che quel “pupillo” ha fatto all’Italia -, ha sprezzantemente definito “deplorevole“, rifiutandosi di parlarne, quella presa di posizione sulla Banca Centrale).

Come si spiega questo “furore” renziano, che sembra voler spaccare tutto, incurante anche delle norme di “galateo istituzionale“, che nella vecchia DC non sarebbero mai state così platealmente calpestate? Io credo che questi comportamenti siano dovuti alla benché tardiva comprensione, da parte di Renzi (anche se lui si guarda bene dall’ammetterlo, ed anzi dà mostra di essere fortemente impegnato per la campagna elettorale), di non avere più alcuna chance, per mancanza di “numeri” aritmetici e di alleati politici sufficienti, di arrivare alla Presidenza del Consiglio, che è l’unica cosa che veramente gli interessa (nemmeno la segreteria del partito lo soddisfa, se non serve a portarlo al vertice del Governo: è un uomo come pochi altri assetato di potere, ma di potere vero, quello che gli consente di fare e disfare e non solo di “chiacchierare“); e perciò – novello caimano morettiano, ulteriore conferma della sua stretta somiglianza al signore di Arcore, che ispirò la metafora di quel film ormai di culto – tende ad incendiare tutto ciò che resta alle sue spalle, sia per il gusto cinico di lasciare solo macerie bruciate a chi verrà dopo di lui, sia per conquistarsi la posizione di leader riconosciuto del terzo polo populista, comportamento che sta tutto nel suo patrimonio genetico politico, della quale evidentemente pensa di potersi avvalere dopo le elezioni politiche prossime. Da tempo, d’altra parte, un acuto osservatore e studioso come Marco Revelli ha definito, con pagine di estrema chiarezza del suo ultimo “Populismo 2.0“, Matteo Renzi un “populista dall’alto: un populista un po’ di lotta ed un po’ di governo, un po’ di telepopulismo berlusconiano ed un po’ di populismo anticasta di stampo leghista“. Da questo populismo nei fatti, benché smentito a parole (Renzi sostiene anzi di essere, lui ed il suo Pd, “l’unico argine al populismo“: il senso del ridicolo non trova molto spazio, in lui), discendono le “picconate” renziane di questi giorni, che è prevedibile assumeranno toni ancora più esagitati se, come è possibile ed anzi probabile, le prossime elezioni siciliane segneranno un altro smacco – l’ennesimo, dato che, tranne che nel maggio 2014, ha sempre preso batoste – per il deludente giovanotto di Rignano, destinato a rimanere sempre più isolato, finché non sarà messo definitivamente da parte. Chi è causa del suo mal (e dell’altrui, purtrppo)…

Nella foto di copertina: Matteo Renzi

Commenti