Renzi Emiliano

Il Pd alle crociate

“Cedete lo passo”.
“Cedete lo passo tu!”.
“No è a te cedere, Io sono cavaliere”
“Et io chi sono? Non le vedi le mie truppe?”

E’ l’esilarante ed indimenticabile dialogo tra Gianmaria Volontè e Vittorio Gassman, nell’altrettanto indimenticabile “L’Armata Brancaleone” di Mario Monicelli. L’irruento annuncio della (probabile) discesa in campo dell’altrettanto irruento Governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano, lo richiama alla mente. Per chi, invece, dovesse amare i film d’azione, “Highlander” proporrebbe lo stesso schema: uno solo sopravvivrebbe, dopo l’immancabile singolar tenzone tra lo stesso Emiliano e Matteo Renzi. Ma è uno schema di comodo. O meglio, uno schema che, oggettivamente, fa comodo ad entrambi. A Renzi, e a coloro che lo sostengono, per alimentare e confermare la tesi che un eventuale congresso, prima delle elezioni, altro non sarebbe che una cruenta e suicida conta tra personalità contrapposte. A Emiliano, per tentare di far quadrato intorno alla sua figura, rappresentandola come l’unica in grado di battere Renzi.
Due, bisogna riconoscerlo, straordinari animali politici ma assolutamente speculari: nella narrazione di entrambi il PD è solo uno strumento per legittimare le proprie ambizioni personali.
Renzi ha bisogno di guidare il Partito perché ritiene sia l’unica garanzia possibile per non essere fatto fuori politicamente. Emiliano, che questa paura conferma con le sue dichiarazioni, allo stesso modo ha bisogno del Partito per tentare nuove strade e avventure politiche.
Specularità che si manifesta anche in altro. Entrambi hanno dimostrato di non aver alcun interesse, capacità e volontà sincera, di ricostruire il PD, sia a livello nazionale che regionale. Renzi ha bisogno delle minacce di scissione per usarle come arma politica contro i suoi oppositori interni, Emiliano ha bisogno delle minacce di scissione per usarle come arma politica contro Renzi. A Renzi farebbe comodo avere un solo sfidante, per vincere l’inevitabile referendum interno; a Emiliano farebbe comodo essere l’unico sfidante, per accreditarsi, nel partito e nel Paese come l’unica alternativa a Renzi. In questo duello poco rusticano, la proposta politica è assente. Risultano, al contrario, ben presenti ed evidenti, tatticismi politicisti, dove si dà ragione (a parole) un po’ a tutto e a tutti, contraddicendo se stessi. Completamente assenti, contenuti ideali e programmatici. E anche laddove fossero accennati, non può sfuggire la circostanza che in un partito plurale come quello Democratico, esistono più profili ideali, più opzioni e priorità programmatiche, nessuna delle quali potrà trovare sintesi nelle altre in caso di primarie e voto a giugno. Questo sì sarebbe un bagno di sangue e una iattura per il PD e per il Paese. Il PD si ritroverebbe con una classe dirigente dilaniata e monca, la maggioranza della quale sarebbe, di fatto, espressione della fedeltà al candidato premier, chiunque esso sia. Una classe dirigente, quindi, probabilmente non all’altezza delle sfide impegnativa che attendono Italia ed Europa. Ostinarsi a rifiutare con argomentazioni spesso speciose l’ipotesi del Congresso, ha dell’incredibile, rasenta l’irresponsabilità. Perché la possibilità di confronto tra diverse, ma non opposte, visioni del partito e di come rispondere ai bisogni più urgenti della società, dovrebbero essere un rischio? O quanto meno un rischio maggiore di primarie ed elezioni vista la situazione in cui versiamo. Perché la ricerca di un confronto che renda meno sfumati e più identificabili i tratti di un partito dovrebbe produrre apocalittici bagni di sangue? Perché l’occasione per discutere e correggere, finalmente, alcune regole insensate che governano il PD, come l’identificazione tra segretario e candidato premier, dovrebbero provocare drammatiche ed insanabili spaccature. Perché non si ha coscienza dell’urgenza di ricostruire una comunità, l’unica arma efficace per combattere destre populiste e reazionarie, proprio perché coesa e motivata alla lotta politica?

Perché? E’ solo una domanda ingenua o in realtà siamo difronte all’ennesima puntata di “House of the card”, all’ennesimo scontro tattico tra visioni di potere? L’unità la si costruisce non con dichiarazioni che la richiamano, ma con atti politici chiari che vadano in quella direzione. La responsabilità principale di questi atti è, ovviamente, di Renzi. La responsabilità degli altri possibili e probabili candidati è cogliere le eventuali aperture verso il dialogo, valutarle e (possibilmente) smetterla di insultarsi. A sinistra, un tempo, anche l’educazione era un valore.

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