In quella che somiglia moltissimo ad una seduta collettiva di autoanalisi, a sinistra, soprattutto dalle parti di quel che resta di LeU e poco o nulla ancora nel PD, ci si interroga sulle cause di un risultato elettorale disastroso. Alcune colgono parzialmente nel segno, ma non lo spiegano compiutamente e convincentemente. Altre le trovo non solo ingenerose, ma irricevibili. Chi scrive notoriamente non è mai stato “bersaniano” o “dalemiano” ma indicare nella presunta sovraesposizione mediatica dei due politici uno dei motivi principali della débacle mi pare il tentativo di nascondere la polvere sotto il tappeto, quando sarebbero necessarie le pulizie di Pasqua. Se poi queste critiche arrivano da chi si è assicurato collegi in cui saremmo riusciti a far eleggere persino il cavallo di Caligola, è naturale reagire chiedendo a tutti costoro, nessuno escluso, di fare un umile e doveroso passo di lato. Ma questa è questione che dovrà essere senz’altro valutata e approfondita se e quando nascerà un nuovo soggetto politico e si porrà la scelta della leadership.
Ora il problema immediato è un altro e cioè interrogarsi seriamente se un nuovo soggetto politico serve davvero e, eventualmente, di quale identità e basi programmatiche e ideali dotarsi. Chi sceglie di rappresentare e con chi, forze politiche e sociali, interloquire. I tempi sono strettissimi, già il prossimo anno ci saranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo ma ancora prima, nella prossima primavera, appuntamenti amministrativi importanti.
Possiamo confidare che nel buio pesto in cui siamo precipitati, potremo dare e darci una nuova speranza, sperare in un raggio di sole? E’ come avere, alle nostre latitudini, il sole a mezzanotte. Impossibile, probabilmente. Ma come ricordavo, citando Reichlin in un precedente articolo (Alfredo, Alfredo) , è tempo di pensare all’impossibile per ottenere il possibile.
Questo obiettivo potrebbe essere raggiungibile se in primo luogo si smetterà di leggere i risultati elettorali come qualcosa di contingente. Quel che secondo me è venuta a compimento è quella immensa onda lunga che si manifestò già alle scorse elezioni politiche e si ingrossò con il referendum costituzionale del 4 dicembre di due anni fa. Proprio quest’ultimo fu letto in maniera sbagliatissima e speculare tanto da Renzi, quanto da chi quella riforma osteggiò. Il primo credeva (e crede ancora, visto che rimpiange il fatto di non essere andato al voto subito dopo le sue dimissioni e la caduta del suo governo) che il 40% di elettori del Sì potessero ascriversi alla sua persona e alle sue politiche. Di contro, tra quelli che da sinistra avevano fatto campagna per il No, cresceva la convinzione, rivelatasi illusione, che quel risultato fosse il viatico per rompere gli argini, mettere definitivamente da parte la leadership di Renzi e ripartire. Eventualmente anche fuori dal PD. In realtà, a quel 60% contrario alla riforma costituzionale, della riforma della Costituzione e, probabilmente, della Costituzione stessa non interessava una beneamata cippa! Fu anche quello uno straordinario e non compreso voto di protesta. Oramai, qualsiasi cosa provenisse dal “Palazzo”, mai sentito così lontano e ostile come in questa fase storica, veniva percepito come funzionale ad una casta di politici autoreferenziali e tendenti all’autoconservazione.
Quel 60% aveva stritolato tutta la sinistra, non solo il PD. Partito, si aggiunga, che si era sino ad allora crogiolato ed illuso sul risultato elettorale delle europee del 2014, trascurando di valutare appieno la circostanza che l’affluenza alle urne fu la più bassa della storia della Repubblica in consultazioni elettorali a carattere generale. In quell’occasione, temo, l’onda si ritirò nel bosco ritenendo quel tipo di elezioni poco “attrattive” e determinanti per le sorti personali e del Paese.
L’onda lunga, lo tsunami hanno esaurito la loro forza propulsiva (e speriamo non distruttiva), hanno raggiunto il loro apice? Dipende da come la sinistra sarà capace di rispondere. Ad oggi gli atteggiamenti assunti sono onestamente poco incoraggianti. Dividersi su quanta sinistra c’è nel Movimento 5 Stelle sinceramente mi fa sorridere. I milioni di ex elettori che lo hanno votato non lo hanno fatto per la bontà delle sue proposte programmatiche, che probabilmente ignorano del tutto o quanto meno nella loro reale portata ( quanti, ad esempio, sanno che il famoso “reddito di cittadinanza” sarà accordato solo a certe condizioni e finanziato in deficit ammesso che altre condizioni si realizzino?), ma perché hanno voluto punire pesantemente la sinistra. Tutta la sinistra, ritenuta, ovunque e comunque si manifestasse, come inaffidabile e lontana. Solo così si spiega il vastissimo consenso a Di Maio da parte degli operai dell’Ilva di Taranto, stabilimento che i 5S vorrebbero chiudere! PD e più marginalmente LeU, vista l’esigua consistenza della forza parlamentare di questi ultimi, dovrebbero semplicemente avanzare delle proposte di governo per loro irrinunciabili e sulla base di queste valutare la disponibilità dei pentastellati ad inserirle nella loro eventuale agenda di governo. Solo allora si potrà valutare l’ipotesi se sostenere o meno un loro esecutivo. Ad oggi tutti gli altri discorsi sono un noioso ed inutile esercizio di strategie politiche costruite sul nulla.
Meglio concentrare risorse fisiche ed intellettuali su altro. E l’altro è di rifondare la sinistra su basi completamente nuove e, su questo, i tempi del PD e di LeU non coincidono. Il Partito Democratico è destinato ad una non breve fase di discussione i cui esiti non sono affatto scontati circa la possibilità che imbocchi la strada di una vera e propria discontinuità con il passato. Non solo con il recente, ma con tutta la sua storia e le ambiguità ancora irrisolte. Liberi e Uguali potrà aiutare in qualche modo il centrosinistra a risollevarsi se riuscirà a farsi carico da subito di indicare un orizzonte chiaro verso cui muoversi. Se nascerà un nuovo Partito del Lavoro, dovrà nascere in tempi stretti e con prospettive chiare, superando anche le sue di ambiguità.
In Europa, giusto per fare un esempio, i nostri interlocutori chi dovrebbero essere, il PSE o Tsipras? E’ necessaria ed urgente una riforma dello Stato e delle Istituzioni? Quali proposte avanzare al Paese in questo senso? Immaginare, per dirne solo una, un sistema istituzionale basato sul monocameralismo, con l’abolizione totale del Senato, e un numero di Parlamentari non superiore a 400, non significa fare i grillini fuori tempo massimo, quanto piuttosto tornare a studiare e scoprire che questa era la proposta contenuta nella relazione di minoranza della Commissione Bozzi: 1982! Identità, valori, rappresentanza sociale, idea di democrazie e di Stato, interlocutori politici, devono nascere da una rinnovata capacità di studio della realtà attuale e del futuro che si annuncia individuando strumenti adeguati per governarlo ed evitare, come è avvenuto, di farsi travolgere. In questo quadro la leadership non potrà essere una variabile indipendente. Non solo non compromessa né “ammaccata” dall’insuccesso elettorale, ma capace di guidare il processo di rifondazione e di ricomposizione, in prospettiva, del centrosinistra. Perché una cosa spero sia chiara: non coinvolgere anche il PD in questo processo, rischia di condannarci all’assoluta marginalità. E noi di tutto abbiamo bisogno, tranne che di una nuova forza tanto identitaria, quanto irrilevante.
Il sole a mezzanotte
In quella che somiglia moltissimo ad una seduta collettiva di autoanalisi, a sinistra, soprattutto dalle parti di quel che resta di LeU e poco o nulla ancora nel PD, ci si interroga sulle cause di un risultato elettorale disastroso. Alcune colgono parzialmente nel segno, ma non lo spiegano compiutamente e convincentemente. Altre le trovo non solo ingenerose, ma irricevibili. Chi scrive notoriamente non è mai stato “bersaniano” o “dalemiano” ma indicare nella presunta sovraesposizione mediatica dei due politici uno dei motivi principali della débacle mi pare il tentativo di nascondere la polvere sotto il tappeto, quando sarebbero necessarie le pulizie di Pasqua. Se poi queste critiche arrivano da chi si è assicurato collegi in cui saremmo riusciti a far eleggere persino il cavallo di Caligola, è naturale reagire chiedendo a tutti costoro, nessuno escluso, di fare un umile e doveroso passo di lato. Ma questa è questione che dovrà essere senz’altro valutata e approfondita se e quando nascerà un nuovo soggetto politico e si porrà la scelta della leadership.
Ora il problema immediato è un altro e cioè interrogarsi seriamente se un nuovo soggetto politico serve davvero e, eventualmente, di quale identità e basi programmatiche e ideali dotarsi. Chi sceglie di rappresentare e con chi, forze politiche e sociali, interloquire. I tempi sono strettissimi, già il prossimo anno ci saranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo ma ancora prima, nella prossima primavera, appuntamenti amministrativi importanti.
Possiamo confidare che nel buio pesto in cui siamo precipitati, potremo dare e darci una nuova speranza, sperare in un raggio di sole? E’ come avere, alle nostre latitudini, il sole a mezzanotte. Impossibile, probabilmente. Ma come ricordavo, citando Reichlin in un precedente articolo (Alfredo, Alfredo) , è tempo di pensare all’impossibile per ottenere il possibile.
Questo obiettivo potrebbe essere raggiungibile se in primo luogo si smetterà di leggere i risultati elettorali come qualcosa di contingente. Quel che secondo me è venuta a compimento è quella immensa onda lunga che si manifestò già alle scorse elezioni politiche e si ingrossò con il referendum costituzionale del 4 dicembre di due anni fa. Proprio quest’ultimo fu letto in maniera sbagliatissima e speculare tanto da Renzi, quanto da chi quella riforma osteggiò. Il primo credeva (e crede ancora, visto che rimpiange il fatto di non essere andato al voto subito dopo le sue dimissioni e la caduta del suo governo) che il 40% di elettori del Sì potessero ascriversi alla sua persona e alle sue politiche. Di contro, tra quelli che da sinistra avevano fatto campagna per il No, cresceva la convinzione, rivelatasi illusione, che quel risultato fosse il viatico per rompere gli argini, mettere definitivamente da parte la leadership di Renzi e ripartire. Eventualmente anche fuori dal PD. In realtà, a quel 60% contrario alla riforma costituzionale, della riforma della Costituzione e, probabilmente, della Costituzione stessa non interessava una beneamata cippa! Fu anche quello uno straordinario e non compreso voto di protesta. Oramai, qualsiasi cosa provenisse dal “Palazzo”, mai sentito così lontano e ostile come in questa fase storica, veniva percepito come funzionale ad una casta di politici autoreferenziali e tendenti all’autoconservazione.
Quel 60% aveva stritolato tutta la sinistra, non solo il PD. Partito, si aggiunga, che si era sino ad allora crogiolato ed illuso sul risultato elettorale delle europee del 2014, trascurando di valutare appieno la circostanza che l’affluenza alle urne fu la più bassa della storia della Repubblica in consultazioni elettorali a carattere generale. In quell’occasione, temo, l’onda si ritirò nel bosco ritenendo quel tipo di elezioni poco “attrattive” e determinanti per le sorti personali e del Paese.
L’onda lunga, lo tsunami hanno esaurito la loro forza propulsiva (e speriamo non distruttiva), hanno raggiunto il loro apice? Dipende da come la sinistra sarà capace di rispondere. Ad oggi gli atteggiamenti assunti sono onestamente poco incoraggianti. Dividersi su quanta sinistra c’è nel Movimento 5 Stelle sinceramente mi fa sorridere. I milioni di ex elettori che lo hanno votato non lo hanno fatto per la bontà delle sue proposte programmatiche, che probabilmente ignorano del tutto o quanto meno nella loro reale portata ( quanti, ad esempio, sanno che il famoso “reddito di cittadinanza” sarà accordato solo a certe condizioni e finanziato in deficit ammesso che altre condizioni si realizzino?), ma perché hanno voluto punire pesantemente la sinistra. Tutta la sinistra, ritenuta, ovunque e comunque si manifestasse, come inaffidabile e lontana. Solo così si spiega il vastissimo consenso a Di Maio da parte degli operai dell’Ilva di Taranto, stabilimento che i 5S vorrebbero chiudere! PD e più marginalmente LeU, vista l’esigua consistenza della forza parlamentare di questi ultimi, dovrebbero semplicemente avanzare delle proposte di governo per loro irrinunciabili e sulla base di queste valutare la disponibilità dei pentastellati ad inserirle nella loro eventuale agenda di governo. Solo allora si potrà valutare l’ipotesi se sostenere o meno un loro esecutivo. Ad oggi tutti gli altri discorsi sono un noioso ed inutile esercizio di strategie politiche costruite sul nulla.
Meglio concentrare risorse fisiche ed intellettuali su altro. E l’altro è di rifondare la sinistra su basi completamente nuove e, su questo, i tempi del PD e di LeU non coincidono. Il Partito Democratico è destinato ad una non breve fase di discussione i cui esiti non sono affatto scontati circa la possibilità che imbocchi la strada di una vera e propria discontinuità con il passato. Non solo con il recente, ma con tutta la sua storia e le ambiguità ancora irrisolte. Liberi e Uguali potrà aiutare in qualche modo il centrosinistra a risollevarsi se riuscirà a farsi carico da subito di indicare un orizzonte chiaro verso cui muoversi. Se nascerà un nuovo Partito del Lavoro, dovrà nascere in tempi stretti e con prospettive chiare, superando anche le sue di ambiguità.
In Europa, giusto per fare un esempio, i nostri interlocutori chi dovrebbero essere, il PSE o Tsipras? E’ necessaria ed urgente una riforma dello Stato e delle Istituzioni? Quali proposte avanzare al Paese in questo senso? Immaginare, per dirne solo una, un sistema istituzionale basato sul monocameralismo, con l’abolizione totale del Senato, e un numero di Parlamentari non superiore a 400, non significa fare i grillini fuori tempo massimo, quanto piuttosto tornare a studiare e scoprire che questa era la proposta contenuta nella relazione di minoranza della Commissione Bozzi: 1982! Identità, valori, rappresentanza sociale, idea di democrazie e di Stato, interlocutori politici, devono nascere da una rinnovata capacità di studio della realtà attuale e del futuro che si annuncia individuando strumenti adeguati per governarlo ed evitare, come è avvenuto, di farsi travolgere. In questo quadro la leadership non potrà essere una variabile indipendente. Non solo non compromessa né “ammaccata” dall’insuccesso elettorale, ma capace di guidare il processo di rifondazione e di ricomposizione, in prospettiva, del centrosinistra. Perché una cosa spero sia chiara: non coinvolgere anche il PD in questo processo, rischia di condannarci all’assoluta marginalità. E noi di tutto abbiamo bisogno, tranne che di una nuova forza tanto identitaria, quanto irrilevante.
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Luigi Pizzolo
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