
“Integrati” o “tormentati”: come discutere con gli elettori (o ex-elettori) del PD
In un precedente articolo (http://www.largine.it/index.php/il-narcisimo-politico-come-si-manifesta-e-come-curarlo/), ho iniziato l’analisi di alcune peculiari fenomeni che si sviluppano durante le campagne elettorali: “figure” dei discorsi che si ascoltano e si propagano, atteggiamenti, schemi ricorrenti: in breve, alcuni “personaggi-tipo” in cui ci si imbatte in queste settimane e alcune “psico-patologie” politiche che si manifestano specialmente in questi periodi. Dopo aver descritto la sindrome che affligge alcuni elettori di sinistra (il “narcisismo politico”), in questo articolo vorrei dedicarmi invece agli elettori del PD e, in particolare, ai (potenziali) ex-elettori del PD. Interlocutori di particolare interesse, evidentemente, per coloro che intendono sostenere la lista “Liberi e Uguali”.
Possiamo intanto distinguere due grandi categorie: gli “integrati” e i “tormentati”.
Gli “integrati” sono il prodotto più puro degli anni del renzismo. Come mostrano molte indagini sulla popolarità dei leader, Renzi è un capo molto “divisivo”: molto amato (da alcuni), molto detestato da tutti gli altri. Già questo dato, porta ad escludere che Renzi possa essere definito come un grande politico, e men che meno come un grande statista: questi ultimi, per definizione, sono quei leader che riescono ad ottenere ascolto e rispetto anche dai cittadini di opposte e diverse convinzioni politiche. Ma qui non è necessario sviluppare questo lato del discorso. Piuttosto, sono da rilevare gli effetti che tutto ciò produce in alcuni elettori-militanti del PD: una sorta di “coazione a ripetere”, la rottamazione come pratica compulsiva, fino alle estreme conseguenze. Perinde ac cadaver, si potrebbe dire: una fedeltà, e una propensione all’obbedienza, che non conosce dubbi. Potete starne certi, poi: se vi capita di incontrare questo personaggio, prima o poi, a un certo punto, salta fuori il nome di D’Alema (come peraltro suggerisce il Capo, che fa frequente uso di una particolare figura retorica: la sineddoche, “la parte per il tutto”, “il partito di D’Alema”, per indicare LeU). D’Alema come la sentina di ogni vizio, ricettacolo di ogni nefandezza politica, un diabolus da esorcizzare.
Va da sé, con questi interlocutori è difficile discutere razionalmente, anche in un periodo di particolare agonismo dialettico, come è una campagna elettorale. Questi elettori temono le “dissonanze cognitive”: ossia rimuovono tutto ciò che non vogliono sentirsi dire e che potrebbe incrinare la loro corazza di certezze. Il mio consiglio, perciò, è il seguente: non perdete tempo con loro. Se mai una qualche redenzione sarà possibile, ciò accadrà in modo catastrofico, quando emergerà il vortice di perdizione a cui li sta portando la condotta del Capo.
Molto più complesso il caso degli elettori del PD che possiamo definire “tormentati”. Qui la sintomatologia è molto dolorosa: una profonda depressione, ma anche una difficoltà tragica a rompere i legami con il passato. L’idea che si possa “tradire” con il proprio voto il partito a cui si è stati affettivamente legati per molto tempo, – un partito sentito ancora come l’erede dei propri padri e nonni (specie nelle “zone rosse”) – appare come uno strappo lancinante con il proprio Sé. Razionalmente, questi elettori sanno bene come si siano oramai logorati i legami di appartenenza ad una tradizione e ad una comunità: eppure, stentano a fare quel passo che potrebbe rivelarsi liberatorio e restituire loro una sana leggerezza. Sanno bene che, della casa di un tempo, rimangono ancora in piedi solo le mura esterne, e che dentro tutto è cambiato: una furia devastatrice ha lasciato solo macerie e calcinacci. Ma, nondimeno, soffrono, e appaiono esposti alla fallacia argomentativa del “voto utile”.
Di fronte ad interlocutori che vivono questo sincero tormento interiore, e alle forme discorsive con cui si esprime (tutte le varianti del “divisi si perde”, “così vince la destra”, “perché ve ne siete andati?”, ecc.), l’interlocutore deve essere molto sensibile, capace di sottili sfumature: non può prenderli di petto. Nulla di più sbagliato, ad esempio, che opporre apodittiche e metafisiche asserzioni sulla “natura” del PD (“oramai è un partito di destra”): è il modo migliore per farli rintanare nelle loro antiche certezze. Piuttosto, (si noti bene: anche se voi siete intimamente convinti che il Pd sia oramai un partito irredimibile, un pizzico di “onesta dissimulazione” è lecito), dovete fare uno sforzo sincero per “mettervi nei panni” del vostro interlocutore: “d’accordo, c’è tanta gente di sinistra nel PD, e capisco anche che quelli come te ‘non la vogliono dar vinta” a Renzi, togliendo il disturbo, come lui vorrebbe. Ma è chiaro oramai che quest’uomo ha preso in ostaggio il partito, lo sta modellando a suo uso e consumo, sta asfaltando tutto e tutti….L’unico voto “utile” è quello a Liberi e Uguali: solo un successo di LeU potrà riaprire (eventualmente) i giochi dentro il Pd … e magari sarà proprio Renzi ad andarsene, a farsi il suo partito ‘macroniano’. Insomma, rifletti: io non lo so se sarà possibile raddrizzare questo partito, ma in ogni caso, non puoi dare, oggi, un voto che sarebbe interpretato solo come un premio a Renzi e alla sua strategia personale. Del resto, non voleva Renzi conquistare l’elettorato “moderato”? che ci provi (se gli riesce, ma non sembra proprio … ). Come che sia, ci vuole una sinistra forte e, con tutti i suoi limiti, LeU è una buona alternativa”.
Inoltre, bisogna stare attenti a sottrarre a LeU il marchio di “minoritarismo” che gli avversari tendono ad appioppargli: attenzione, l’elettore ‘tormentato” del Pd è un elettore con uno spirito profondamente “governativo” (anche qui: specie nelle “zone rosse”): non ama l’idea di starsene “a priori” all’opposizione, o che il proprio voto sia solo una “testimonianza”. E quindi, all’annosa e fastidiosa domanda (“ma che farete dopo, con chi vi alleate?”), la risposta deve essere di disarmante semplicità: “Leu ci sarà, con le sue idee e i suoi programmi: dipende solo dal voto e dai rapporti di forza. Se sarà necessario e possibile, LeU si assumerà le sue responsabilità…non faremo i “duri e puri”…Certo non faremo governi con la destra”.
E infine: se, come extrema ratio, questo elettore invoca il pericolo della destra, voi dovete essere rassicuranti: “ma guarda che questo sistema elettorale è in gran parte proporzionale: non è che stiamo votando per un sindaco, quando si vince anche con un solo voto in più degli altri! Per non fare vincere la destra, c’è una ricetta molto semplice: che voti molta gente, e che non voti a destra. Più basse sono le percentuali, meno sono i seggi. Mettiamo che LeU prenda dieci seggi in più rispetto a quelli che gli danno oggi i sondaggi: a chi li toglie? Proporzionalmente, a tutti gli altri! E quindi 4-5 alla destra e 2-3 al M5S … e un paio al Pd (e ben gli sta!, dopo aver approvato questa legge demenziale!)”
Insomma, di fronte ad un potenziale ex-elettore del PD, depresso e inquieto, bisogna avere un atteggiamento “clinico” aperto e dialogico: prenderlo per mano, aiutare un graduale distacco dal suo passato, fare intravvedere la possibile gioia che gli può venire da un gesto liberatorio: non un’imprecazione indignata e rabbiosa, ma una sana rottura con il passato. Il piacere di un nuovo inizio.
Post Scriptum
Sebbene questo e il precedente articolo abbiano cercato di mantenere un registro ironico e “leggero”, l’autore ci tiene a sottolineare le rigorose premesse teoriche di questi divertissment politico-letterari.
Molti studiosi parlano oramai di una “permanent campaign” (“campagna permanente”) come tratto caratteristico della politica contemporanea e della logica che guida l’azione dei leader: tutto in funzione del consenso “a breve termine” che è possibile conseguire, tutto finalizzato (come nella canzone di Jannacci) a “vedere l’effetto che fa” nell’opinione pubblica una data mossa politica o un certo slogan. Tuttavia, resta pur vero che le campagne elettorali presentano alcuni aspetti peculiari. Certamente, molti elettori continuano a mostrarsi indifferenti, seguono distrattamente o non seguono affatto i talk-show politici, e (come hanno mostrato molte indagini) decidono se e come votare solo negli ultimi giorni, o addirittura quando entrano nella cabina elettorale. Nondimeno, nel periodo che precede le elezioni, i discorsi politici si intensificano, e investono anche la sfera delle conversazioni quotidiane. Qui entrano in gioco i “micro-opinion leader”: persone che, convinte della propria scelta elettorale, non si limitano ad enunciarla, se richiesti, ma si adoperano attivamente per convincere il vicino di casa, il collega di lavoro, l’amico o il conoscente incrociato per caso: con cui, spesso, “attaccano bottone” (“e allora, queste elezioni? Tu che farai”?). Ebbene, un partito può ottenere un buon risultato solo se, magari spontaneamente e in modo informale, entrano in gioco questi canali di formazione dell’opinione pubblica: persone che sono in grado di agire sul “senso comune”,
Tutto ciò avviene attraverso il linguaggio e i discorsi: durante una campagna elettorale si formano e si diffondono degli schemi argomentativi – idee, frasi, luoghi comuni – che appaiono ricorrenti e che condizionano alla fine anche le scelte elettorali. Ma questi schemi non sono solo “razionalmente” politici: contengono sempre anche una forte coloritura emotiva e una dimensione psicologica. Chi discute di politica, in campagna elettorale, deve tenerne conto e mostrare capacità empatiche: in fondo, la politica rimane pur sempre, per molti, una passione, qualcosa che alimenta passioni …
—
Nella foto: Un banchetto elettorale di Liberi e Uguali