Dijsselbloem-Eurogruppo

La “bufera” Dijsselbloem: come stare insieme in Europa

La “bufera” per la lista sulle donne dell’Est su Rai Uno è stata immediatamente sostituita nell’indignazione generale, allargata ai paesi dell’Europa del sud, per le parole di Jeroen Dijsselbloem – la pronuncia corretta dovrebbe essere “Jerùn Daiselblùm” – presidente dell’Eurogruppo. Queste le parole “incriminate”, contenute in una intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung: “Durante la crisi dell’euro i Paesi del Nord hanno dimostrato solidarietà con i Paesi più colpiti. Come socialdemocratico do molta importanza alla solidarietà, ma hai anche degli obblighi, non puoi spendere tutti i soldi per alcol e donne e poi chiedere aiuto“.
Da qui le contestazioni dei deputati spagnoli e di quelli italiani durante l’audizione dell’esponente olandese alla commissione economica del Parlamento Europeo. Secondo Gianni Pittella, presidente del gruppo socialdemocratico, Dijsselbloem ha usato: “Parole vergognose… Mi chiedo davvero se una persona con queste convinzioni possa ancora essere considerato adatto a fare il presidente dell’Eurogruppo“. Si è alzata pure la voce del gruppo M5s Europa: “Dijsselbloem rassegni immediatamente le dimissioni da presidente dell’Eurogruppo, le sue dichiarazioni sui Paesi del Sud sono gravi e vergognose“. M5S, nella sua retorica antieuropea, non ha mancato di sottolineare che, assieme ai Dijsselbloem, sarebbe anche finito il tempo dell’austerità.
Affermazione quest’ultima agevole da confutare, atteso che il debito pubblico italiano, complice la crisi, ma ancor più la politica poco rigorosa nella gestione dei conti, è salito nell’ultimo decennio dal 100% al 133% del PIL. Altro che rigore!

Anche i Governi di Madrid hanno potuto spingere la ripresa della Spagna solo grazie ad imponenti deficit di bilancio (nel 2011 addirittura il 9,6% del PIL, nel 2015 il 5,1%, rispetto al 4,2% pattuito con la CE, e nel 2016, il 4,6% rispetto al 2,8 programmato) sui quali hanno pesato le spese delle autonomie locali che il Governo non ha saputo contenere. Finora Bruxelles ha evitato di sanzionare il Paese ed ha concesso due anni in più al suo piano di rientro; ma ora anche la Spagna è chiamata a ridurre il deficit al 3,1% nel 2017 e al 2,2% nel 2018.

Non poteva mancare l’intervento di Renzi su Facebook: “Dijsselbloem ha perso una ottima occasione per tacere. Penso che gente come lui, che pure appartiene al partito socialista europeo, anche se forse non se ne è accorto, non meriti di occupare il ruolo che occupa. E prima si dimette meglio è“. “Se vuole offendere l’Italia – ha concluso – lo faccia al bar sport, non nel suo ruolo istituzionale“.

Nella citata audizione nell’Europarlamento sono state chieste a Dijsselbloem scuse pubbliche per le  sue dichiarazioni. Lui ha resistito, dicendo che “nessuno deve sentirsi offeso, che non è questione di Nord e Sud, ma che vale per tutti la regola che se vuoi solidarietà devi rispettare i vincoli e gli impegni, cosa che anche l’Olanda a volte non ha fatto. Se si vuole mantenere sostegno politico e dell’opinione pubblica in tutta l’UE a favore della solidarietà occorre sempre parlare di quali impegni e quali sforzi devono essere fatti da ciascuno. Questo è come la solidarietà dovrebbe funzionare e funzionerà“.
Dopo le mancate scuse, in tanti chiedono ora le sue dimissioni, che non sembra intenzionato a dare. La polemica è quindi destinata a continuare.

Non c’è dubbio che l’esponente olandese abbia “sbroccato“, anche se, in buona sostanza, ha solo dato voce, senza filtri, alla “pancia” di gran parte degli europei del nord, i quali ritengono – non del tutto a torto – che i paesi del Sud Europa con i loro deficit annuali e stock di debito pubblico molto elevati si siano comportati, con una metafora che ho sentito più volte, come chi usa la carta di credito altrui per fare la spesa.
Sebbene esponente socialista, il presidente dell’Eurogruppo, è considerato in linea col ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble e con gli altri colleghi del Nord «rigoristi» sui vincoli UE di bilancio.
Lo scorso anno Dijsselbloem ha contrastato le richieste italiane di ottenere maggiore flessibilità nella manovra 2017. Ciò in armonia col pensiero dei partner nord europei che hanno visto – dopo l’approvazione solenne del principio del pareggio di bilancio quale norma costituzionale italiana – il rinvio, anno dopo anno delle promesse di avvio del percorso di rientro dall’eccesso di debito. Dijsselbloem ha inoltre dimostrato contrarietà anche verso le politiche di spesa più espansive proposte dalla Commissione europea.

In qualità di Ministro delle finanze dell’Olanda, Dijsselbloem dovrebbe presiedere l’Eurogruppo fino alla formazione del nuovo Governo. Sostenuto dai tedeschi, è stato riconfermato a capo dei ministri economici dell’unione monetaria nel luglio 2015, durante le trattative con la Grecia per l’ottenimento di nuovi aiuti.
Il Partito Laburista olandese cui appartiene è crollato alle elezioni politiche, scendendo da 38 a 9 seggi. Alla fine, dichiarazioni e proteste hanno dato vita ad una crisi per niente, poiché i laburisti saranno probabilmente esclusi dal prossimo governo del conservatore Mark Rutte e quindi Dijsselbloem dovrebbe uscire di scena prima della scadenza, tra 10 mesi, del suo mandato.
L’Europa non può permettersi, infatti, una personalità poco rappresentativa nel paese d’origine, ma la sua sostituzione non sarà facile. Si parla dello spagnolo Luis de Guindos, già due anni fa candidato a guidare l’Eurogruppo, ma sconfitto causa le incertezze sulle elezioni, programmate nei mesi successivi.
Il destino di Dijsselbloem è pure legato alla Germania, che si prepara alle elezioni politiche di settembre. La Cancelliera, Angela Merkel, non vorrebbe perdere prima del voto un fedele alleato alla guida dell’Eurogruppo, dove si decidono misure fiscali, aiuti a stati in crisi e salvataggi bancari. Dijsselbloem, fra l’altro, riuscì ad ottenere l’applicazione del primo bail-in a Cipro, iniziando a un cambiamento storico sugli aiuti di stato alle banche.

L’Unione europea celebra in questo mese il sessantesimo anniversario del Trattato di Roma, istitutivo della Comunità economica europea. Dopo secoli di guerre, l’Europa vive dal 1945 un periodo di pace e di democrazia.
Oggi, però, il suo futuro appare incerto e i sintomi sono tanti: l’avvio della Brexit, l’altissima disoccupazione giovanile nel Sud Europa, l’indebitamento e la stagnazione dell’Italia, la crescita dei movimenti populisti anti-euro e il crescente rifiuto verso gli immigrati.
 Per un ritorno alla normalità, l’integrazione politica dovrebbe accelerare per raggiungere l’integrazione economica, o quest’ultima dovrebbe rallentare. Di fronte a queste scelte difficili il rischio è che gli stati membri assumano posizioni diversificate. Tocca quindi all’Europa sviluppare flessibilità e meccanismi istituzionali per soddisfare le istanze dei paesi oggi meno propensi all’integrazione.
Anche per questi motivi, la “tempesta” provocata dalle dichiarazioni incaute di Dijsselbloem dovrebbe avviare una riflessione profonda, un dibattito costruttivo sul “come stare insieme” in Europa, invece che polemiche sterili.

Nella foto di copertina: Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo

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