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La Cuba che verrà

Lunedì i quotidiani italiani hanno pubblicato la foto notizia della prima crociera che, dopo 50 anni, dagli Stati Uniti fa rotta su Cuba.
Dopo il trionfo della Revoluciòn oggi festeggiamo il ripristino del turismo statunitense via mare verso le coste dell’isola proibita.
Ma è questa la vittoria che attendevamo?

Negli ultimi mesi Cuba è tornata al centro della scena internazionale. A settembre 2015 la messa di Papa Francesco nella storica Plaza de la Revoluciòn a l’Avana, sotto l’effigie del Che Guevara a cui hanno seguito la riapertura delle reciproche ambasciate, la pianificazione di azioni di “disgelo” fino ad un clamoroso gesto politico: nel mese di marzo la visita del Presidente Obama, alla fine del suo mandato e in viaggio di famiglia, con la first lady e le figlie nella settimana di vacanza dalla scuola.
E’ stato il primo Presidente statunitense a tornare a Cuba dopo la rottura diplomatica durata quasi sessant’anni. Segue addirittura un concerto gratuito dei Rolling Stones, che accende i cuori degli osservatori internazionali ma non raccoglie il successo di pubblico aspettato.
La stampa ha inneggiato alla fine dell’embargo, il bloqueo, come più correttamente denunciano dall’isola.

A Cuba l’embargo c’è ancora, Guantanamo c’è ancora, anche se la chiusura era stata promessa già nel 2008 proprio da Obama nella campagna elettorale da candidato Presidente della Casa Bianca.

Chi decide su embargo, carcere di Guantanamo, legge sull’immigrazione (la ingiusta CAA del 1966, la ley de adjuste cubano) e sul futuro delle relazioni con l’isola è il Congresso degli Stati Uniti, che attualmente, è a maggioranza conservatrice e ad oggi contraria al superamento delle misure restrittive contro Cuba.

Quello di Obama è stato un viaggio storico, ma più simbolico che determinante nell’evolversi dei rapporti tra i due paesi. E Fidel Castro, ormai in pensione ma sempre attivo e attento osservatore, non ha tardato a spegnere gli entusiasmi. Ha definito il discorso del presidente USA, che chiedeva di guardare al futuro per riscrivere la storia tra i due paesi nemici storici, un discorso “sdolcinato” che non tiene conto che per i cubani c’è stato un passato ed è stato pesante. Una storia segnata dalla politica statunitense che ha provocato conseguenze gravi sulla vita delle persone e sull’economia del Paese. E per questo, ha detto Fidel, non si può chiedere a Cuba di non tenerne conto.

Cuba non è caduta. Né dopo il crollo dell’Unione Sovietica che ne sosteneva l’economia, né nella fatica del periodo speciale che ne è conseguito (anni ‘90), né con l’apertura al turismo (degli stessi anni), né con l’avvio dell’imprenditorialità privata (1995), né con la visita di Papa Giovanni Paolo II (1998), né con quella di Papa Ratzinger (2012). C’è stato chi si immaginava una “primavera” (non araba evidentemente, ma forse tropicale) anche sull’isola. E invece si sbagliava.

Cuba ha resistito e continuerà a farlo, dicono i suoi dirigenti, anche se non si è mai votato per le presidenziali da quando governano i Castro e il governo rivoluzionario.
Forse è mancato il coraggio o l’appoggio internazionale?
Proviamo a chiederci: quanti sostenitori avrebbe avuto quella primavera?

La sinistra, italiana ed europea, ha da sempre osservato Cuba con un occhio molto severo.

Come se l’asticella delle aspettative, ma anche delle richieste, fosse diversa da una regione ad un’altra del mondo.
Non si è mai smesso di misurare questo paese rapportandolo al mondo occidentale: quanto internet? Quanti diritti umani? Quanti giornali?

A questi interrogativi Cuba risponde sui diritti umani, presentando il suoi successi e i suoi numeri: il tasso di mortalità infantile è di 4,7 per ogni mille nati vivi, in Bolivia è di 39, in Guatemala è di 24, in Nicaragua è di 20, in Brasile è di 19. In Italia di 3. Questo indice, confermato per otto anni consecutivi, posiziona Cuba tra le prime 20 nazioni al mondo e la prima nelle Americhe. Secondo la Banca Mondiale il sistema educativo cubano è il migliore dell’area latinoamericana e dei Caraibi, il tasso di scolarizzazione il più elevato dell’America Latina, al 99,7% e la spesa per l’insegnamento il 13% del PIL. Più del doppio di molti paesi europei. Dal 2005 l’ELAM (Escuela Latinoamericana de Medicina) ha laureato 23.000 medici specializzati alla gestione delle emergenze ed epidemie. A oggi, oltre 50 mila medici cubani lavorano in 66 Paesi del mondo.

I giornali, invece, non sono molti e la connessione internet a Cuba è costosa e lenta. Il cavo ottico da Miami non è mai stato steso, la tecnologia acquistata dal Venezuela è risultata inutile: da Cuba ci si collega alla rete attraverso il satellite, con costi strabilianti e qualità pessima, come quando si è in mezzo al mare, ma non su un isola.

Il commento ricorrente da vent’anni è sempre lo stesso: “bisogna vedere Cuba fino a che c’e’ Fidel!”; “tra poco venderanno anche la Coca Cola e sia aprirà il McDonald“, “se tornano gli americani (del nord, si intende) tutto torna come prima”.

Fidel è uscito di scena dal 2008, la Coca Cola si vende almeno da 15 anni, gli americani sono tornati. Ma a Cuba tutto sembra come prima.

In realtà qualcosa è cambiato, e cambierà ancora di più nei prossimi anni, se la legislazione interna resterà la stessa e aumenteranno i turisti sull’isola. Si parla di tre milioni all’anno in più solo di turisti statunitensi.

Aumenterà il divario tra i cubani, tra coloro i quali lavorano con il turismo ed hanno accesso alla valuta internazionale e chi fa altri mestieri. L’attuale normativa, infatti, prevede una tassazione fissa a prescindere dal volume di affari rischiando di ingenerare un incontrollabile circuito liberista. Altro che i rischi di una Coca Cola sul tavolo.

L’impegno del governo rivoluzionario di redistribuire le risorse, ridurre le disparità, aumentare i diritti rischia di così di essere vanificato. Quanto potrà durare un socialismo in un paese in cui un tassista può guadagnare in un giorno quanto un medico o un insegnate arriva a percepire in un mese? Senza parlare dei correlati rischi di corruzione….

Il governo cubano probabilmente reggerà ancora, ma il suo progetto sarà di nuovo a rischio.

E quindi quale transizione?

Senza leggere la transizione come destituzione, il “dopo Castro” come “dopo rivoluzione”, è come se Cuba tornasse a suonare la sveglia interrogando le ragioni attuali di una prospettiva storica che ha alimentato per decenni passioni, politiche e immaginazioni.

Per restituire, con un sussulto forse inatteso, almeno un po’ di quella gratitudine che Cuba si merita, se non altro per aver nutrito i sogni di generazioni e generazioni di uomini e donne protesi verso l’ideale concreto di una affermazione dell’utopia possibile, di quella libertà che si conquista non a discapito dell’altro ma nel riconoscerne i diritti.

Non vorremmo che la mano di quella donna salutasse oltre che la crociera anche quell’idea di socialismo che tanta speranza ha propagato nel mondo….

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