Fra le forze che governano il mondo attuale – oltre a quella finanziaria e tecnologica – c’è quella migratoria. Più di 60 milioni tra rifugiati, richiedenti asilo o sfollati corrispondono ormai a quelle di un’intera nazione. Una nazionale come l’Italia che, secondo i dati più recenti dell’ISTAT, conta appunto poco più di 60 milioni di abitanti. Ma forse noi italiani non immaginiamo che nella storia moderna il maggior flusso di migranti per nazionalità è proprio quello degli italiani. A partire dal 1861 sono state registrate più di ventiquattro milioni di persone che hanno lasciato l’Italia per cercare rifugio all’estero.
Ma l’Italia è anche il paese che sta ricevendo anche il maggior numero di migranti che scappano dalle guerre in Siria, Libia, Ucraina, Nigeria e Somalia. Milioni di persone che abbandonano le loro case per intraprendere viaggi pericolosi di migliaia di chilometri per trovare sistemazioni spesso ricche di altre ostilità. Come era prevedibile il costoso accordo UE-Turchia per bloccare la rotta balcanica si è dimostrato fragile e funzionale forse solo a bloccare chi scappa dall’orrore della guerra civile in Siria. Incentivato dalle miti temperature estive il flusso di persone si è spostato nuovamente sul mare.
Oltre 12mila migranti sono sbarcati sulle coste italiane soltanto nell’ultima settimana. Oltre 700 le vittime degli ultimi tre naufragi nel Canale di Sicilia. Uno, in particolare, assume un ulteriore sfumatura di drammaticità alla già immane tragedia: sono infatti almeno 40 i bambini che hanno perso la vita nel naufragio di giovedì scorso. Sono numeri cui ormai siamo abituati, numeri a cui non facciamo più attenzione, solo statistiche non più vittime. Sono morti che non trovano spazio sui media, sono volti che non conosceremo mai, eppure hanno perso la vita all’ultima tappa di un viaggio durissimo intrapreso nella speranza di trovare, altrove, uno spazio di pace.
I sopravvissuti ci raccontano gli ultimi attimi di un lungo viaggio senza dignità, senza diritti: otto ore dopo la partenza dalla Libia, sono due i barconi collegati da una fune. La seconda barca inizia ad andare a picco, la prima cerca di trascinarla in avanti, ma ogni sforzo è vano. Lo scafista ordina di tranciare la corda, in pochi minuti la seconda nave cola a picco nel Mediterraneo. Si salvano solo in 20 portati in salvo dalla Bourbon Argos, la nave di Medici senza frontiere. Tra questi ci sono 15 donne incinte, una delle quali minorenne e vittima di violenze subite durante il viaggio. Purtroppo non si tratta di un caso isolato: tra i pericoli della fuga dal proprio paese, per le donne, le violenze sessuali e psicologiche nelle varie parti della tratta sono molto frequenti. C’è chi è costretta a concedere il proprio corpo in cambio di un passaggio, chi semplicemente si trova nel momento sbagliato, nel posto sbagliato. Si tratta di storie di tante che, troppo spesso, passano sotto silenzio: troppo grande il trauma per poterlo raccontare, troppo de-umanizzata la narrazione dell’immigrazione per poterci concentrare sulle singole storie.
E la disumanizzazione si evidenzia ancor più nell’ignoranza della reciprocità delle migrazioni. Ricordiamo ancora che il più grande esodo della storia moderna per nazionalità è proprio quello degli italiani. Ancor oggi, sono molti i cittadini italiani che lasciano il loro Paese: è un fenomeno meno evidente grazie all’apertura dei confini dentro l’Unione Europea e ad un sistema di visti che ci apre le porte a quasi tutto il mondo. Gli italiani sono al primo posto tra le popolazioni migranti comunitarie (1.185.700 persone) seguiti da portoghesi, spagnoli e greci. L’entità delle collettività di origine italiana all’estero ammonta a decine di milioni, comprendendo i discendenti degli immigrati nei vari paesi. Al primo posto troviamo l’Argentina con 15 milioni di persone, gli Stati Uniti con 12 milioni, il Brasile con 8 milioni, il Canada con un milione e l’Australia con 540.000 persone.
Riflettiamo sul concetto di accettazione e integrazione che oggi viene tanto contestato e rifiutato proprio dal popolo italiano. Non possiamo fare finta di non vedere quello che sta succedendo. Non possiamo pensare che per fermare milioni di persone basti costruire muri di contenimento. Se non vogliamo noi europei essere vittime di una invasione migratoria dobbiamo crescere come Europa e renderla unita. Solo un grande Stato può governare una forza così imponente come numero di uomini e di drammaticità come quella di cui non possiamo essere solo spettatori.
Si, perché il popolo migratorio non sono numeri né corpi, sono persone, esattamente come noi e come tali hanno il diritto di essere considerati.