Il CdA di Intesa Sanpaolo è disposto ad acquistare “certe attività e passività e certi rapporti giuridici facenti capo a Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, purché a condizioni e termini che garantiscano la totale neutralità dell’operazione rispetto al CET1 ratio e alla dividend policy”. Questo laconico comunicato avvia a soluzione la crisi oggi più pesante del sistema bancario italiano.
Vediamo di capire che significa.
L’Istituto di Ca’ de Sass comprerebbe – dopo il fallimento dell’intervento del fondo Atlante e le trattative a vuoto con Bruxelles – un “perimetro segregato”, da cui esclude ogni rischio: i crediti deteriorati e i crediti buoni ad alto rischio, le obbligazioni subordinate, le partecipazioni e altri “asset” non funzionali. Banca Intesa non farà aumenti di capitale e chiede in più al Governo un decreto che assicuri totale neutralità dell’acquisto delle “good bank” a costo zero.
A prima vista le banche sono salve e si evita una crisi sistemica. Ma è proprio così?
Veneto Banca e Popolare di Vicenza, forti soprattutto nel nord est, erano allo stremo, con perdite attorno a 6,4 miliardi.
Con l’intervento di Intesa, si applicano le norme flessibili del “burden sharing” invece di quelle drastiche del “bail in” e senza che i privati si facciano carico di alcunché.
Per i non esperti, nel default col “burden sharing”, prima dell’intervento pubblico (leggi, dei contribuenti) vengono colpiti solo gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati.
Una operazione simile, ma più favorevole, a quella di UBI Banca verso Etruria, Banca Marche e Cari Chieti. Con la differenza che in quel caso la “bad bank”, il contenitore di quanto Intesa non prende, venne messo a carico del Fondo Interbancario, mentre ora verrà gestito dagli organi della liquidazione coatta, nominati da Banca d’Italia dopo un decreto del MEF.
Le partecipate Banca Intermobiliare, Banca Apulia e Banca Nuova, per le quali ci sarebbero delle offerte, andranno vendute a parte.
Insomma, una soluzione meno severa del “bail in”, nella quale vengono chiamati a coprire le perdite pure gli obbligazionisti “normali” e i depositanti e correntisti con oltre 100 mila euro, e tutta a carico del “fondo salva risparmio”.
In sostanza, Intesa Sanpaolo prenderà il meglio delle due banche, mentre saranno azzerati azionisti e obbligazionisti subordinati (salvo i rimborsi previsti per i piccoli obbligazionisti “truffati”). Le stime delle perdite a fine procedura rischiano di avvicinarsi ai 10 miliardi ma la crisi sistemica è scongiurata.
Una soluzione questa che induce un politico accorto come il Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, ad affermare su Facebook: “Socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti…prima si è lasciato marcire il problema, poi con i soldi dei cittadini si è comprato i crediti deteriorati e inesigibili, le partecipazioni critiche e l’amministrazione in esubero, mentre la parte buona della banca si è venduta per un euro. Complimenti! Ringraziano sentitamente tutti gli onesti che pagano le tasse”.
Se l’operazione avrà il via libera dalle autorità europee Intesa avrà fatto un affare, anche se non sarà una passeggiata integrare nella propria rete strutture e personale di due banche in crisi di fiducia, che hanno visto fuggire i propri depositanti, in buona parte proprio verso Banca Intesa.
Dichiarazioni positive tra gli azionisti di Intesa. Da Francesco Profumo, Presidente della Compagnia di San Paolo: «Appoggiamo pienamente le decisioni prese dal consiglio di amministrazione di Intesa Sanpaolo» a Giuseppe Guzzetti, numero uno di Fondazione Cariplo. «Sono totalmente d’ accordo con Carlo Messina, come del resto sono sempre stato in questi anni». Ottimista anche Lando Maria Sileoni, Segreterio generale FABI: “giusta soluzione per risolvere un gravoso problema che incombe sull’intero settore bancario e sulla stessa economia italiana». Il Segretario Uilca, Massimo Masi dice: “Chiediamo al governo di fare la sua parte ristorando il Fondo di Solidarietà, affinché l’operazione non abbia alcuna ripercussione sui ratio economici di Intesa».
Fuori dal coro Gianni Mion, presidente di Popolare Vicenza: “Dopo i lunghi colloqui tra il MEF e la Dg Comp della Commissione europea, il piano che avevamo presentato evidentemente non è stato apprezzato, ne dobbiamo prendere atto”.
Una delle questioni più delicate sarà la gestione degli esuberi. Si tratta, infatti, di due banche distanti poche decine di chilometri, con sportelli sovrapposti fra loro e con Intesa.
Ulteriori precisazioni verranno dal decreto legge in arrivo, che dovrebbe rifinanziare il fondo esuberi, allungandolo a sette anni. Si parla di 8.200 potenziali uscite nelle due banche e nella stessa Intesa, che si gioverebbe anche di questo beneficio.
Intesa San Paolo ha quindi ottenuto condizioni estremamente favorevoli, per sé e per l’intero sistema bancario: altro che gratis!
L’operazione deve tuttavia superare ancora molti passaggi e molti ostacoli.
Innanzitutto, si sta aggirando la richiesta della Commissione Europea che i privati mettano 1,2 miliardi, prima della ricapitalizzazione precauzionale del Governo. La DG Comp, diretta dalla tostissima Margrethe Vestager, dovrà verificare il rispetto della normativa sugli aiuti di Stato. Anche se dovesse arrivare l’ok della Vestager (affatto scontato), questo dipenderà da molti dettagli, come, ad esempio, i valori di conferimento dei “crediti deteriorati” nella “bad bank”. Insomma, se si pensa che tutto sia stato già discusso e deciso con Bruxelles, si pecca di eccessivo ottimismo.
C’è, infine, un passaggio, tutto politico. L’intervento non può farsi attingendo ai 20 miliardi già stanziati. Il decreto in corso di stesura andrà convertito entro 60 giorni, con le polemiche in corso e l’avvicinarsi delle elezioni.
Se le cose andranno in porto, Intesa San Paolo sarà il vero vincitore: ha fatto valere i conti in ordine, la fiducia dei depositanti diventando la vera, unica, banca di sistema.