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La sfida socialista nel prossimo congresso, per non andare alla deriva

Lunedì, in fondo, è successo niente. Abbiamo un non-governo, abbiamo un non-partito. Il primo deve, in fondo, fare quello che gli si chiede: poco e portare il paese alle elezioni senza provocare sfracelli. Il secondo ha avviato nel modo peggiore una confusa campagna congressuale.
Gentiloni ha messo su una squadra fotocopia di quella precedente con una sconfitta renziana, Lotti non è andato ai Servizi, e una promozione senza senso, la Boschi promossa all’ambitissimo ruolo di sottosegretario alla presidenza. Per il resto nomi buoni o meno buoni, conta poco. Gentiloni deve far dimenticare agli italiani Palazzo Chigi. Perché se se lo ricordano succedono casini.
Il Pd si avvia male al congresso perché Renzi sembra volerlo impostare come una rivincita. E’ un nuovo trionfo dell’ego. Renzi non ha capito il voto referendario. Ha perso, ci ha fatto perdere!, perché ha fatto tutto da solo, ha perso, ci ha fatto perdere!, perché sulla riforma ha giganteggiato la sua immagine, ha perso, ci ha fatto perdere!, perché incapace di gestire una macchina complessa. Ha perso, infine, qui solo lui!, perché la ricetta tardo liberista, con punte compassionevoli rappresentate dai bonus a catinelle, non piace agli italiani.
Anche le opposizioni tradizionali a Renzi non sembrano aver capito molto da quel che è successo. Hanno poco da spendere la vittoria del NO fortemente inquinata dal voto di destra e grillino. E, temo, non hanno candidature e progetto. Ieri Roberto Speranza ha chiesto a Renzi se vuole cacciare la sinistra. Una strana domanda fatta da uno che, si dice, vuole prendere il posto di Renzi.
Insomma non si sfugge a una doppia sensazione di minorità politica.
Quella di Renzi che non ha capito che il suo tempo è passato fino a che resterà attaccato a riformette blairiane in un mondo che è andato oltre. La sinistra perché non ha il coraggio di dirsi socialista e balbetta e si lamenta dell’ipertrofia dell’ego di Renzi dimenticando quanti ego-mostri ha in casa propria.

Se non c’è una svolta, questo Pd è meglio che vada alla deriva e dal suo corpo nasca un’altra cosa. Renzi dà l’idea di avere questo progetto. Il tono di sfida, l’arroganza con cui ha voluto mettere al governo, in funzione di scudo protettivo, ma da che?, sia Lotti sia Boschi, fa pensare che abbia in testa il famoso partito personale che solo il sondaggista Nicola Piepoli vede a due cifre. Del resto Renzi avendo rifiutato tutte le storie, persino quella dell’Ulivo, non ha molto da raccontare al paese se non proporsi come leader. Resta il dubbio che gli italiani l’abbiano già sorpassato preferendogli i ragazzi di Grillo. Qualcuno dovrò dimostrare perché Lotti sarebbe meglio di Di Maio o di Di Battista, infatti.

Dalla morte del Pd non guadagna nessuno, cadrebbe, dopo l’Ulivo, l’unica idea della sinistra post comunista. Per impedire questa involuzione si tratta di riempire di contenuto la botte precocemente invecchiata. Se Sanders pensava di mettere il sale socialista in un partito democratico di antica stirpe, può farlo un leader anche in Italia. La sfida socialista dovrà, quindi, caratterizzare il prossimo congresso. Il Pd deve uscire dal girone dei forti e mettersi alla testa dei deboli. Qui è nata ed è vissuta la sinistra. O ci si sfida su questo o meglio lasciare perdere.

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