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L’Argine mondo: Il piano dei socialisti spagnoli contro la disoccupazione

MASSA E POTERE. GUERRA ED ECONOMIA.

Spagna. Il ciclo economico non ridurrà in maniera naturale la disoccupazione né farà uscire da questa situazione i 2.7 milioni che, in Spagna, sono disoccupati di lunga durata. Questa la tesi del PSOE, che propone degli “impieghi di transizione” per 217.000 persone per la durata di un anno, con un costo di 1.300 milioni di euro (il piano complessivo costerà 3.300 milioni). Il progetto avrà la durata di due anni. Questi “impieghi di transizione”, che figurano nel documento Un piano d’impiego straordinario per incrementare il ritmo di accesso al mercato del lavoro, saranno un’iniziativa statale. Si tratterà di “progetti concreti proposti dalle stesse persone disoccupate, dalle Amministrazioni locali e da enti senza scopo di lucro. Jordi Sevilla, responsabile del programma economico del PSOE, dichiara: “Si tratta di ottenere l’inserimento lavorativo di più di 200.000 persone over 45, senza qualificazioni, che non potrebbero trovare lavoro in altro modo. E sì, come socialisti, non ci rassegniamo e, con queste inziative, abbiamo intenzione di reinserirli nel mercato del lavoro.
Altri spunti dal programma economico del PSOE. I socialisti spagnoli vogliono che entrino (o rientrino) nel mercato del lavoro i 3,3 milioni di persone che si dichiarano disoccupate e che corrono il rischio di finire nella disoccupazione cronica. Le donne, i giovani, gli over 45 “hanno bisogno di misure specifiche”, ossia, secondo il documento del PSOE: riformare le politiche attive del lavoro, che i servizi pubblici siano vere e proprie agenzie di collocamento e l’aumento dell’impiego attraverso l’inserimento lavorativo nel settore privato e nel settore pubblico. Presente anche un capitolo sulla formazione per le 518.000 persone che hanno abbandonato gli studi e che non hanno un diploma d’istruzione secondaria superiore e che sono senza lavoro. Per sei mesi riceveranno una formazione specifica e otterrano un diploma che accrediterà le loro competenze, affinché possano entrare nel mercato del lavoro. (El País)

Grecia. Dall’Eurogruppo – dopo negoziazioni durate 11 ore e un accordo raggiunto passata la mezzanotte – una tranche di prestiti da 10,3 miliardi ad Atene, ok alla ristrutturazione del debito greco e partecipazione del Fondo Monetario Internazionale al terzo programma di assistenza per il paese ellenico. L’accordo, tuttavia, non dà certezze economiche alla Grecia, ma è comunque meglio di quanto il paese guidato da Alexis Tsipras avrebbe potuto immaginare solo due anni fa. Tuttavia, le misure rimangono timide e le concessioni della Germania sembrano un modo per postporre decisioni più grosse dopo il voto tedesco nel 2017. La riduzione del debito, inoltre, avverrà alla fine del programma, a metà del 2018. (Politico)

Jobs act d’oltralpe. Lo scontro fra il sindacato e il Governo francese s’intensifica e non si trovano punti di mediazione. La Confédération générale du travail vuole ottenere il ritiro della riforma del lavoro e aumenta la pressione tramite gli scioperi e i blocchi nelle raffinerie, creando enormi disagi nel rifornimento di carburante. Nonostante ciò, il Primo Ministro Manuel Valls afferma che non farà passi indietro e, alzando i toni, dice che passerà alle maniere forti. Martedì mattina, un intervento delle forze dell’ordine nella raffineria di Fos-sur-Mer ha cacciato dei militanti della CGT che bloccavano il sito da domenica. Il rapporto fra il centro-sinistra e i sindacati continua a rompersi in tutta Europa. (Le Monde)

Israele. Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e Avigdor Lieberman, leader del partito ultranazionalista Israel Beitenu, firmano un accordo che segna l’entrata dell’estrema destra nella coalizione di Governo. Nei prossimi giorni, Lieberman sarà nominato Ministro della Difesa: un incarico chiave, che, affidato al rappresentante della destra più radicale, dà, ancora una volta, conferma che portare la pace nella regione non fa parte della politica di Netanyahu. (Haaretz)

Afghanistan. Dopo la conferma morte del capo dei talebani afghani, Mullah Akhtar Mansoor, il gruppo fondamentalista nomina il suo nuovo leader: Haibatullah Akhunzada, già vice di Mansoor. Akhunzada viene descritto come “molto rispettato” all’interno dell’organizzazione, “molto anziano” e proveniente da una tribù, quella dei Noorzai in Kandahar, fra le più forti e influenti nella leadership talebana. È inoltre uno degli elementi più radicali all’interno del gruppo, cosa che rischia di mettere ancora più a dura prova il processo di pace nel paese. “Ci vendicheremo e saremo più forti di prima,” ha dichiarato una fonte interna ai talebani ad Al Jazeera.

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