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Le (mie) ragioni del Si

Alfredo Reichlin, su l’Unità del 30 settembre, ha spiegato in modo chiaro le ragioni che lo hanno indotto a scegliere di votare NO al prossimo referendum costituzionale. Si sono affrettati a rispondere, cercando di confutarne gli argomenti, Debora Serracchiani e Matteo Orfini. Entrambi, però, sorvolano il merito, limitandosi a mere elencazioni dei presunti meriti del Governo e del PD, molti dei quali quantomeno opinabili.

La ragione principale che ha determinato l’orientamento di Reichlin sta nel fatto che, principalmente per responsabilità di Renzi, il prossimo referendum si ridurrà ad plebiscito non sulla riforma delle Istituzioni ma sulla sua persona, sul suo ruolo nel futuro politico del Paese. Si tratta di un dato oggettivamente incontestabile. I cittadini, aggiunge Reichlin, non si confronteranno o scontreranno sui buoni argomenti di Violante o su quelli di Rodotà, che i più ignorano, ma sul voto popolare e diretto del Capo del Governo. Purtroppo nessuno dell’oligarchia renziana, Renzi compreso, sta facendo nulla per allontanare il timore espresso da Reichlin. Dico purtroppo, perché la sgradevole sensazione che l’esito positivo (per il Governo) del referendum possa essere l’occasione di una resa dei conti definitiva all’interno del PD, di una malcelata volontà di “non fare prigionieri” è sempre più diffusa. Hanno ragione Renzi e Orfini a richiamare il monito di Napolitano sulla necessità di riforma delle Istituzioni. Dimenticano, però, il recente e severo richiamo dell’ex Presidente della Repubblica proprio sulla personalizzazione che alla stessa riforma è stato dato. Per quanto mi riguarda, e per quanto possa interessare la mia opinione, non credo che ciò su cui saremo chiamati a decidere possa in qualche modo mettere a rischio la tenuta democratica del nostro Paese, così come non vedo alcun rischio per l’economia o, addirittura, per la coesione sociale se la riforma non dovesse passare. Era necessario snellire l’iter legislativo e, solo in parte, è stato fatto. Mi sono ancora oscure le ragioni che hanno reso necessario un Senato di pasticciata composizione e ancora più oscure quelle che non hanno prodotto una riduzione dei deputati.

E’ utile un sistema elettorale che stabilisca con nettezza il vincitore e garantisca governabilità, e per questo non capisco perché replicare nell’Italicum meccanismi che la Corte Costituzionale ha già definitivamente cassato: premio di maggioranza eccessivo rispetto alla somma dei voti ottenuti, nessuna possibilità di incidere sulla scelta degli eletti. Insomma, la montagna ha partorito il classico topolino ed è, questo, null’altro che il prodotto della furia decisionista di Renzi e del suo modo di intendere la politica e i rapporti che ne conseguono, per cui “fare presto”, e a qualunque costo, sia la cifra di un modo di fare politica che innova e rottama quella vecchia.

Altrettanto evidente ed oggettivo, però, è l’imbuto in cui il Presidente del Consiglio e segretario del PD con abilità, bisogna riconoscerglielo, ci ha confinati: la vittoria del NO riconfermerebbe un sistema istituzionale così come sino ad oggi lo abbiamo conosciuto e criticato, e ci condurrebbe ad una assai probabile crisi di Governo. A quel punto la prospettiva più realistica sarebbero elezioni anticipate con, dopo l’abrogazione del “Porcellum”, un sistema proporzionale e la condanna a nuovi governi di larghe intese; questi sì una minaccia seria per l’economia e la coesione sociale del Paese.

Per questo, e solo per questo, a differenza di Reichlin, vedo nella vittoria del Sì il male minore per il futuro della nostra comunità nazionale. Ma già da ora impegnato per dare una fisionomia e un volto diverso al mio Partito. Ripeto, il rischio più grave che questa competizione referendaria prospetta è sul futuro del PD. Non temo una dittatura del Premier, ma quella del segretario. Per questo, sommessamente, consiglio al cattolico Renzi di fare proprio l’insegnamento di Tommaso d’Aquino su come governare le proprie passioni politiche, “non mediante un dominio dispotico; ma mediante un dominio politico, qual è quello su uomini liberi che non sottostanno pienamente al comando” (La Somma Teologica). Ed è sempre da Tommaso che traggo lo spunto per contrapporre la passione che ci spinge, il nostro appetito irascibile, volto al conseguimento di obiettivi sì difficili ma ambiziosi, all’appetito concupiscibile, proprio del renzismo, volto ad obiettivi di semplice ma insufficiente acquisizione, considerata la portata delle sfide che in ogni campo ci attendono. Attenzione, l’ira Tommasiana, non deve essere confusa con la rabbia ma con la passione che ha spinto donne e uomini a coraggiose lotte e cambiamenti.

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