Non è solo una storia triste. E’ una storia che fa orrore all’intelligenza, alla memoria, alle ragioni della nostra democrazia e a tutti coloro che, illustri o ignoti, hanno lavorato per fondarla, svilupparla, difenderla. E’ la storia dell’archivio digitale dell’Unità. Dato in un primo tempo per misteriosamente scomparso con la chiusura della testata, poi parzialmente ritrovato nei meandri del deep web, disponibile a un indirizzo internet consultabile solo con il browser Tor.
Mentre scrivo alzo gli occhi dalla scrivania e osservo le due copie originali dell’Unità, una del 1943 e una del 1944, che mi furono regalate molti anni fa. Non posso fare a meno di pensare a quegli anni di fuoco, quando c’era chi rischiava la vita per far uscire dalle tipografie segrete (ce n’era una vicino a casa mia) questi foglietti ora ossidati, sui quali Palmiro Togliatti esortava alla “lotta senza quartiere contro nazisti e fascisti”. E penso con amarezza che l’Unità, il giornale in cui ho lavorato per venticinque anni della mia vita professionale, è tornato di nuovo nella clandestinità.
A denunciare con grande forza la situazione è stato un anno fa Pietro Spataro sul suo blog e oggi di nuovo torna alla carica il sito Strisciarossa (1), mentre le dichiarazioni di Walter Veltroni (“È un assassinio della memoria, l’indisponibilità a tenere in rete questo patrimonio è un atto di violazione di elementari principi di civiltà culturale. Lì dentro c’è la storia del fascismo, della resistenza, della liberazione, della ricostruzione, della sinistra, del movimento operaio, dei partiti, del sindacato…”) vengono rilanciate in prima pagina da Repubblica.it (2).
Nella foto: L’Unità (clandestina) del 25 agosto 1944
Confesso che, nonostante queste uscite, i meccanismi di quanto è accaduto non mi risultano del tutto chiari. Le conseguenze però sì, e nessuno le conosce meglio di chi ha frequentato l’archivio per tanti anni, per ragioni professionali, politiche, di studio, di approfondimento, come è successo ad esempio agli autori del libro “Berlinguer. Vita trascorsa, vita vivente” (3).
Chiarissima è invece la responsabilità di quanti, in questi anni, hanno gettato al vento consapevolmente un patrimonio, una presenza, una realtà culturale e politica diffusa, autorevole, originale, radicata. Sono d’accordo con chi, analizzando le vicende più o meno recenti della politica, sostiene che tutto ciò non era affatto inevitabile. E di conseguenza penso che non era ineluttabile che a questa “sparizione” si accompagnasse anche l’eclissi degli strumenti che quel patrimonio avevano contribuito a formare, sostenendolo e divulgandolo.
L’Unità è di nuovo “clandestina”
Non è solo una storia triste. E’ una storia che fa orrore all’intelligenza, alla memoria, alle ragioni della nostra democrazia e a tutti coloro che, illustri o ignoti, hanno lavorato per fondarla, svilupparla, difenderla. E’ la storia dell’archivio digitale dell’Unità. Dato in un primo tempo per misteriosamente scomparso con la chiusura della testata, poi parzialmente ritrovato nei meandri del deep web, disponibile a un indirizzo internet consultabile solo con il browser Tor.
Mentre scrivo alzo gli occhi dalla scrivania e osservo le due copie originali dell’Unità, una del 1943 e una del 1944, che mi furono regalate molti anni fa. Non posso fare a meno di pensare a quegli anni di fuoco, quando c’era chi rischiava la vita per far uscire dalle tipografie segrete (ce n’era una vicino a casa mia) questi foglietti ora ossidati, sui quali Palmiro Togliatti esortava alla “lotta senza quartiere contro nazisti e fascisti”. E penso con amarezza che l’Unità, il giornale in cui ho lavorato per venticinque anni della mia vita professionale, è tornato di nuovo nella clandestinità.
A denunciare con grande forza la situazione è stato un anno fa Pietro Spataro sul suo blog e oggi di nuovo torna alla carica il sito Strisciarossa (1), mentre le dichiarazioni di Walter Veltroni (“È un assassinio della memoria, l’indisponibilità a tenere in rete questo patrimonio è un atto di violazione di elementari principi di civiltà culturale. Lì dentro c’è la storia del fascismo, della resistenza, della liberazione, della ricostruzione, della sinistra, del movimento operaio, dei partiti, del sindacato…”) vengono rilanciate in prima pagina da Repubblica.it (2).
Confesso che, nonostante queste uscite, i meccanismi di quanto è accaduto non mi risultano del tutto chiari. Le conseguenze però sì, e nessuno le conosce meglio di chi ha frequentato l’archivio per tanti anni, per ragioni professionali, politiche, di studio, di approfondimento, come è successo ad esempio agli autori del libro “Berlinguer. Vita trascorsa, vita vivente” (3).
Chiarissima è invece la responsabilità di quanti, in questi anni, hanno gettato al vento consapevolmente un patrimonio, una presenza, una realtà culturale e politica diffusa, autorevole, originale, radicata. Sono d’accordo con chi, analizzando le vicende più o meno recenti della politica, sostiene che tutto ciò non era affatto inevitabile. E di conseguenza penso che non era ineluttabile che a questa “sparizione” si accompagnasse anche l’eclissi degli strumenti che quel patrimonio avevano contribuito a formare, sostenendolo e divulgandolo.
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(1) https://www.strisciarossa.it/dove-larchivio-dellunita-94-anni-di-storia-escano-dal-buio-della-rete/
(2) http://www.repubblica.it/politica/2018/01/11/news/archivio_storico_unita_cancellato_da_server-186282952/?ref=RHPPRT-BS-I0-C4-P1-S1.4-T1
(3) http://berlinguervitavivente.it/
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Susanna Cressati
Palmanova (Udine) 1951. Studi classici. La sera del 31 dicembre 1999, dopo 25 anni di lavoro, si chiude alle spalle la porta della redazione toscana dell’Unità e restituisce la chiave. Ricomincia da capo, cercando nuovi territori di formazione e lavoro. Insegna all’Università e alle superiori. A Toscana Notizie (l’agenzia regionale di informazione) comincia nel 2004 come cococo e finisce nel 2014 come direttore. Finisce si fa per dire.
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